• Mondo
  • Venerdì 27 giugno 2025

Il Giappone ha eseguito la condanna a morte del cosiddetto “killer di Twitter”

Takahiro Shiraishi adescava persone che scrivevano sul social pensieri suicidi: ne uccise nove

Un disegno di Takahiro Shiraishi durante il processo (ANSA/EPA/JIJI PRESS)
Un disegno di Takahiro Shiraishi durante il processo (ANSA/EPA/JIJI PRESS)
Caricamento player

Venerdì in Giappone è stata eseguita la condanna a morte per impiccagione di Takahiro Shiraishi. Era soprannominato dai giornali giapponesi “il killer di Twitter” per aver ucciso e fatto a pezzi nove persone, otto delle quali conosciute e adescate sul social network (una, la prima, l’aveva conosciuta in un parco). Tra l’agosto e l’ottobre del 2017 Shiraishi aveva contattato alcune persone che avevano espresso pensieri suicidi su Internet e le aveva attirate nel suo appartamento a Zama – una cinquantina di chilometri a sud di Tokyo – con il pretesto di aiutarle a morire.

Della storia del “killer di Twitter” si discusse molto in Giappone. Tra le altre cose, portò Twitter (che oggi si chiama X) ad aggiornare le sue regole d’utilizzo vietando agli utenti di «promuovere o incoraggiare il suicidio o l’autolesionismo».

Takahiro Shiraishi aveva 34 anni ed era stato arrestato nell’ottobre del 2017, dopo che nel piccolo appartamento dove viveva da pochi mesi erano state trovate due teste umane e pezzi di cadaveri in stato di decomposizione, conservati in vari contenitori refrigerati o dentro delle scatole: i cadaveri appartenevano a otto donne e a un uomo, tra i 15 e i 26 anni, che Shiraishi aveva drogato, violentato, strangolato e fatto a pezzi. Shiraishi era stato incriminato nel settembre del 2018 e due anni più tardi condannato a morte.

Shiraishi avvicinava le persone dicendo di poterle aiutare a morire. La bio del suo profilo su Twitter si rivolgeva a quelle «che soffrono davvero» e invitava a contattarlo con un messaggio diretto. Su queste basi, i suoi avvocati avevano inizialmente cercato di sostenere che le persone uccise glielo avessero chiesto: l’omicidio consensuale è un reato con pene molto più lievi (dai sei mesi ai sette anni di carcere) di quello aggravato, per cui alla fine è stato condannato.

Durante il processo Shiraishi aveva smentito questa versione, confessando di aver ucciso «per motivi economici» e «per soddisfare i suoi desideri sessuali, senza alcun consenso».

Anche come conseguenza dell’attenzione mediatica al processo, sui media si parlò del gran numero di persone che descrivevano la loro situazione sui social senza ricevere aiuto. Il Giappone è uno dei paesi con il maggior tasso di suicidi tra quelli più industrializzati, anche se negli ultimi anni il loro numero è diminuito anche grazie agli interventi del governo che ha potenziato i programmi di prevenzione. Il caso di Shiraishi aprì un dibattito su come e dove si potesse parlare di depressione o dei pensieri suicidi in sicurezza, online e attraverso altri canali.

Quella di Shiraishi è la prima condanna a morte eseguita nel paese dal 2022 e la prima per il governo del primo ministro Shigeru Ishiba, in carica da ottobre. Il Giappone e gli Stati Uniti sono gli unici paesi del G7 (sette tra le democrazie più influenti al mondo) dove c’è ancora la pena di morte. Nelle carceri del paese ci sono almeno 107 persone condannate a morte (dato del 2023): la legge prevede che venga eseguita entro sei mesi dalla sentenza definitiva, ma nella stragrande maggioranza dei casi passano anni prima che succeda, durante i quali i detenuti restano in isolamento.

***

Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 tutti i giorni dalle 9 alle 24, oppure via WhatsApp dalle 18 alle 21 al 324 0117252.

Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.