Il Regno Unito ha approvato un emendamento per decriminalizzare l’aborto
Oggi chi lo pratica fuori dai termini consentiti è perseguibile, per via di una legge del 1861

La Camera dei Comuni del Regno Unito (la camera bassa del parlamento) ha votato a favore della decriminalizzazione dell’aborto: con 379 voti a favore e 137 contrari è stato approvato un emendamento che modifica le leggi che regolano l’aborto in Inghilterra e Galles, in modo che le donne che interrompono la gravidanza al di fuori del quadro legale attualmente previsto non possano più essere perseguite penalmente.
L’emendamento è stato presentato a un disegno di legge più ampio che si occupa di criminalità e polizia: per entrare in vigore è necessario che tutto il disegno di legge venga approvato da entrambe le camere del parlamento e riceva l’assenso reale. Il testo gode comunque di ampio sostegno, e dovrebbe passare senza particolari problemi.
Nel Regno Unito l’aborto è disciplinato dall’Abortion Act del 1967, che consente l’interruzione volontaria di gravidanza sulla base del parere di due medici ed entro la ventiquattresima settimana. Il termine è esteso nei casi in cui la gravidanza comporti un pericolo grave per la salute della donna o del feto. Quella del 1967 rappresenta una deroga all’Offences Against the Person Act del 1861, introdotto quando le donne non potevano ancora votare: costituisce ancora oggi la base giuridica per i reati contro la persona e prevede, tra le altre cose, che una donna che decide di abortire possa essere punita con l’ergastolo.
Negli ultimi anni diverse donne sono state effettivamente arrestate e processate per aborto illegale. Si stima che siano state più di 100 negli ultimi dieci anni, e almeno sette dal dicembre del 2022.

Una protesta a favore dell’aborto a Londra, nel 2022 (AP Photo/Alberto Pezzali)
Due casi in particolare hanno fatto aumentare le richieste e le pressioni per la decriminalizzazione. Nel 2020 Carla Foster, una donna di 45 anni già madre di tre figli, era stata condannata a più di 2 anni di carcere per aver interrotto la gravidanza alla 32esima settimana grazie alle pillole abortive che aveva ricevuto comunicando all’organizzazione che l’aveva sostenuta di essere incinta di sette settimane. Un mese dopo la sua condanna è stata dimezzata e infine sospesa.
Lo scorso maggio Nicola Packer, una donna londinese di 41 anni, era stata assolta dall’accusa di aver assunto la pillola abortiva oltre il limite di tempo consentito (10 settimane) dopo un processo durato più di quattro anni. Nel 2020, in pieno lockdown da Covid, Packer aveva eseguito un test che aveva confermato la gravidanza. Non volendo diventare madre aveva ottenuto dei farmaci abortivi tramite una consulenza in telemedicina, prevista nel Regno Unito, ignara però di essere a circa 26 settimane di gestazione. Dopo aver assunto i farmaci era andata in ospedale per una complicazione e l’ospedale aveva chiamato la polizia.
Packer era stata dunque arrestata e accusata in base alla legge del 1861. Dopo sei ore di camera di consiglio, la giuria l’aveva assolta all’unanimità. «Non so come qualcuno possa giustificare una cosa del genere: sprecare cinque anni della mia vita che non torneranno mai più indietro, prolungare il trauma in modo continuo. Non lo augurerei a nessuno. Sono stati i peggiori quattro anni e mezzo della mia vita», ha detto qualche settimana fa Packer all’uscita dall’aula.
L’emendamento approvato ora alla legge del 1861 non cambierà le disposizioni del 1967 in base alle quali l’aborto è permesso fino alla 24esima settimana previa autorizzazione di due medici, ma non considererà più un reato le eventuali violazioni. Presentandolo in aula, la deputata laburista Tonia Antoniazzi ha citato il caso di Packer e quello di una donna di nome Laura (il cognome non è stato diffuso) incarcerata per due anni per aborto illegale mentre il compagno violento, che l’aveva costretta ad assumere la pillola abortiva, non aveva subito alcuna conseguenza.
L’emendamento è stato sostenuto pubblicamente da sei facoltà di medicina; dalla British Medical Association, il principale sindacato dei medici; e da varie organizzazioni e associazioni che si occupano di diritti riproduttivi, oltre che dai movimenti femministi. Ranee Thakar, presidente del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists, associazione professionale con sede a Londra, ha detto che il voto favorevole all’emendamento è «una vittoria» per le donne e per i loro diritti riproduttivi, soprattutto in un momento in cui tali diritti sono ostacolati in molte parti del mondo.
Parlando ai giornalisti dal Canada, dove si trova per la riunione del G7, il primo ministro britannico Keir Starmer ha detto che avrebbe appoggiato l’emendamento se fosse stato in aula, dicendo anche di essere da sempre un sostenitore dell’aborto libero, sicuro e legale.