Il problema con le terre rare cinesi è ancora lì
E anzi si è allargato, nonostante gli annunci di Donald Trump

La Cina ha cominciato a rendere più difficile l’esportazione in Occidente di terre rare e di altri materiali molto richiesti, espandendo le limitazioni già messe in atto negli scorsi mesi: lo racconta il Financial Times, in un articolo in cui ha intervistato molti dirigenti di aziende cinesi e internazionali che lavorano nel settore.
Questo avviene nonostante gli annunci del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che prima a inizio giugno e poi la settimana scorsa aveva reso noto il raggiungimento di un accordo che avrebbe dovuto risolvere la questione. L’accordo è stato parzialmente confermato dalla Cina, che l’ha definito però come un passaggio di una trattativa più ampia. In attesa che venga eventualmente messo in atto, la situazione reale rimane ancora problematica.
La questione riguarda soprattutto le cosiddette terre rare, materiali che la Cina usa da anni come leva nelle trattative internazionali in virtù del suo sostanziale monopolio. Sono un gruppo di 17 metalli di cui il paese controlla l’estrazione e la lavorazione: insieme ai relativi magneti sono essenziali per la produzione di chip, di prodotti elettronici, delle auto e degli aerei da combattimento, tra le altre cose. Negli scorsi mesi la Cina ne aveva di fatto bloccato l’esportazione in tutto il mondo in risposta ai dazi imposti da Donald Trump. Senza terre rare – che non sono propriamente rare, ma si trovano in pochissimi paesi – l’industria globale rischia di entrare in crisi, perché le produzioni si fermano.
In questo contesto il Financial Times ha raccontato che i controlli sulle esportazioni si sono estesi anche ad altri prodotti e materie prime critiche.

Una miniera in Cina (Chinatopix via AP)
Il modo con cui la Cina controlla le esportazioni passa attraverso la dogana e il ministero del Commercio, a cui deve richiedere un permesso specifico ogni singola azienda straniera che vuole ottenere i materiali sottoposti a limitazioni. Diversi dirigenti sentiti dal Financial Times hanno detto che questi uffici stanno facendo problemi anche su prodotti non presenti nell’elenco originale – in cui sono inclusi tra gli altri il gallio, il germanio, l’antimonio, la grafite e il tungsteno – ma che stanno richiedendo ispezioni e test chimici supplementari su qualsiasi prodotto contenga anche solo nel nome o tra i componenti un termine sospetto.
«Finché contiene anche una sola parola sensibile [come magnete, ndr], la dogana non lo rilascia: avvia un’ispezione, e una volta avviata, può richiedere uno o due mesi», ha detto al giornale un addetto alle vendite di un’azienda cinese che si occupa di esportare magneti. Fa un altro esempio: «Anche barre di titanio e tubi di zirconio sono bloccati», anche se il prodotto effettivamente soggetto a restrizioni è la polvere di titanio.
Il problema poi affligge tutta la logistica, e gli spedizionieri si rifiutano di trattare prodotti che potrebbero causare problemi perché altrimenti la dogana rischia di bloccare i loro container, provocando ritardi nelle spedizioni anche per prodotti che non c’entrano niente. La dogana e il ministero del Commercio cinese non hanno risposto alle richieste di chiarimenti del Financial Times.

(AP Photo/Andy Wong)
Il blocco delle esportazioni di questi prodotti è molto sentito dall’industria globale, che per la verità ci fa i conti già da tempo: la Cina aveva iniziato a porre a intermittenza restrizioni sulle terre rare già dal primo mandato di Donald Trump, ha continuato durante l’amministrazione di Joe Biden, e ha intensificato i controlli in questi mesi di caos sui dazi annunciati dagli Stati Uniti, di fatto arrivando a bloccare quasi del tutto le esportazioni.
Questo perché la Cina era stato il paese in assoluto più colpito dai dazi introdotti da Trump ad aprile, che per un certo periodo erano arrivati addirittura al 145 per cento sul valore delle merci cinesi importate negli Stati Uniti: era un livello che rendeva di fatto impraticabile il commercio. Rientrava però nella strategia di Trump di minacciare dazi e conseguenze pesantissime per ottenere concessioni dai partner internazionali, una strategia che con la Cina ha funzionato poco: gli Stati Uniti sono dovuti tornare indietro su molte cose affinché il governo cinese iniziasse solo a negoziare.
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