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  • Lunedì 23 giugno 2025

In Iran l’opposizione al regime è molto frammentata

Dopo decenni di repressione non ci sono gruppi organizzati: immaginare una rivolta è complesso, soprattutto sotto le bombe di un paese nemico

La manifestazione di domenica 22 giugno contro gli attacchi israeliani e statunitensi (EPA/ABEDIN TAHERKENAREH)
La manifestazione di domenica 22 giugno contro gli attacchi israeliani e statunitensi (EPA/ABEDIN TAHERKENAREH)
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Il regime teocratico iraniano è debole e impopolare: le operazioni israeliane prima hanno colpito i gruppi affiliati e sostenuti all’estero dall’Iran (Hamas, Hezbollah e gli Houthi, per esempio), poi hanno eliminato gran parte della catena di comando militare dell’Iran stesso. I governi di Israele e Stati Uniti hanno indicato più o meno velatamente un «cambio di regime» fra gli obiettivi secondari della guerra in corso (quello principale è bloccare il programma nucleare iraniano). Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha invitato direttamente i cittadini iraniani a insorgere per «recuperare la loro libertà».

Dall’inizio della guerra, il 12 giugno, a oggi in Iran non ci sono state grosse proteste né tentativi di rivolta: le uniche manifestazioni sono state quelle contro gli attacchi. È dovuto a varie ragioni. La prima è che, nonostante il regime iraniano sia largamente impopolare, dopo decenni di repressione anche molto violenta nel paese non resta alcuna opposizione organizzata, se non quella di gruppi etnici su base regionale come i curdi o i beluci.

La seconda ragione è che i cittadini che si oppongono al regime hanno problemi e remore a rispondere a un invito israeliano alla sollevazione, mentre le bombe lanciate proprio da Israele colpiscono città e obiettivi civili. I bombardamenti potrebbero avere quindi l’effetto contrario, ossia compattare il paese contro la minaccia esterna.

Un enorme cartellone in sostegno dell’esercito iraniano a Teheran (AP Photo/Vahid Salemi)

I due principali gruppi di opposizione iraniani operano da tempo dall’estero. Uno ha base negli Stati Uniti e fa riferimento al figlio dell’ultimo scià persiano, Reza Pahlavi, che auspica un ritorno al potere della sua famiglia nella forma di una monarchia costituzionale.

– Leggi anche: Quando l’Iran e gli Stati Uniti erano alleati

Negli ultimi giorni Pahlavi ha invitato più volte alla ribellione, dicendo: «Il nostro momento è arrivato». Il suo seguito in Iran sembra però piuttosto limitato: in una parte della popolazione è effettivamente diffusa una certa nostalgia per il periodo precedente la rivoluzione islamica del 1979, quando l’Iran era una monarchia governata dallo scià, ma l’Iran è un paese molto giovane e la gran parte degli abitanti non ha vissuto quel periodo storico. Pahlavi poi ha relazioni molto strette con i governi di Stati Uniti e Israele e in particolare con Netanyahu: avrebbe molti problemi di legittimità.

L’altro grande gruppo di opposizione è il MEK, (sigla di Mojahedin-e Khalq), conosciuto anche come MKO o PMOI e attivo principalmente dall’Albania. Il MEK nacque a metà degli anni Sessanta in opposizione allo scià: aveva un’ideologia basata sulla religione islamica, sull’antiamericanismo e sui movimenti rivoluzionari militanti dell’epoca, spesso influenzati dal marxismo. Da decenni il gruppo è guidato da Massoud e Maryam Rajavi, marito e moglie, che mantengono uno stretto controllo sull’organizzazione, anche con un certo “culto della personalità” e reprimendo il dissenso interno. Negli ultimi anni è la moglie Maryam a rappresentare il MEK: dice che l’organizzazione ha abbandonato la violenza ed è ora laica e democratica.

Anche il MEK ha molti problemi di legittimità in Iran, soprattutto perché si schierò con l’Iraq nella guerra che durò fra il 1980 e il 1988.

Maryam Rajavi a una seduta del Parlamento Europeo a Strasburgo (Siavosh Hosseini/SOPA Images via ZUMA Press Wire)

Negli ultimi 15 anni in Iran ci sono stati enormi e prolungate proteste, sviluppatesi in modo spontaneo e senza una guida centrale, che in alcuni casi sono arrivate a mettere in discussione l’esistenza dell’attuale regime guidato da Ali Khamenei, la massima autorità politica e religiosa dell’Iran. È successo l’ultima volta nel 2022 in seguito alla morte di Mahsa Amini, una donna di 22 anni morta mentre era detenuta per non aver indossato correttamente il velo, o hijab.

I manifestanti chiedevano più diritti per le donne e lo scioglimento della polizia morale religiosa, un corpo creato nel 2005 che si occupa di “proteggere” l’etica e i valori iraniani, molto spesso attraverso un’estesa censura. Le proteste assunsero dimensioni enormi, al punto da essere considerate una sfida seria al regime.

Furono però represse con enorme violenza: oltre 530 manifestanti furono uccisi negli scontri, migliaia furono feriti, almeno 20mila arrestati, con ricorrenti testimonianze di abusi, torture e stupri nelle carceri e nei centri di detenzione. Sette degli arrestati sono stati condannati a morte, per impiccagione.

In precedenza altre larghe proteste erano avvenute nel 2009, per contestare i brogli durante l’elezione presidenziale, e poi nel 2017, in occasione di una profonda crisi economica.

– Ascolta anche: La guerra tra Iran e Israele, con Cecilia Sala

Oggi conoscere pensieri e intenzioni degli oppositori politici in Iran è molto difficile, perché l’ingresso nel paese dei giornalisti stranieri è limitatissimo e perché la possibilità della popolazione di esprimersi politicamente è quasi inesistente. Alcuni media internazionali in questi giorni hanno contattato cittadini iraniani che rispondendo in forma anonima hanno parlato della possibilità di sovvertire l’attuale regime.

Qualcuno, tra cui Amir sentito dalla BBC (il cognome non è stato diffuso), ha detto di ritenere una cosa positiva i bombardamenti condotti nell’ultima settimana da Israele e dagli Stati Uniti, perché sono l’unico modo per far crollare il regime: «Non ci possono riuscire le Nazioni Unite, né l’Europa. E nemmeno noi. Ci abbiamo provato, ma ci hanno ucciso nelle strade».

La maggior parte degli abitanti iraniani che hanno parlato con i media internazionali ritiene che gli inviti del governo israeliano siano irricevibili e non certo motivati dalla volontà di vedere il paese libero. La distruzione di quartieri residenziali e l’uccisione di civili sono il problema principale a Teheran e in gran parte del paese, e molti ritengono che le proteste potrebbero cominciare solo quando i bombardamenti finiranno.

Il momento di debolezza del regime potrebbe invece essere sfruttato da organizzazioni militari più strutturate, come quelle curde operanti nell’ovest del paese, al confine con l’Iraq e con la Turchia; o quelle beluci, con vari gruppi indipendentisti attivi ad est, al confine col Pakistan (e anche in territorio pakistano). Al momento non sono segnalate attività, ma solo un crescente numero di arresti preventivi, soprattutto in Kurdistan: le notizie da queste aree, ma in generale da tutto l’Iran, sono comunque molto parziali, anche per via della scarsa presenza di giornalisti stranieri e per i blocchi di internet imposti dal regime.

– Leggi anche: Gli attacchi israeliani in Iran stanno uccidendo centinaia di civili