Sull’aumento delle spese militari italiane deciso dalla NATO si stanno dando i numeri

Un po' lo sta facendo il governo, ma è soprattutto l'opposizione a esagerare con le previsioni

Giorgia Meloni accolta alla riunione NATO dell'Aia dal segretario generale, Mark Rutte, e dal primo ministro olandese Dick Schoof, il 25 giugno 2025 (Ben Stansall/Pool Photo via AP)
Giorgia Meloni accolta alla riunione NATO dell'Aia dal segretario generale, Mark Rutte, e dal primo ministro olandese Dick Schoof, il 25 giugno 2025 (Ben Stansall/Pool Photo via AP)
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L’adesione del governo italiano alle nuove direttive della NATO sulle spese militari ha generato un aspro dibattito, che si sta concentrando soprattutto sulle conseguenze finanziarie per il bilancio del paese, già fortemente indebitato. Da un lato e dall’altro, sia tra chi sostiene questa scelta del governo di Giorgia Meloni sia da parte di chi la contesta, vengono agitate cifre in realtà inverosimili, per vari motivi. In questa fase è semplicemente impossibile definire con esattezza l’aumento della spesa, soprattutto nella sua progressione anno per anno.

Durante il dibattito nell’aula della Camera di lunedì, Elly Schlein ha accusato Meloni di mentire, «perché portare al 5 per cento la spesa militare da noi vorrebbe dire 87 miliardi in più all’anno e 445 miliardi in più in dieci anni». Sono cifre sballate.

A quanto pare Schlein ha tratto i numeri da questo sito, facendone un uso discutibile. Peraltro, intervenendo poco prima di lei, il responsabile Esteri del partito Peppe Provenzano aveva parlato un po’ più realisticamente di «60 miliardi in più». Ma anche Meloni ha mistificato un po’ le cose: ha detto che quello che l’Italia dovrà sostenere nei prossimi 10 anni «è un impegno non distante da quello che, nel 2014, il governo di allora prese». Anche questo è un calcolo inesatto, perché stando ai dati disponibili e per quel che è possibile prevedere adesso, l’Italia dovrà verosimilmente spendere tra 10 anni tra i 30 e i 35 miliardi di euro in più (non sappiamo però come varierà il PIL nei prossimi 10 anni, né con che gradualità avverrà questo aumento).

– Leggi anche: Per l’Italia aumentare la spesa militare resta molto difficile

L’Italia, adeguandosi alle nuove linee guida definite su iniziativa del presidente statunitense Donald Trump nella riunione dei paesi NATO che si svolge in questi giorni all’Aia, nei Paesi Bassi, dovrebbe aumentare la sua spesa per la difesa di quasi 3,5 punti percentuali di prodotto interno lordo (PIL). L’obiettivo è di raggiungere il 5 per cento del PIL in spese militari entro il 2035, e l’Italia nel 2025 ha stanziato l’1,57 per cento del PIL. Da questo punto di vista, in linea puramente teorica, l’Italia dovrebbe arrivare a spendere, tra 10 anni, circa 70 miliardi di euro in più rispetto a quelli stanziati quest’anno. Ma bisogna tenere in considerazione alcuni dettagli essenziali, che ridimensionano enormemente la spesa effettiva che l’Italia si è impegnata a sostenere.

Anzitutto, il fatto che quel 5 per cento indicato come obiettivo minimo dalla NATO si compone di due voci: il 3,5 per cento di spese per la difesa, e l’1,5 per cento per la sicurezza. Questo dettaglio è frutto di un compromesso politico: Trump potrà rivendicare di aver costretto gli Stati europei ad arrivare fino al 5 per cento, ma gli Stati europei potranno evitare di spendere cifre per loro insostenibili. Nell’1,5 per cento delle spese per la sicurezza potranno infatti essere computate moltissime cose: dalle infrastrutture utilizzabili anche dai mezzi militari (strade, ponti, ferrovie), agli investimenti in sicurezza informatica, dall’installazione di cavi sottomarini per il passaggio di energia, gas o dati, fino alla gestione dell’immigrazione, alla protezione civile e al rinnovo dei sistemi di riconoscimento facciale per i controlli negli aeroporti, solo per fare alcuni esempi.

Si tratta, per l’Italia e non solo, di spese che in larghissima parte già si sarebbero dovute affrontare, e in una certa misura già messe a bilancio. Non si conoscono ancora i dettagli puntuali del piano di investimenti italiano per la sicurezza, ma si può sostanzialmente dire che quell’1,5 per cento per la sicurezza non genererà un aumento effettivo dell’indebitamento, e non comporterà comunque nuove spese rilevanti.

