Prendetelo con le pinze, quello studio sulle AI e il cervello
Una ricerca su come ChatGPT rallenterebbe il nostro modo di pensare ha avuto molto successo su media e social network, forse troppo

Negli ultimi giorni sui social network, e sui giornali, è stata molto raccontata e condivisa la notizia di una ricerca scientifica che dimostrerebbe una “minore attività cerebrale” da parte delle persone che utilizzano i sistemi di intelligenza artificiale come ChatGPT. Lo studio è stato molto ripreso anche dai giornali con titoli come “ChatGPT fa male al cervello?”, “ChatGPT cambia il cervello? I risultati di uno studio fanno paura” e ancora “ChatGPT spegne il cervello” e “ChatGPT ci sta davvero distruggendo il cervello, lo conferma la scienza”.
In realtà “la scienza” non ha confermato nulla: lo studio tanto discusso ha riguardato poche decine di persone e non ha dimostrato che utilizzando le intelligenze artificiali si diventa meno intelligenti o che ci si procurano danni al cervello. L’impatto delle AI sulle nostre vite e sulle nostre capacità cognitive è discusso da tempo, e ha avuto una maggiore rilevanza negli ultimi anni con la diffusione dei Modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) più capaci ed elaborati di un tempo, ma gli studi in questo ambito sono ancora ai loro primordi ed è al momento impossibile fare previsioni su come le intelligenze artificiali potrebbero eventualmente cambiare il modo in cui pensiamo.
Lo studio tanto citato in questi giorni è stato realizzato da un gruppo di ricerca del Massachusetts Institute of Technology (MIT) negli Stati Uniti ed è un “preprint”, cioè uno studio che non è stato ancora sottoposto ai processi di verifica e validazione da parte di altri ricercatori (peer review). I test hanno coinvolto alcune decine di studenti con un’età compresa tra i 18 e i 39 anni, che sono iscritti o lavorano in cinque università nella zona di Boston.
Ai partecipanti è stato chiesto di scrivere tre brevi temi rispondendo ad altrettante tracce in 20 minuti su argomenti non molto specifici, tratti da alcuni dei test attitudinali più diffusi negli Stati Uniti (SAT). I volontari sono stati poi divisi in tre gruppi: il primo poteva usare ChatGPT come unica fonte di informazioni per scrivere il tema; il secondo poteva usare solo Google per cercare il materiale, ma non poteva sfruttare le sue funzionalità di intelligenza artificiale come Gemini; infine, il terzo doveva scrivere il tema alla vecchia maniera, un po’ come alla Maturità, senza usare Internet.
Ai membri del gruppo che aveva potuto usare ChatGPT è stato poi chiesto di scrivere un ulteriore tema, su uno degli argomenti che avevano affrontato nella sessione precedente, ma questa volta senza ricorrere ai sistemi di intelligenza artificiale.
Mentre partecipavano all’esperimento, i volontari indossavano una cuffia simile a quelle che si usano in piscina, ma ricoperta di elettrodi che servono per rilevare l’attività elettrica di varie aree del cervello. È un tipo di elettroencefalogramma che consente di rilevare come alcune aree cerebrali dialogano con altre, per quanto con qualche approssimazione. Le misurazioni, dice lo studio, hanno rivelato sensibili differenze nell’attività cerebrale tra i gruppi.
Chi ha scritto i temi senza Internet e AI ha fatto rilevare una maggiore quantità di connessioni tra diverse aree del cervello, specialmente in quelle coinvolte nei processi decisionali. I membri del gruppo che aveva potuto usare Google hanno mostrato una maggiore attività nelle aree del cervello legate alla memoria e alla gestione degli stimoli visivi, forse per via del modo con cui normalmente si naviga online. Il gruppo di ChatGPT ha invece mostrato una minore connessione tra diverse aree del cervello mentre lavorava sui temi.
Quando agli stessi partecipanti di questo gruppo è stato chiesto di riscrivere un tema, senza usare ChatGPT, si è assistito a un aumento delle connessioni cerebrali, anche se non a livelli comparabili con il gruppo di chi aveva fatto tutto da sé, senza usare un sistema di intelligenza artificiale e senza accedere a Internet. Questo non implica che durante l’uso di una AI il nostro cervello sia meno attivo, anche perché in un altro test il gruppo di ricerca ha notato un aumento delle connessioni cerebrali tra chi aveva scritto un tema senza usare Internet e poi lo aveva fatto usando ChatGPT.
Come hanno fatto notare diversi esperti, lo studio molto ripreso dai social e con qualche titolo esagerato dai giornali presenta qualche problema e non dovrebbe essere usato per trarre conclusioni affrettate sul nostro rapporto con le AI. Lo studio ha coinvolto un campione limitato e poco rappresentativo di persone, cui è stato affidato un compito poco realistico e con tempi di esecuzione molto brevi, rispetto all’uso che si fa normalmente di un sistema come ChatGPT. Non è stata inoltre testata una modalità mista di ricerca delle informazioni online e di confronto con le intelligenze artificiali, che avrebbe avuto il pregio di essere più aderente alla realtà.
L’utilizzo dell’elettroencefalogramma per derivare, dai segnali elettrici, il modo in cui dialogano tra loro i neuroni (“connettività neurale”) non sempre offre risultati precisi a sufficienza e può portare a sovrastimare o sottostimare alcuni stati cognitivi. I testi prodotti dai volontari non hanno inoltre ricevuto una valutazione particolarmente approfondita sulla loro qualità, che messa in relazione all’attività cognitiva registrata durante i test avrebbe potuto offrire qualche spunto in più di riflessione sul coinvolgimento dei partecipanti e di conseguenza sugli eventuali effetti legati all’uso di una AI. La ricerca si è infine concentrata sul breve periodo, senza potere valutare eventuali effetti a lungo termine sulla memoria e sui processi di apprendimento.
Il gruppo di ricerca ha comunque invitato a non vedere cose che non ci sono nello studio e a non sovrastimarne le conclusioni. Come ha spiegato la ricercatrice Nataliya Kosmyna, lo studio non voleva dimostrare «ottusità del cervello, stupidità o il fatto che il cervello se ne vada in vacanza». Proprio per via del modo in cui erano organizzati i test e del breve periodo, non è stato possibile raccogliere informazioni sull’utilizzo abituale di ChatGPT e dei servizi simili, sul loro effetto sul nostro modo di pensare e su come questo cambia nel tempo.
I sistemi di intelligenza artificiale da interrogare online, tramite siti o app, si sono diffusi enormemente negli ultimi tre-quattro anni soprattutto grazie al successo di ChatGPT. Hanno aperto nuove modalità di interazione con i computer, più naturali e semplici, ma sono ancora rudimentali e usati dalla maggior parte delle persone per svolgere compiti elementari. È quindi difficile valutare che effetti abbiano sul nostro modo di pensare, sia da un punto di vista neurologico sia psicologico, come del resto è ancora complicato capirlo per tecnologie che esistono da molto più tempo, dai libri alla televisione.



