Sono tanti gli studenti afghani attesi dalle università italiane

Probabilmente oltre 200, iscritti a Roma, Padova, Venezia e Torino: molti sono rimasti bloccati a Kabul, e aiutarli a partire non sarà facile

Un aereo partito dall'aeroporto di Kabul. (AP Photo/Wali Sabawoon)
Un aereo partito dall'aeroporto di Kabul. (AP Photo/Wali Sabawoon)

Gli studenti afghani che dovrebbero raggiungere le università italiane e che sono però bloccati nel loro paese, o in altri vicini, sono centinaia. Il caso più eclatante e raccontato è quello delle 118 persone, di cui 81 donne, che a Kabul non sono riuscite a imbarcarsi su un volo per arrivare a Roma dove dovrebbero seguire il corso Global Humanities dell’Università La Sapienza. Altri casi sono stati segnalati alle università di Padova, Venezia, Verona, Torino, Genova. Non si sa per ora quale sia il numero esatto di studenti che devono raggiungere l’Italia, e neppure quanti siano tuttora in Afghanistan e quanti invece abbiano raggiunto paesi limitrofi, per i quali le preoccupazioni sono minori.

Dice al Post Dawood Yousefi, afghano da tempo in Italia, volontario alla comunità di Sant’Egidio: «Le ragazze e i ragazzi attesi a La Sapienza provengono da varie città dell’Afghanistan e sono di diverse etnie. Si sono ritrovati tutti a Kabul e sono ancora lì: sperano che la situazione si sblocchi. Sappiamo anche che ci sono altri ragazzi attesi dalle università venete, liguri o in Piemonte. Purtroppo però l’evacuazione ora è ufficialmente conclusa, al Terminal 5 dell’aeroporto di Fiumicino [dove sono atterrati i voli da Kabul] è chiuso. Le università dovevano lanciare l’allarme prima, anche se non so se sarebbe cambiato qualcosa».

Dawood Yousefi ha trascorso all’aeroporto di Fiumicino le ultime settimane: «Abbiamo accolto 5.011 miei connazionali, ma sono pochi, troppo pochi. Soprattutto le ragazze, quelle sopra i 12 anni, rimaste lì rischiano moltissimo. Spero che si riescano ad aprire corridoi umanitari per far uscire tanti altri che stanno cercando di scappare».

I nomi delle 118 studentesse, studenti e ricercatori, tra cui nove bambini, attesi all’università La Sapienza di Roma erano inseriti nell’elenco delle persone che avrebbero dovuto essere evacuate grazie al ponte aereo organizzato dal ministero della Difesa italiano. Divisi in piccoli gruppi erano in attesa di essere recuperati dai militari nei punti di raccolta concordati. L’attentato all’aeroporto della scorsa settimana ha bloccato l’operazione. Sempre a piccoli gruppi, gli studenti e le studentesse hanno quindi tentato di raggiungere da soli l’aeroporto ma i talebani a quel punto avevano chiuso ogni possibile accesso.

La speranza ora è quella che si arrivi a un accordo con il nuovo governo dei talebani per consentire l’apertura di corridoi umanitari. In questo momento l’altra opzione percorribile sembra essere quella di far uscire le persone via terra, facendole arrivare in Pakistan, ma sarebbe essenziale l’aiuto dell’intelligence pakistana. È molto difficile invece che studentesse e studenti riescano a imbarcarsi su uno dei voli americani ancora in partenza. Ha detto il prorettore della Sapienza Bruno Botta: «L’obiettivo sarebbe quello di trasferire in Italia tra le 180 e le 190 persone, inserendo anche i nomi dei ragazzi che avevano partecipato alle selezioni ma in un primo momento non erano stati ammessi al corso».

Una delle studentesse ha scritto una lettera al quotidiano La Stampa in cui ha detto di aver cercato, con alcune sue compagne, di raggiungere l’aeroporto «nonostante esplosioni, sparatorie e violenze», spiegando però che «i talebani non ci hanno permesso di avvicinarci». La lettera si conclude con un appello al governo italiano: «Chiediamo al governo italiano e alle comunità internazionali di collaborare con noi studenti dell’Afghanistan. Siamo un gruppo sociale vulnerabile in questo paese martoriato e abbiamo urgente bisogno di aiuto per salvare le nostre vite da questa situazione di immediato pericolo. Abbiamo bisogno di speranza per continuare la vita».

