Il cessate il fuoco a Gaza dipende ancora da Netanyahu
Cominciano nuovi negoziati per una tregua, ma il governo israeliano non ha davvero intenzione di finire la guerra

Domenica in Qatar riprenderanno i negoziati indiretti tra i rappresentanti di Israele e di Hamas per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. “Indiretti” perché le due parti non si parleranno direttamente, ma tramite dei negoziatori, che poi riferiranno agli altri le rispettive posizioni. Discuteranno della proposta, avanzata da Stati Uniti e Qatar, di un cessate il fuoco di 60 giorni nella Striscia, durante il quale far continuare i negoziati per arrivare a una fine definitiva della guerra.
Al momento sembra probabile che un accordo sarà raggiunto, anche grazie alla pressione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ma c’è il rischio molto concreto che questo cessate il fuoco sarà come quello fallito a marzo: 60 giorni di tregua seguiti da una ripresa della guerra e da nuovi e più brutali attacchi israeliani. Di fatto l’unica persona che può garantire il successo del cessate il fuoco è il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il problema è che non sembra intenzionato a farlo.
Come ha raccontato il quotidiano israeliano Haaretz, Netanyahu non è davvero pronto a porre davvero fine alla guerra a Gaza. Israele non ha ottenuto l’obiettivo che si era posto, cioè quello di distruggere definitivamente Hamas o di ottenerne la resa incondizionata, e il primo ministro dipende ancora da un governo di estrema destra che vuole portare avanti la guerra a tutti i costi.
Ancora questa settimana i giornali israeliani hanno raccontato che Netanyahu si è scontrato con il capo dell’esercito perché i soldati non sarebbero abbastanza decisi nel mettere in atto il piano di assedio del nord della Striscia di Gaza e di evacuazione della popolazione a sud.

Bombardamenti nel sud della Striscia di Gaza, 3 luglio 2025 (AP Photo/Leo Correa)
Nell’ambito dei negoziati di questi giorni, Netanyahu ha già detto che alcune delle richieste fatte da Hamas per il cessate il fuoco sono «inaccettabili»: in particolare restituire la gestione degli aiuti umanitari all’ONU e che l’esercito israeliano si ritiri alle posizioni che aveva a marzo, prima che cominciasse il suo piano di occupazione militare della Striscia.
Queste posizioni intransigenti mostrano che per Netanyahu negli ultimi mesi la situazione non è cambiata: i suoi obiettivi sono gli stessi e la sua sopravvivenza politica dipende ancora dalla prosecuzione della guerra. Questo mette ad alto rischio i negoziati per una fine definitiva dei bombardamenti.
Le cose potrebbero cambiare davvero soltanto se gli Stati Uniti decidessero di applicare una pressione maggiore su Israele, cosa che finora si sono sempre rifiutati di fare. Ma di recente perfino Trump ha cominciato a cambiare il proprio atteggiamento nei confronti della situazione a Gaza. Giovedì, quando gli è stato chiesto quali fossero le sue priorità per la Striscia, ha detto: «Voglio sicurezza per la popolazione di Gaza, stanno passando l’inferno».