Resta dunque l’obiettivo del 3,5 per cento per le spese per la difesa. Sono poco meno di 2 punti di PIL in più: nessuno sa come cambierà il PIL nei prossimi 10 anni, se fosse sempre lo stesso sarebbero circa 58 miliardi di maggiore spesa tra 10 anni. Però il governo ha già annunciato di aver trovato le risorse necessarie a portare la spesa in difesa al 2 per cento del PIL entro quest’anno, e lo ha fatto senza un effettivo aumento degli investimenti. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è riuscito infatti a sfruttare alcune ambiguità delle regole finanziarie della NATO, da lui stesso descritte come cervellotiche, per fare in modo che vengano computate a questo fine alcune spese che finora non rientravano nei capitoli di bilancio della difesa (per esempio: le pensioni dei militari).

Con questo semplice artificio contabile, l’Italia chiuderà con ogni probabilità il 2025 con spese militari quantificate nel 2 per cento del PIL, o addirittura lievemente superiore.

A questo punto, resta circa 1 punto e mezzo di PIL di maggiore spesa entro 10 anni. Meloni, con una divisione un po’ sbrigativa, ha spiegato che significa aumentare il bilancio per la difesa di 0,15 punti percentuali di PIL all’anno (dunque circa 3,2 miliardi, quest’anno) fino al 2035. Una cifra non proibitiva, per la finanza pubblica italiana, ma comunque rilevante. Tuttavia anche in questo caso, se si scende nei dettagli, si capisce che è abbastanza impossibile stimare una spesa annua precisa.

Infatti il governo aveva già previsto di aumentare le spese per la difesa di 3,3 miliardi nel 2026 e di 4,6 miliardi nel 2027: dunque, almeno in parte, per i primi due anni i livelli di spesa non dovrebbero aumentare affatto, almeno rispetto agli stanziamenti già programmati. Ma l’altro punto fondamentale da tenere in considerazione è che non ci sarà alcun obbligo per i governi di seguire una progressione definita nella spesa.

Alcuni dei governi più in difficoltà sul piano finanziario, compreso quello italiano, hanno infatti ottenuto che nel raggiungimento dell’obiettivo del 3,5 per cento di PIL entro il 2035 non ci siano degli aumenti minimi annui (come avviene invece in ambito europeo per i paesi che devono ridurre il proprio deficit). Questo significa che ogni governo avrà la facoltà di rinviare in tutto o in parte, in caso di necessità o per opportunismo elettorale, l’aumento di spesa di anno in anno, e magari lasciare al governo successivo l’obbligo di stanziare maggiori risorse. E non è un’ipotesi astratta: è esattamente quello che è successo negli ultimi dieci anni per l’Italia rispetto ai precedenti obiettivi di spesa della NATO.

È una cosa che però potrebbe cambiare. Un’altra concessione ottenuta dagli Stati meno propensi a spendere in difesa è stata infatti di prevedere una revisione degli impegni nel 2029. E la speranza sottaciuta dagli esponenti del governo italiano è che tra 4 anni, non essendoci più Trump alla Casa Bianca, sarà possibile ottenere una dilazione maggiore dei tempi, o comunque un ridimensionamento degli obiettivi che consentirebbe all’Italia di affrontare l’impegno con meno difficoltà. Anche in questo caso, poi, c’è un precedente.

Nel 2014, durante una riunione NATO in Galles, gli Stati membri si impegnarono a raggiungere l’obiettivo minimo del 2 per cento di spese militari in rapporto al PIL entro un decennio. Anche in quel caso, l’Italia non seguì affatto una progressione di spesa coerente (anzi, il governo di Matteo Renzi, subito dopo la definizione di quell’accordo, la ridusse lievemente), e nel 2022, quando era ormai chiaro che non sarebbe riuscito a perseguire l’obiettivo, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, del PD, spiegò che al 2 per cento si sarebbe arrivati entro il 2028.

Proprio facendo riferimento a questo precedente, Meloni ha detto lunedì alla Camera che l’impegno preso oggi dal suo governo ha lo stesso peso finanziario di quello assunto nel 2014. Ma non è proprio così. L’Italia nel 2014 spendeva l’1,14 per cento del PIL in difesa: avrebbe dovuto aumentare dello 0,86 per cento la spesa in rapporto al PIL da destinare al settore militare in 10 anni. Dunque, volendo fare un paragone che è comunque da prendere con molta cautela per via del diverso contesto economico e internazionale, l’impegno finanziario in quel caso era circa la metà di quello attuale, perché si trattava di circa 1,6 miliardi in più ogni anno per 10 anni.