Quanto è davvero difficile ottenere la cittadinanza italiana

Intanto non bastano 10 anni di residenza, e poi ci sono requisiti e procedure che generano molti disagi e situazioni paradossali

Attivisti a favore del referendum sulla cittadinanza in piazza San Pietro a Roma, il 18 maggio (ANSA / UFFICIO STAMPA Comitato referendum cittadinanza)
Attivisti a favore del referendum sulla cittadinanza in piazza San Pietro a Roma, il 18 maggio (ANSA / UFFICIO STAMPA Comitato referendum cittadinanza)
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Il referendum sulla cittadinanza dell’8 e del 9 giugno è stato un fallimento per chi lo aveva promosso: non solo non ha raggiunto il quorum, ma tra i cinque quesiti presentati ai seggi è stato di gran lunga quello che ha ottenuto più “No”. L’obiettivo era ridurre da 10 a 5 anni il tempo di residenza in Italia necessario per chiedere la cittadinanza. Per farlo sarebbe bastato abrogare una parte della legge attuale, la numero 91 del 1992.

I risultati sono stati peggiori del previsto: tra le persone che sono andate a votare, solo il 65 per cento si è detto favorevole, circa 10 milioni di persone, mentre più di 5 milioni hanno votato contro. È un dato notevole, perché per come funzionano i referendum abrogativi è sufficiente non andare a votare per non farli passare, oppure non ritirare la scheda al seggio. Negli altri 4 referendum per cui si votava, quelli sul lavoro, la percentuale dei “Sì” è stata infatti ben più alta, tra l’86 e l’88 per cento (tutti comunque sono rimasti molto lontani dal quorum).

La procedura per ottenere la cittadinanza italiana è quindi rimasta com’era: molto problematica per chi cerca di seguirla, e non solo per i tempi lunghi. Per chiedere la cittadinanza serve appunto risiedere per 10 anni in Italia, ma anche conoscere la lingua italiana, non avere precedenti penali e avere un certo reddito minimo annuale. Quando qualcuno ottiene la cittadinanza rispettando questi criteri si parla di “naturalizzazione”. Per quanto questi requisiti possano sembrare semplici e intuitivi, le procedure burocratiche che richiedono e il modo in cui vengono messi in pratica hanno molto spesso esiti problematici e per certi versi paradossali, quando non direttamente discriminatori.

Intanto bisogna dire che 10 anni di residenza sono necessari solo per chi proviene da paesi fuori dall’Unione Europea, mentre per chi arriva da paesi membri dell’Unione ne bastano 4. Chi invece si sposa con un cittadino o una cittadina italiana può fare domanda dopo solo 2 anni dal matrimonio.

Dopo 10 anni di residenza comunque si può solo chiedere la cittadinanza, ma poi per ottenerla davvero ce ne vogliono di più: tra la richiesta e l’acquisizione infatti possono passare fino a 3 anni. La legge ha stabilito che l’attesa di una risposta alla domanda per la cittadinanza non può superare i 2 anni, con una proroga di un altro anno. Nel frattempo la domanda di cittadinanza viene esaminata con un iter amministrativo di 7 passaggi. Il tempo necessario può variare di regione in regione e in base all’attività di prefetture e questure (e in base alle specifiche persone che se ne occupano). Il risultato però alla fine è lo stesso: le persone che rispettano tutti i requisiti devono poi aspettare 12 o 13 anni prima di diventare cittadini italiani.

I tempi sono lunghi anche perché i documenti necessari per chiedere la cittadinanza devono essere rilasciati dai consolati di quelli che il ministero dell’Interno definisce i “paesi di origine”. Spesso, in realtà, sono paesi con cui i richiedenti non hanno mai avuto legami. I documenti vanno poi tradotti e alcuni hanno una scadenza. Il certificato penale, per esempio, che attesta l’assenza di condanne nel paese di provenienza, è valido solo per 6 mesi (deve presentarlo chi ha vissuto in un altro paese almeno fino ai 14 anni). Ci sono casi in cui le domande vengono rifiutate per errori nelle traduzioni, oppure in cui l’attesa di un documento comporta la scadenza di altri, che devono essere chiesti di nuovo. Si può per esempio perdere il certificato penale mentre si aspettano i risultati dei test di lingua italiana, e così l’iter si allunga.

Il referendum per la cittadinanza aveva ottenuto in poco tempo molte firme necessarie per presentare il quesito: qui i promotori celebravano la presentazione delle firme davanti alla Corte di Cassazione, a settembre del 2024 (Roberto Monaldo / LaPresse)

In altri casi la lunghezza e la variabilità delle procedure per ottenere la cittadinanza generano cortocircuiti. I figli nati in Italia da genitori stranieri, per esempio, hanno due modi per ottenerla: chiederla dopo essere diventati maggiorenni oppure, se minorenni, ereditarla dai genitori che nel frattempo sono riusciti ad averla.

Insaf Dimassi, dottoranda all’università di Bologna, è nata in Tunisia ma fin da piccola vive in Emilia-Romagna. Sulla sua pagina Instagram ha raccontato la situazione paradossale che le ha impedito di diventare cittadina. Ha compiuto 18 anni 20 giorni prima che suo padre diventasse cittadino italiano: le sue sorelle, minorenni, hanno potuto ereditare la cittadinanza, mentre lei è rimasta l’unica nella sua famiglia considerata straniera. Ora dovrà fare domanda per la naturalizzazione: oltre ai 10 anni di residenza le servirà dimostrare un reddito continuativo di 3 anni e poi aspettare l’iter amministrativo. Significa che, se anche avesse iniziato a lavorare appena maggiorenne, potrebbe diventare cittadina dopo 24 anni di permanenza in Italia (questo nella migliore delle ipotesi).