Una lettera è arrivata anche al rettore dell’università di Padova, Rosario Rizzuto, inviata da uno studente afghano ammesso all’università di Padova:

«Caro signore, spero che lei stia bene. Sono stato ammesso all’anno accademico 2021-2022 e beneficio di una borsa di studio del governo italiano. Il programma di studi, come mi è stato detto, partirà ad ottobre 2021. Però l’ambasciata italiana, a causa dell’attuale situazione che si è venuta a creare in Afghanistan, è chiusa e il personale ha già lasciato il Paese. Mi è impossibile presentare la domanda di visto nei tempi richiesti e temo che le difficoltà in corso comporteranno un notevole ritardo sull’arrivo a Padova. Ho paura che questa orribile condizione non mi faccia arrivare in tempo per l’inizio delle lezioni. Dunque, vorrei chiederle gentilmente di tenere in considerazione il mio caso».

Sono 17 in tutto gli studenti attesi all’università di Padova, di cui 13 però sono attualmente in altri paesi. Per loro la situazione è meno complessa, mentre per i quattro bloccati in Afghanistan, tra cui il ragazzo che ha scritto la lettera, l’università è in contatto con il ministero degli Esteri e con quello dell’Università e della ricerca. Hanno dai 20 ai 30 anni: sono tutti laureati e si sono iscritti a Padova per fare un master in inglese. Studiano diritti umani, ingegneria, biotecnologie, lingue, economia. «La lettera che ho ricevuto», ha detto il rettore Rizzuto, «è una lettera garbata, dear sir, caro signore, che trasuda angoscia ma anche dignità e non rassegnazione. Mi ha commosso, ha commosso tutta l’università. Gli ho risposto immediatamente “Caro studente, ti aspettiamo a Padova, sei il benvenuto, non ti preoccupare minimamente della scadenza. Sosterremo e aiuteremo ad arrivare te, le tue colleghe e i tuoi colleghi che avevate programmato o stavate programmando di venire a studiare a Padova”».

Altre venti matricole afghane sono iscritte a Venezia, tre pre-iscritte a Verona. L’università di Genova attende 17 studenti, tra cui tre ragazze, di cui sono state accettate le domande: «Stiamo facendo di tutto per farli arrivare», ha detto il prorettore Fulvio Mastrogiovanni. Anche a Torino ci sono 30 pre-iscrizioni provenienti dall’Afghanistan: giovani che devono formalizzare l’iscrizione al Politecnico e all’università di Torino. Anche in questi casi non si sa quanti siano ancora in Afghanistan, e quanti abbiano già raggiunto altri paesi. All’Università di Torino è stata messa insieme una squadra per aiutare gli studenti afghani che ha tra l’altro rilanciato la petizione dell’associazione internazionale Scholars at risk, per supportare il trasferimento di ricercatrici e ricercatori provenienti da paesi a rischio. La Crui, Conferenza dei rettori delle università italiane, cercherà di contattare, attraverso il portale Universitaly, tutti gli studenti afghani che si sono preimmatricolati.

Il Ministero dell’Università e della Ricerca sta tenendo aggiornata la lista ma il problema è, appunto, che non si sa in questo momento dove siano gli studenti. Molti ragazzi hanno contattato i singoli atenei che però al momento possono fare poco se non segnalare la situazione al ministero della Difesa e a quello dell’Università. Ha detto la ministra dell’Università Cristina Messa:

«Non solo abbiamo quel centinaio di ragazze e ragazzi che aspettano di arrivare, ma anche gli artisti. Tutto il mondo accademico si è attivato per dare ospitalità, borse di studio, residenze e iscrizioni ai nostri corsi di laurea. La cifra delle persone che dovrebbero arrivare è in divenire, alcuni non sono in Afghanistan ma in altri Paesi. Per i preiscritti è difficile da calcolare, quelli che erano già nelle università ed erano tornati a casa per il periodo estivo sono molto pochi. È una situazione in divenire, le università ci stanno ancora adesso comunicando nuovi nominativi».