Il più famoso esperimento sulla resistenza alla tentazione
Il cosiddetto “test del marshmallow” continua a essere proposto ai bambini, dopo più di cinquant’anni e con nuovi risultati

Chiunque frequenti un corso universitario di psicologia sociale sente parlare abbastanza presto del cosiddetto “test del marshmallow”, un esperimento condotto negli anni Settanta all’università di Stanford dallo psicologo austriaco Walter Mischel. Valuta la capacità dei bambini in età prescolare di rimanere da soli in una stanza e resistere per 15 minuti alla tentazione di mangiare un marshmallow, o un dolcetto equivalente, con la promessa di averne un altro come ricompensa subito dopo, e a quel punto di poterli mangiare entrambi.
Nel corso dei decenni l’esperimento è stato replicato, ampliato e messo in discussione, soprattutto in relazione a studi successivi che associarono la capacità di autocontrollo dei bambini a vari risultati in età adulta, tra cui il successo professionale. Dopo una cinquantina d’anni, in ambito accademico se ne parla ancora: un nuovo studio di un gruppo di ricerca dell’università di Manchester, per esempio, ha scoperto che è molto più probabile che il bambino resista alla tentazione di mangiare il dolcetto se prima dell’esperimento ha visto un’altra o un altro bambino promettere di non mangiarlo.
La versione classica dell’esperimento prevede di presentare al bambino il dilemma tra mangiare subito un marshmallow o averne due dopo 15 minuti. Nei loro studi degli anni Settanta Mischel e i suoi colleghi raggrupparono in totale circa 600 bambini e bambine della scuola materna dell’università di Stanford, di età compresa tra quattro e sei anni. Dopo che lo sperimentatore usciva dalla stanza, una telecamera nascosta continuava a registrare cosa succedeva.
Alcuni bambini mangiavano subito il marshmallow, altri cercavano faticosamente una distrazione, altri ancora lo annusavano o ne assaggiavano solo un pezzetto. Alla fine soltanto uno su tre circa riusciva a resistere alla tentazione.
Una delle coautrici del nuovo studio, la psicologa tedesca Rebecca Koomen, aveva già introdotto alcune variazioni dell’esperimento per un precedente studio del 2020, condotto in Kenya e in Germania. Aveva scoperto che i bambini di entrambi i paesi erano più inclini a rimandare la gratificazione immediata se indotti dagli sperimentatori a cooperare tra loro.
Nello studio del 2020 tutti i bambini e le bambine avevano innanzitutto fatto un gioco insieme, per familiarizzare; poi erano stati raggruppati casualmente a coppie. A entrambi i bambini di ogni coppia, che non potevano né vedersi né comunicare tra loro, veniva spiegato che se avessero aspettato a mangiare il biscotto ne avrebbero ricevuto un altro. Se però anche uno soltanto tra loro due non avesse resistito alla tentazione, nessuno dei due avrebbe ricevuto un secondo biscotto.
Dai risultati emerse che quando i bambini dipendevano l’uno dall’altro sceglievano di aspettare molto più di quanto aspettassero nella versione classica dell’esperimento. Koomen e gli altri ricercatori hanno interpretato i risultati come un segno che i bambini cominciano a sviluppare un senso di obbligo sociale verso gli altri – quello che si osserva anche negli adulti – fin dai primi anni di età.
Lo studio più recente, ispirato al precedente, è stato condotto su 66 bambini e bambine del Regno Unito, di età compresa tra 5 e 6 anni. L’esperimento si è svolto online, con la collaborazione dei genitori. Ciascun genitore sceglieva il dolcetto preferito della propria figlia o del proprio figlio, che doveva poi rimanere davanti al dolcetto e a un computer con la webcam accesa, in una stanza di casa il più possibile priva di distrazioni.
All’inizio dell’esperimento un breve video mostrava un altro bambino, segretamente “complice” del gruppo di ricerca. Come nello studio del 2020, per avere un secondo dolcetto serviva che entrambi i bambini resistessero alla tentazione. Ma in una versione del video il bambino prometteva esplicitamente che non avrebbe mangiato il dolcetto, mentre nell’altra era ambiguo e faceva intendere che forse lo avrebbe mangiato.
Anche dai risultati del nuovo esperimento è emerso che la fiducia reciproca e l’impegno a fare qualcosa insieme possono ispirare la capacità di rimandare gratificazioni immediate. Infatti i bambini che avevano visto il video in cui l’altro bambino prometteva di resistere aspettavano più a lungo di quelli che avevano visto il video in cui invece il bambino alludeva alla possibilità di mangiare il dolcetto. I risultati hanno sostanzialmente confermato che i bambini attribuiscono molta importanza alle promesse: se ce n’è di mezzo una, sono anche meno inclini a imbrogliare e più inclini a dire la verità.
Dallo studio è emerso anche che i bambini più piccoli aspettavano leggermente di più di quelli più grandi. Secondo Koomen e gli altri autori questa lieve differenza potrebbe dipendere dal fatto che i più grandi, rispetto ai più piccoli, hanno avuto più occasioni di imparare a proprie spese che le promesse altrui non sempre vengono mantenute.
La popolarità del test del marshmallow nelle scienze sociali è legata non soltanto agli studi degli anni Settanta, ma alle ricerche poi condotte nel tempo sugli stessi bambini che avevano partecipato ai primi esperimenti. Studiandoli durante l’adolescenza e in età adulta, Mischel e i suoi colleghi scoprirono che, in generale, chi aveva mostrato maggiore autocontrollo davanti al marshmallow se l’era poi cavata molto meglio nella vita.
Le bambine e i bambini più disciplinati nel test avevano ottenuto voti più alti a scuola e nei test di ammissione ai college statunitensi, lavori meglio retribuiti, meno gravidanze indesiderate e meno problemi di comportamento e di salute. Agli esperimenti degli anni Settanta partecipò tra gli altri Whitney Tilson, poi diventato un investitore di successo e peraltro candidato alle primarie dei Democratici per la carica di sindaco alle prossime elezioni a New York. Sulla base delle conclusioni degli studi di Mischel, è ragionevole supporre che fosse tra i bambini disciplinati, ma in un podcast nel 2023 Tilson raccontò di non ricordarlo e di non averlo mai saputo nemmeno da Mischel e dagli altri ricercatori, che non volevano influenzare l’esperimento neanche dopo molti anni.
Sia gli studi più recenti che altri condotti nei primi anni Dieci del Duemila hanno tuttavia esposto diversi limiti dell’esperimento del marshmallow. È stato notato come il contesto – per esempio una promessa altrui, appunto – possa influenzare le scelte più di quanto lo faccia un’eventuale predisposizione individuale a rimandare le gratificazioni immediate. I risultati nei test possono inoltre variare tra una cultura e l’altra, e anche tra una generazione e un’altra.
Lo stesso Mischel, morto nel 2018, sostenne a lungo che il test non serviva a predire il futuro dei bambini: può mostrare particolari capacità di riflettere in situazioni difficili, ma i fattori ambientali che influenzano realmente le vite delle persone sono troppi. Secondo ricerche recenti condotte dallo psicologo statunitense Tyler W. Watts, per esempio, non c’è alcuna correlazione tra la capacità di resistere nel test del marshmallow in età prescolare e i futuri successi scolastici e professionali, se si tengono in considerazione aspetti come le abilità cognitive, le condizioni socio-economiche della famiglia di provenienza e altri fattori.
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