Le borse di studio delle università italiane per studenti palestinesi
Sono quasi 100 e dovrebbero permettere a persone che vivono a Gaza o in Cisgiordania di andarsene dalla guerra, cosa oggi molto difficile

A inizio maggio la Conferenza dei rettori delle Università italiane (CRUI), un’associazione che riunisce università pubbliche e private, ha presentato un progetto per assegnare 97 borse di studio a studenti palestinesi. Sono destinate agli studenti e alle studenti che vivono nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e hanno l’obiettivo di permettere loro di venire in Italia per frequentare corsi biennali o triennali in una delle 35 università aderenti.
Dall’inizio della guerra nella Striscia, il 7 ottobre del 2023, alcune università europee hanno introdotto borse di studio per studenti palestinesi. Il progetto IUPALS (Università italiane per studenti palestinesi) è però la prima iniziativa coordinata di questo genere in Europa: seppur in numeri limitati e fra varie difficoltà burocratiche, dovrebbe permettere a quasi un centinaio di persone palestinesi di abbandonare contesti di guerra o di grande difficoltà e frequentare corsi universitari, tornando a poter ipotizzare un’idea di futuro.
Le borse di studio sono diverse da università a università, ma in generale valgono intorno ai 12mila euro e comprendono oltre all’iscrizione gratuita ai corsi un alloggio, fondi per il vitto e sostegno nelle pratiche burocratiche necessarie al trasferimento. In particolare l’ottenimento di una borsa di studio permette di richiedere un visto per l’Italia, e quindi di fatto di uscire dalla Striscia di Gaza.
L’Egitto e soprattutto Israele controllano tutti i confini della Striscia: dall’inizio della guerra gli abitanti non hanno possibilità di uscire, se non pagando cifre molto alte o su richiesta specifica di un paese straniero (e anche queste possibilità sono state soggette a temporanee interruzioni).
Maurizio Oliviero, rettore dell’università di Perugia e delegato CRUI alla cooperazione internazionale, dice che il progetto è iniziato alcuni mesi fa, nel tentativo di dare una risposta «non solo a parole, ma con qualcosa di concreto» a quello che sta succedendo: «Sappiamo che risponde a una piccola parte dei bisogni e che non è risolutivo». Lo definisce un «progetto pilota» e si augura che possa ingrandirsi. «Ciò che servirebbe davvero è un progetto Erasmus per la Palestina, che coinvolga tutte le università europee, che crei un corridoio umanitario universitario, che possa rendere più flessibili le normative per erogare le borse». Dice che dopo l’invasione russa dell’Ucraina, nel 2022, un programma Erasmus per gli studenti ucraini fu creato in 3-4 mesi e che in passato ne era stato lanciato con successo uno anche per studenti afghani.
Il progetto Erasmus, o Erasmus+, è il principale programma di scambio per i giovani promosso dall’Unione Europea, che prevede esperienze di studio e lavoro co-finanziate dal budget europeo. Dalla sua nascita, circa trent’anni fa, ha coinvolto milioni di persone e in varie occasioni è stato esteso a studenti di paesi non appartenenti all’Unione.
Per partecipare al progetto IUPALS invece gli studenti palestinesi devono rispettare i criteri richiesti a tutti gli altri studenti stranieri non europei: per esempio sono stati organizzati corsi di lingua italiana con frequenza obbligatoria, per chi dovrà seguire le lezioni in italiano. Li organizzano cinque università italiane insieme ad alcune fondazioni operanti sul territorio in Cisgiordania e a Gerusalemme, iniziano a giugno e finiscono a ottobre: è possibile seguirli online, cosa che però può essere complessa per chi vive nella Striscia di Gaza, dove non sempre è possibile trovare una connessione internet stabile. Allo stesso modo non sempre i vari documenti richiesti per l’iscrizione (passaporto, titoli di studio) sono a disposizione di chi si trova sotto le bombe.

Maurizio Oliviero, rettore dell’Università di Perugia (ANSA/BASILIETTI)
Il rettore Oliviero dice che le università «non possono sostituirsi ai governi», devono rispettare «la legalità», utilizzare gli strumenti politici e normativi presenti e possono al massimo stimolare dal basso la ricerca di soluzioni più strutturali, come lo sarebbe un “Erasmus per la Palestina” deciso dall’Unione Europea.
Le borse di studio riguardano corsi di discipline diverse, in campi scientifici e umanistici: in alcuni casi sono master o scuole di specializzazione, e spesso prevedono lezioni in lingua inglese.
Non esiste una data univoca di scadenza dei bandi (ogni università si è mossa autonomamente), ma molte coincidono con la fine di maggio. Entro il 23 maggio bisognava invece completare l’iscrizione ai corsi d’italiano. Dice Oliviero: «Non abbiamo ancora dati definitivi, ma le richieste per i corsi d’italiano sono state tantissime, intorno alle diecimila. Ho già sentito alcuni colleghi rettori che si sono detti pronti ad ampliare il numero delle borse di studio a disposizione».



