I servizi segreti hanno spiato il papa?
Se ne parla nel secondo numero di Montecit., la newsletter politica del Post che esce ogni venerdì

È uscito il secondo numero di Montecit., la newsletter del Post sulla politica scritta da Valerio Valentini, che per il Post segue le vicende politiche da Roma e dai palazzi delle istituzioni. Montecit. uscirà ogni venerdì e racconterà i fatti politici della settimana in modo chiaro, semplice e possibilmente divertente, come avevate già potuto leggere nel primo numero, qui.
Questa settimana la storia principale è quella del “caso Paragon” e delle prove piuttosto concrete che tra le persone coinvolte nelle intercettazioni sia finito pure il papa: quello precedente, cioè Francesco, e forse anche quello attuale. Poi ci sono Giorgia Meloni al G7, le manovre di Fratelli d’Italia per raccogliere consensi tra gli elettori più moderati, guerre, riforme, la parola da conoscere per sopravvivere alla settimana e un riassunto giorno per giorno di quel che è successo nel governo e in parlamento.
Di seguito trovate l’inizio di questa seconda puntata: se volete ricevere anche voi Montecit. la prossima settimana potete iscrivervi qui.

Don Mattia Ferrari, il cappellano di bordo della Mare Jonio, la nave della ong Mediterranea, è una persona di spirito: scrupoloso quando lo si interroga su dettagli precisi, ma col gusto della battuta. E così, quando gli si chiede se non crede che nel “caso Paragon” ci sia «un grosso convitato di pietra bianco», rilancia: «Non solo un grosso convitato di pietra bianco, ma anche decine di convitati di pietra più piccoli, viola e rossi».
Quello bianco, così smettiamo di essere criptici, è papa Francesco. Quelli viola e rossi sono i cardinali e i vescovi a lui più vicini. Il motivo per cui ne parliamo è che ci sono ormai solidi elementi per ritenere che in questa torbida faccenda di attivisti, giornalisti e preti intercettati dai servizi segreti italiani, e forse non solo da quelli, ci sia di mezzo anche un bel pezzo delle più alte gerarchie vaticane.
Don Mattia Ferrari ha 31 anni e anche il suo nome, come altri di questa organizzazione umanitaria impegnata nel salvataggio di migranti nel mare che separa l’Italia dall’Africa, è finito nelle indagini relative al caso Paragon. Oltre a lui ci sono Luca Casarini, che della ong è il fondatore, e uno dei suoi principali collaboratori, Beppe Caccia: si sa per certo che i loro dispositivi sono stati intercettati a lungo, e che dal settembre del 2024 lo sono stati tramite Graphite, lo spyware prodotto dall’azienda israeliana Paragon, appunto. Il caso di Don Mattia è invece un po’ più complesso.
Inizialmente si credeva che fosse stato coinvolto solo indirettamente, ma non è così. Don Mattia infatti sa che anche il suo iPhone è stato oggetto di attacchi informatici promossi con ogni probabilità da un governo. Lo sa perché l’8 febbraio del 2024 ha ricevuto una segnalazione da Meta, sul suo profilo Facebook. «Se ti abbiamo mostrato questo avviso, riteniamo che un hacker sofisticato o appoggiato dal governo possa essere interessato al tuo account», c’è scritto nell’avviso. E l’8 febbraio non è una data casuale: sappiamo infatti che è il primo giorno in cui l’AISE, i servizi segreti per l’estero, attivarono il sistema di Graphite. Da quel giorno iniziarono a usarlo, insomma: e non a caso, sempre quell’8 febbraio del 2024 anche Casarini ricevette un allarme analogo sul suo smartphone.



