È rarissimo che i musicisti tolgano la propria musica da Spotify

Anche dopo la criticata notizia che il CEO Daniel Ek ha investito 600 milioni di euro in una startup militare, l’hanno fatto giusto un paio

I Deerhoof in concerto a Londra nel 2019. (Robin Little/Redferns)
I Deerhoof in concerto a Londra nel 2019. (Robin Little/Redferns)
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Da anni il modello di business della piattaforma di streaming Spotify è estesamente criticato tra musicisti e addetti ai lavori per i bassi compensi che garantisce agli artisti, nell’ordine dei millesimi di euro per ogni ascolto. Le accuse e l’ostilità nei confronti della piattaforma sono cresciute dopo le recenti inchieste giornalistiche che hanno provato come l’azienda abbia accordi economici speciali con agenzie che producono musica dozzinale pubblicata a nome di artisti “finti”, che viene poi inclusa nelle playlist ufficiali di atmosfera e sottofondo. Ma nonostante negli anni molti cantanti famosi abbiano criticato duramente Spotify, praticamente tutti continuano ad avere la loro musica sulla piattaforma.

La recente notizia che il fondo di investimenti del CEO di Spotify Daniel Ek ha finanziato con 600 milioni di euro la startup di tecnologie militari Helsing ha attirato molta disapprovazione sui social network. Ma comunque non c’è stata praticamente nessuna reazione, tranne che in un paio di casi. «Seriamente, a voi piace l’idea che in questo momento esista nel mondo un drone militare finanziato da una canzone che si chiama “sessone” o “gli occhi del mio ex”?» ha scritto su Instagram Auroro Borealo, cantautore italiano conosciuto e apprezzato in una nicchia della musica indie, che ha annunciato di aver tolto la sua musica da Spotify dopo aver saputo dell’investimento di Ek.

«Non mi è mai importato di guadagnare pochi millesimi di euro da ogni stream, ma quando gli introiti della mia musica vengono impiegati nel mercato delle armi, la questione diventa per me eticamente insostenibile» ha scritto Auroro Borealo, il cui vero nome è Francesco Roggero. «Mi piacerebbe che questa decisione, che ho preso non certo a cuor leggero, fosse un seme, anche solo l’inizio di una riflessione, un dialogo».

Il giorno prima anche un’altra band con una sua piccola ma solida notorietà aveva fatto lo stesso annuncio. I Deerhoof, gruppo di rock sperimentale californiano in giro da una trentina d’anni e noto anche per le idee politiche radicali, hanno detto che rimuoveranno i propri dischi da Spotify: «non vogliamo che la nostra musica uccida le persone. Non vogliamo che il nostro successo sia legato alle tecnologie di AI per i conflitti».

Helsing è un’azienda tedesca fondata nel 2021, e produce sia droni militari sia software di intelligenza artificiale per coordinare e gestire le operazioni belliche. Migliaia di droni dei modelli HF-1 e HX-2 prodotti dall’azienda sono stati venduti all’Ucraina e utilizzati dall’esercito che si oppone all’invasione russa. Fin dal principio Helsing fu finanziata da Prima Materia, il fondo di investimenti creato da Ek, che è diventato anche presidente della startup militare.

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In Italia anche Piero Pelù ha criticato Ek: «il multi-mega miliardario della musica investirà i suoi soldi nella costruzione di droni ipertecnologici per fare la guerra e ammazzare altre persone. Lo schifo che sto avendo per certe frange del genere umano non trova mai un limite, viene abbattuto ogni giorno per farci cadere più in basso». Pelù ha spiegato però che non può togliere la sua musica dalla piattaforma perché non è lui a possedere i diritti sui master, cioè le registrazioni originali dei dischi: «Altrimenti li avrei ritirati immediatamente dalla fottuta piattaforma di questo schifo di individuo».

Casi come quello di Auroro Borealo e dei Deerhoof sono in effetti più unici che rari. Negli ultimi dieci anni alcuni dei musicisti più importanti e famosi al mondo hanno criticato anche molto duramente Spotify e il modo in cui compensa gli artisti, ma oggi praticamente tutti hanno la loro musica sulla piattaforma. Una delle pochissime a non averla pubblicata lì è la cantautrice e arpista americana Joanna Newsom, che ha definito Spotify «un sistema cinico che odia i musicisti».

Gli altri che l’avevano tolta per protesta, anche quelli famosissimi, poi ci sono tornati. È il caso della cantante americana Taylor Swift, che nel 2014 aveva rimosso i suoi dischi da Spotify sostenendo che gli streaming non fossero pagati abbastanza. Nel 2017 però li ripubblicò tutti. Nel 2013 anche Thom Yorke, il cantante dei Radiohead, aveva criticato duramente Spotify per quanto poco compensava gli artisti, definendola «l’ultima disperata scoreggia di un corpo morente». Yorke rimosse dalla piattaforma la musica della sua altra band di allora, gli Atoms for Peace, che però nel 2017 sono tornati su Spotify. La musica dei Radiohead ci è sempre rimasta.

Neil Young e Joni Mitchell sono stati gli altri due musicisti più famosi a protestare contro Spotify e a rimuovere a un certo punto la loro musica dalla piattaforma. Entrambi lo fecero nel 2022 quando uscì la notizia che Spotify aveva fatto un accordo da oltre 200 milioni di dollari con il comico Joe Rogan, popolare nell’alt right americana e sostenitore di Donald Trump, per avere in esclusiva il suo podcast. Ma dopo un paio di anni, nel 2024, la loro musica tornò su Spotify.

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Nella stragrande maggioranza dei casi non sono direttamente i musicisti a gestire la distribuzione dei loro dischi, ma le loro case discografiche, con cui hanno firmato appositi accordi che salvo rare eccezioni prevedono la pubblicazione sulle piattaforme di streaming. Swift, Yorke, Young e Mitchell sono esempi di musicisti famosi e potenti che hanno ottenuto dalle proprie case discografiche la rimozione della loro musica da Spotify.

I contratti che regolano i diritti d’autore della musica sono notoriamente opachi e complessi, cosa che può rendere particolarmente complesse le procedure di rimozione, specialmente per i musicisti meno famosi. Molto dipende dall’accordo che hanno firmato con la casa discografica e dal tipo di rapporto che hanno costruito. Le etichette indipendenti sono in genere quelle più disponibili ad assecondare scelte simili: quella di Auroro Borealo è Talento, che ha fondato lui stesso, mentre quella dei Deerhoof è l’americana Joyful Noise Recordings.

Oltre alle eventuali resistenze della casa discografica, ci sono altre ragioni principali per cui anche i musicisti che in teoria vorrebbero togliere la propria musica dalle piattaforme poi non lo fanno. Una è che non stare su Spotify limita significativamente la propria esposizione, e può comportare una riduzione del proprio pubblico. L’altra è che anche i limitati guadagni che derivano dagli streaming sono spesso importanti per il sostentamento economico dei musicisti.