Il kimchi ci mancava

Dei molti piatti asiatici apprezzati in Italia il cavolo fermentato coreano è l’ultimo arrivato, anche per via della preparazione e del sapore, difficilini

(Chung Sung-Jun/Getty Images)
(Chung Sung-Jun/Getty Images)
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L’idea di mangiare verdure lasciate a fermentare per giorni potrebbe non sembrare allettante a molte persone cresciute in Italia. Ultimamente però il kimchi, il tradizionale e saporitissimo – per molti troppo – piatto coreano a base di cavolo cinese fermentato, comincia a essere richiesto anche qui.

È più facile comprarlo e mangiarlo, e negli ultimi anni su YouTube e social media sono comparsi molti video, anche in italiano, che ne spiegano la preparazione. La diffusione di questo alimento nel nostro paese è parte di un processo globale, legato all’ascesa della cultura coreana negli ultimi anni: dal fenomeno musicale del K-pop a film e serie di grande successo, come Parasite e Squid Game. Secondo i dati più recenti, l’Italia è il quinto paese europeo per quantità di prodotti agroalimentari importati dalla Corea, in aumento del 30 per cento rispetto al 2024.

Il kimchi risale a circa tremila anni fa ed esiste in centinaia di versioni diverse, a seconda degli ingredienti utilizzati. Quella di gran lunga più diffusa, specie al di fuori della Corea del Sud, è a base di cavolo cinese (o cavolo napa), anche se il kimchi può essere preparato con qualsiasi verdura che si possa consumare cruda. Per prepararlo si usano aglio, zenzero e spezie varie, tra cui il gochugaru, una polvere di peperoncino. Il tutto viene fatto fermentare per giorni al fresco. Il risultato, acidulo e piccante, può essere consumato come antipasto o contorno, o per preparare alcuni dei piatti più noti della tradizione coreana, come il bokkeumbap.

L’aumento delle importazioni in Italia è coinciso con l’apertura di nuovi ristoranti coreani, soprattutto nelle principali città. Tra questi, a Milano, c’è Li-sei Deli, un piccolo locale nei pressi dei Navigli, che ha aperto nel 2020. I gestori raccontano di aver notato un cambiamento nelle preferenze del pubblico: «All’inizio solo poche persone ordinavano il kimchi. Forse lo conoscevano di nome, ma avevano un po’ di timore nel provare un sapore così nuovo», ha detto Okhee Lee, una delle fondatrici. Oggi invece, tutti lo vogliono assaggiare, o addirittura lo ordinano per confrontarlo con kimchi consumati altrove.

Questa curiosità nei confronti del kimchi da parte del pubblico italiano ha sorpreso anche Erin Eun-Young Kim e Mark Blackwell, i fondatori di Kimchi Pop, un’azienda che da quest’anno produce kimchi direttamente in Italia e lo vende online. La coppia, che si è trasferita in Italia dagli Stati Uniti dopo il matrimonio, racconta di aver cominciato per esigenza personale (lei ha origini coreane). «All’inizio lo facevamo solo per noi e lo condividevamo con gli amici durante le cene. Poi hanno cominciato a chiederci dei vasetti da portare a casa», e da lì è nata l’idea di produrre kimchi in Italia e venderlo online.

Nonostante il successo degli ultimi anni, infatti, il kimchi è ancora difficile da trovare al di fuori dei ristoranti coreani, che in Italia restano comunque pochi rispetto a quelli di altre cucine asiatiche, come la cinese, l’indiana e la giapponese. La preparazione del kimchi (detta kimjang) è inoltre un processo delicato, anche se non troppo complicato, che nella tradizione coreana si fa in famiglia o in gruppo: improvvisarlo a casa senza alcuna esperienza precedente può essere difficile, nonostante l’abbondanza di video online sull’argomento.

Oltre al fattore novità e al fascino per la cultura sudcoreana, il kimchi interessa sempre più persone per le sue molte proprietà benefiche. Come molti cibi fermentati, il kimchi fa bene all’intestino e alla digestione, grazie alla presenza di probiotici, un tipo di microrganismi che si sviluppa nel corso della fermentazione e può contribuire all’equilibrio della flora intestinale. Come suggeriscono alcuni studi, inoltre, il kimchi può aiutare a perdere peso e a ridurre la percentuale del cosiddetto “colesterolo cattivo”, oltre che aumentare le difese immunitarie.

Di kimchi si è discusso anche durante la pandemia da Covid-19, quando diversi studi scientifici ipotizzarono che il tasso di mortalità relativamente basso registrato in Corea del Sud potesse essere legato al consumo massiccio di kimchi nel paese (più di due milioni di tonnellate all’anno). Ugualmente, diversi articoli, tra cui uno pubblicato dal British Medical Journal, hanno ipotizzato che il consumo di crauti, i cavoli fermentati tipici invece della cucina mitteleuropea, sia stato una delle ragioni del basso tasso di mortalità registrato in Germania durante la pandemia.

Il kimchi può essere integrato abbastanza facilmente in preparazioni e piatti tipici della cucina italiana, ad esempio utilizzandolo per condire bruschette o crostini, oltre che come contorno per piatti di carne. Il ristorante Li-sei Deli ha cominciato a collaborare con una macelleria milanese per vendere kimchi insieme ad arrosti di maiale, salumi e formaggi stagionati: «abbinamenti che, sorprendentemente, funzionano molto bene», assicurano. Il ristorante organizza anche workshop e degustazioni per avvicinare il pubblico a questa pietanza, raccontando le origini e la sua storia millenaria, i suoi benefici e come integrarlo nella cucina italiana.

Anche per Kimchi Pop l’obiettivo è uscire dai confini milanesi e dei principali centri abitati, puntando su collaborazioni, attività sul territorio e una rete di rivenditori in tutta Italia, in fase di sviluppo. Oltre a un evento pensato per la settimana della Milano Design Week 2025, Kimchi Pop ha anche organizzato un workshop di fermentazione a Brescia, e avviato una collaborazione con un ristorante di Pesaro.

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