Le bambole reborn spiegate, forse

Sono così realistiche da sembrare reali e il gioco di ruolo per cui sono pensate è a tratti utile, a tratti inquietante

Una donna con una bambola reborn fotografata in Germania nel 2021 (Lars Berg/laif via Contrasto)
Una donna con una bambola reborn fotografata in Germania nel 2021 (Lars Berg/laif via Contrasto)

Marco pesa 2 kg, misura circa 55 centimetri ed è un «meraviglioso bimbo in cerca di mamma», dice un post su Facebook di fine marzo: può sembrare che si parli di un neonato, ma Marco è una bambola “reborn”, una riproduzione estremamente realistica, per alcuni fin troppo. Tra gli appassionati, che esistono un po’ in tutto il mondo, c’è chi le colleziona e basta e chi invece le porta al parco giochi, al supermercato o in aereo proprio come fossero dei figli.

Per il gioco di ruolo che si lega a questa forma di collezionismo, da anni le reborn attirano critiche e giudizi, stimolando al tempo stesso dibattiti e riflessioni. Più di recente sono diventate un caso nazionale in Brasile e un fenomeno sui social, anche in Italia.

Le bambole reborn si chiamano così perché in origine erano bambole comuni a cui venivano tolti trucco e capelli finti per renderle più realistiche, perciò “rinate”. Negli anni Novanta attirarono subito nicchie di collezionisti negli Stati Uniti, ma con la crescente copertura mediatica e la diffusione di Internet si diffusero anche in altri paesi, dall’Australia al Regno Unito, dalla Germania al Brasile, prima in ambito terapeutico e poi come strumento di gioco di ruolo. Molte donne infatti ci interagiscono e simulano i momenti tipici della vita dei neonati. Si confrontano soprattutto sui social, dove si trovano gruppi con migliaia di iscritti e content creator con un seguito enorme.

Tra le più seguite c’è la statunitense Stephanie Ortiz, che produce bambole reborn dal 2011 e sul suo canale YouTube ha 1,67 milioni di iscritti. In Italia il canale Reborn Baby Giulia ha 69mila follower su Instagram, 320mila su TikTok e oltre 350mila su YouTube. Chiara, che lo gestisce, simula le attività quotidiane che si farebbero con bambine e bambini piccoli in giochi di ruolo recitati che, dice, hanno lo scopo di «mostrare il realismo delle reborn ad altri collezionisti, appassionati e interessati».

Anche se le reborn sono soprattutto oggetti da collezione, questa è la parte più visibile del fenomeno perché è quella che attira di più l’attenzione e fa scalpore, racconta Claudia Vezzali, che dal 2008 produce bambole reborn nel suo laboratorio di Modena. Se l’iperrealismo delle bambole reborn è la qualità più apprezzata dalla nicchia di persone appassionate, è al tempo stesso l’elemento che stranisce, fa paura o ne disturba molte altre.

Vezzali spiega che oggi le reborn vengono fatte a mano da artigiane come lei (chiamate reborner), oppure a partire da kit assemblabili di qualità inferiore. Di solito quelle originali costano dai 400 euro in su, ma i prezzi arrivano fino ad alcune migliaia di euro. Quasi sempre sono in vinile o silicone, con il tronco in stoffa: sono imbottite e appesantite con sabbia di vetro, e spesso sono dotate di calamite per trattenere il ciuccio in bocca o di un dispositivo elettronico che riproduce il respiro e il battito cardiaco. Per renderle ancora più realistiche a volte si impiegano capelli umani, e per riprodurre l’odore dei bambini si usa un misto di talco e detersivo per il bucato dei neonati.

Attorno alle reborn si è sviluppato un settore in crescita costante, e in Brasile fanno così parte della cultura popolare da essere diventate un tema politico. Alcuni deputati di destra hanno presentato diverse proposte di legge che tra le altre cose introdurrebbero multe per chi le sfrutta per saltare le code (facendo finta di avere veri bambini piccoli) e punirebbero i medici che si prestano alla messa in scena offrendo assistenza medica alle bambole. Alle autorità brasiliane comunque non risulta che ci siano mai state richieste di prestazioni mediche per le reborn.