Il reddito è un altro requisito che complica i percorsi di tanti aspiranti cittadini, soprattutto giovani. Lo dimostra il caso di Remon Karam, un ragazzo di 26 anni. Quando è arrivato dall’Egitto su un barcone, Karam aveva 14 anni ed era solo. In Italia ha vissuto con una famiglia affidataria: due genitori italiani che però non hanno potuto trasmettergli la cittadinanza. A differenza dell’adozione, l’affido prevede che un minore venga accolto e cresciuto da una famiglia solo per un tempo limitato, e per questo non dà diritto a ereditare la cittadinanza. Nel frattempo in questi 12 anni Karam si è laureato e aspira a diventare ambasciatore, ma per partecipare al concorso gli serve la cittadinanza italiana.

È già residente in Italia da 10 anni, ma avendo studiato fino a pochi mesi fa non ha il requisito dei tre anni di reddito continuativi: la legge dice inoltre che chi chiede la cittadinanza deve aver guadagnato almeno 8.263,31 euro in ciascuno dei tre anni che precedono la domanda. La somma aumenta se si ha un marito o una moglie da mantenere (11.362,05 euro annui) e si devono aggiungere 516 euro per ciascun figlio.

«Io ho sempre lavorato dal 2018 con contratti temporanei o a progetto», dice Karam. Questa condizione, pur essendo piuttosto diffusa in Italia, non è sufficiente a diventare cittadini: «Non ho mai avuto prestazioni continuative come quelle necessarie per chiedere la cittadinanza», dice Karam. Ora ha un permesso di soggiorno per attesa occupazione che gli dà un anno di tempo per trovare un lavoro, altrimenti potrebbe essere rimpatriato in un paese in cui non vive da 12 anni. Stage e tirocini non sono considerati contratti validi. «È una corsa contro il tempo che mi spinge ad accettare anche lavori lontani da casa per i quali sarò costretto a pagare un affitto. È come un ricatto».

Se troverà un lavoro a breve, potrebbe dover aspettare ancora fino a 6 anni per ottenere la cittadinanza: 3 per maturare il reddito continuativo e 2 o 3 per le pratiche amministrative. Alla fine della procedura gli saranno serviti 18 anni per diventare italiano (molto più dei 10 di cui si parla) e avrà 32 anni, pur essendo in Italia da quando ne ha 14.

Nel frattempo, come tutte le persone senza cittadinanza, non può fare tante cose: votare, essere eletto a cariche pubbliche, rappresentare l’Italia in competizioni sportive o partecipare ad alcuni campionati italiani. Ma anche gli spostamenti all’estero sono limitati: «Al secondo anno di triennale ero tra i primi in graduatoria per partire per l’Erasmus», dice. «Non ho potuto farlo perché sarebbe durato 6 mesi e io non potevo stare fuori dall’Italia per tutto quel tempo. In generale senza visto posso uscire dall’Italia solo per 90 giorni». Anche solo per avere un visto ci vuole tempo, perché spesso serve reperire documenti attraverso i consolati dei paesi d’origine. I bambini senza cittadinanza possono avere difficoltà anche ad andare in gita all’estero, perché devono presentare documenti in più rispetto ai loro compagni con la cittadinanza italiana.

Il principale promotore del referendum, il segretario di +Europa Riccardo Magi, insieme ad alcuni membri del comitato promotore (Cecilia Fabiano / LaPresse)

Poi ci sono i concorsi pubblici: la cittadinanza non serve solo per diventare ambasciatori, come vorrebbe fare Karam, ma anche vigili del fuoco, magistrati, poliziotti o carabinieri, tra gli altri. Tutti ruoli in cui il personale è carente e sempre più anziano. In alcuni casi diventa un problema partecipare anche a bandi più piccoli. Capita, per esempio, che alcuni contest per musicisti, artisti o scrittori siano riservati ai cittadini italiani.

Non avere la cittadinanza comporta essere esclusi da tante opportunità e allo stesso tempo essere obbligati a fare cose molto meno piacevoli, come rinnovare periodicamente il permesso di soggiorno. Karam lo deve fare una volta all’anno e tutte le volte deve tornare nella questura della città dove ha residenza, in Sicilia. «Per tutte le pratiche servono in media tre o quattro appuntamenti», dice. «Io ora sono a Milano per uno stage quindi mi è toccato comprare tre biglietti aerei andata e ritorno nell’arco di sei mesi. Soltanto per una di queste volte ho speso 460 euro. Devo sempre prendere un permesso perché posso andare in questura solo martedì e giovedì. E devo sperare che non ci sia la fila, altrimenti se non riesco a fare tutto devo aspettare di scendere un’altra volta».

Ci sono poi dei costi: solo per presentare la domanda serve pagare un bollettino da 250 euro. Nel caso delle richieste di cittadinanza tramite il cosiddetto ius sanguinis (cioè per persone nate all’estero ma con genitori o nonni italiani) recentemente la tariffa è stata alzata a 600 euro. L’obiettivo in questo caso era scoraggiare gli stranieri con avi italiani che chiedevano la cittadinanza pur non avendo nessun legame con l’Italia. Diventare cittadini in questo modo era diventato molto facile, e le migliaia di richieste stavano rallentando i lavori di diversi tribunali italiani.

Ai 250 euro si aggiungono la marca da bollo da 16 euro, il prezzo per il rilascio dei documenti dal consolato e i costi per la loro traduzione e legalizzazione (procedura che serve per verificare autenticità e validità delle carte). Ogni volta naturalmente non si ha la certezza che la procedura andrà a buon fine.