In Italia, come del resto altrove, l’uso delle bambole reborn è preso in giro, giudicato problematico e in generale poco compreso dal largo pubblico. C’è chi definisce le bambole degli obbrobri, e le donne che le usano delle impallinate; chi ritiene che giocarci sia un gesto infantile e chi la giudica una moda inquietante, sfruttata per ottenere visibilità e guadagni. In più c’è chi racconta che in certi casi limite queste bambole vengono usate anche per video a sfondo sessuale. C’è anche chi, rendendosi conto che non sono bambini veri, diventa aggressivo, ha raccontato al Telegraph una fotografa di San Francisco che documenta il fenomeno.

«Spiegare a chi non colleziona bambole questo attaccamento emotivo a un oggetto inanimato» è complicato, ha detto Kellie Eldred, che vive vicino a New York e ha a sua volta un canale YouTube dedicato alle reborn. «Le persone non capiscono».

Una donna tiene in braccio una bambola reborn durante un evento a Madrid, 23 novembre 2024 (EPA/J.J. GUILLEN via ANSA)

Chi realizza le reborn dice che vengono acquistate perlopiù da collezionisti, dalle produzioni di cinema, tv o teatro e dalle residenze per gli anziani, mentre le donne che le usano come sostegno emotivo, per esempio per la perdita di un figlio, sono solo una piccola parte. Anche Vezzali dice che chi le usa per i giochi di ruolo è una minoranza.

Una donna italiana intervistata in un documentario di Real Time ha detto di aver cominciato a usarne una per insegnare a suo figlio con disturbo da deficit di attenzione e iperattività a giocare, su consiglio di una neuropsichiatra. Una donna tedesca ha raccontato a sua volta che le sue la aiutano ad affrontare una serie di traumi. Per Juliana Drusz Magri, che ha 36 anni, vive a Curitiba (Brasile) e ne ha 22, «il mondo della finzione è una valvola di sfogo».

L’uso delle bambole (reborn o no) come terapia non farmacologica è noto e utilizzato da tempo anche in Italia, e diversi studi hanno evidenziato come contribuisca a ridurre ansia, agitazione e altri disturbi comportamentali. Va però precisato che queste ricerche riguardano soprattutto le persone affette da demenza, quindi per valutare meglio i suoi effetti in generale servirebbero studi clinici su campioni più ampi ed eterogenei.

– Leggi anche: Come le bambole possono servire nella demenza

Secondo la psicoanalista brasiliana Gisele Hedler, di per sé l’atto del gioco non è un problema, e anzi contribuisce all’equilibrio emotivo e mentale anche in età adulta. Questo però non significa che non ci siano casi che meritano maggiore attenzione, e che indichino situazioni psicologiche più complesse.

La ricercatrice canadese Emilie St-Hilaire, che ha studiato il fenomeno per il suo dottorato, precisa che nessuna tra le decine di collezioniste che ha intervistato in tutto il mondo ritiene che le reborn siano come bambini veri, e secondo le sue stime la metà di loro ha dei figli. Di norma quindi non servono a rimpiazzare bambini mai nati, morti o semplicemente cresciuti, ma come sostegno emotivo o strumento per stimolare l’immaginazione.

In un articolo pubblicato sul sito Psicologi Italia, la psicologa Caterina Scarciglia ha ricordato che «non è la bambola in sé a creare l’eventuale disagio psichico, bensì il vissuto di una persona, il dolore non elaborato, il vuoto affettivo sottostante». Scarciglia ha anche fatto l’esempio di una paziente che si era rivolta a lei perché viveva spesso episodi di panico, e a un certo punto, con un certo imbarazzo, le aveva detto di avere una bambola reborn.

Per la paziente la bambola era un conforto in un momento in cui doveva elaborare il lutto della nonna: durante la terapia con la psicologa invece è diventata uno strumento per sviluppare empatia verso sé stessa e imparare a gestire meglio le sue emozioni. Il risultato, scrive Scarciglia, è che per lei la reborn era diventata «una passione, e non più un bisogno».