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  • Giovedì 8 maggio 2025

80 anni fa la Germania si arrese

Passò una settimana fra la morte di Hitler e la firma con cui i tedeschi rinunciarono alle ostilità: di mezzo ci furono combattimenti e trattative

Il generale Wilhelm Keitel firma la resa tedesca davanti ai rappresentanti dell'Unione Sovietica nel quartier generale dell'Armata Rossa vicino a Berlino, l'8 maggio 1945 (Wikimedia)
Il generale Wilhelm Keitel firma la resa tedesca davanti ai rappresentanti dell'Unione Sovietica nel quartier generale dell'Armata Rossa vicino a Berlino, l'8 maggio 1945 (Wikimedia)
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Negli ultimi giorni di aprile e nei primi di maggio del 1945, 80 anni fa, si svolgevano in Europa le ultime fasi della Seconda guerra mondiale. L’esercito della Germania nazista contava ancora milioni di uomini e controllava ampi territori anche fuori dai confini tedeschi, ma i suoi soldati erano demoralizzati, spesso arruolati a forza fra ragazzini e anziani, e le possibilità di respingere l’avanzata alleata erano nulle.

Il 30 aprile del 1945 Adolf Hitler si suicidò, con le truppe sovietiche a pochi chilometri dal bunker di Berlino in cui si trovava, dopo aver appreso la notizia dell’uccisione di Benito Mussolini in Italia e dello scempio del cadavere. Assieme a lui si uccise la sua compagna Eva Braun, che da poche ore era diventata sua moglie. Nel suo testamento Hitler indicò suoi successori alla guida della Germania Joseph Goebbels, come cancelliere del Reich, e l’ammiraglio Karl Dönitz, come presidente: non ci sarebbe più stato un Führer, titolo paragonabile a quello di duce in Italia, che Hitler si era attribuito quando aveva preso il controllo del paese, nel 1933, e instaurato il regime nazista.

Anche Goebbels però si suicidò alcune ore dopo, assieme alla moglie con cui aveva poco prima ucciso i 6 figli. Dönitz, una figura fino a quel punto relativamente marginale, si trovò quasi da solo a comandare quello che restava della Germania dalla città di Flensburg, al confine con la Danimarca (in quello che è quindi ricordato come “governo di Flensburg”), mentre le forze armate, o meglio le sacche di resistenza naziste, anche ben armate e difese ma ormai isolate e sparpagliate in vari punti d’Europa, erano comandate almeno nominalmente dal generale Wilhelm Keitel.

Karl Dönitz, al centro e vestito di nero, viene arrestato dai soldati alleati assieme ad altri membri del governo di Flensburg: a sinistra Albert Speer, ministro degli Armamenti, a destra il capo di stato maggiore Alfred Jodl (Wikimedia)

Poco prima della morte di Hitler, il suo stretto collaboratore Heinrich Himmler aveva proposto di sua iniziativa ai paesi occidentali di cessare le ostilità, per poterle continuare sul solo fronte orientale contro l’Unione Sovietica. La risposta venne respinta. I sovietici però mantennero il timore che i nazisti contrattassero una pace separata e proseguissero la guerra contro di loro, sentimento che alla fine in qualche modo influenzò effettivamente le trattative per la fine delle ostilità.

I tedeschi erano molto più propensi a trattare con i paesi occidentali che non con i sovietici per vari motivi. L’ideologia nazista si basava fra le altre cose su un antislavismo e un anticomunismo ferocissimi, e sul fronte orientale i nazisti avevano compiuto molte delle loro peggiori atrocità, sia contro la popolazione che contro i soldati nemici. Trattare con Stati Uniti, Regno Unito e Francia era ideologicamente più coerente per i nazisti, che speravano anche che eventuali condizioni di resa fossero meno punitive e che i paesi capitalisti vedessero positivamente un proseguimento della guerra che indebolisse i comunisti sovietici, con cui prima della guerra avevano pessimi rapporti.

Alla morte di Hitler i territori nazisti non ancora conquistati dagli eserciti alleati di Stati Uniti, Francia, Regno Unito (sul fronte occidentale della Germania), e dell’Unione Sovietica (sul fronte orientale) erano diversi: molte parti delle montagne italiane (dopo che Milano e Torino erano state liberate il 25 aprile), quelle del Tirolo e dell’Austria, la Cecoslovacchia e le zone circostanti di Germania orientale e Polonia sud-occidentale, i Paesi Bassi, l’estremo nord della Germania dove si era rifugiato il governo, la Danimarca, la Norvegia e altre zone più ridotte, ma anche le isole della Manica e diverse fortezze sulla costa atlantica della Francia, lasciate molto indietro dalla linea del fronte.

In questa situazione molti generali rimasti accerchiati o isolati assieme alle loro truppe, che contavano anche centinaia di migliaia di uomini, presero indipendentemente accordi per la resa con le forze alleate: il 29 aprile lo fecero dopo lunghe trattative segrete i reparti in Italia e Austria, che contavano più di un milione di soldati. Li seguirono le forze stanziate a Berlino, conquistata dai sovietici, e quelle nel nord della Germania e in Danimarca, Norvegia e in diversi altri territori.

Con lo sgretolamento dell’esercito e del governo nazisti quello che rimaneva del governo si decise a firmare la resa alle condizioni degli alleati di tutto ciò che rimaneva del comando delle forze armate. Il 6 maggio il capo di stato maggiore dell’esercito tedesco, il generale Alfred Jodl, venne inviato alla sede del comando alleato dei paesi occidentali, a Reims, poco fuori Parigi, per firmare la resa. Jodl però si impuntò tutto il giorno per provare a rallentare il più possibile le trattative, nella speranza di permettere ai soldati nazisti rimanenti di arrendersi ai soldati occidentali piuttosto che a quelli sovietici, presso cui la prigionia si prospettava molto più dura e che avevano commesso grandi atrocità nelle zone tedesche occupate; ma anche nel disperato tentativo di spezzare il fronte alleato e tentare un contrattacco solo sul confine orientale.

Il generale Dwight D. Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate sul fronte occidentale, fu durissimo. Si rifiutò di incontrare i rappresentanti tedeschi prima della cessazione dei combattimenti e quindi non partecipò alla firma: ordinò però ai suoi rappresentanti di non cedere alle richieste di Jodl e di esigere una resa senza condizioni. Alla fine l’accordo venne firmato alle 2 di notte del 7 maggio.

Il documento imponeva a «tutte le forze sotto il controllo tedesco» di «cessare le operazioni attive alle 23:01 ora dell’Europa centrale dell’8 maggio», e di «rimanere nelle posizioni occupate in quel momento».

Il maresciallo Georgy Zhukov firma la resa tedesca, l’8 maggio 1945 (Wikimedia)

Il testo specificava che la resa veniva offerta anche ai sovietici, ma dopo la sua firma il governo dell’Unione Sovietica si lamentò del fatto che l’accordo sembrava una pace separata: occorse firmare un nuovo documento. Il secondo documento fu quindi firmato nelle vicinanze di Berlino l’8 maggio stesso, nel quartier generale locale dell’Armata Rossa, l’esercito dell’Unione Sovietica: erano presenti il generale Wilhelm Keitel, capo del Comando supremo dell’esercito tedesco, e Georgy Zhukov, il generale che aveva guidato la controffensiva sovietica contro l’invasione nazista sul fronte orientale.

Appena la notizia divenne nota ci furono vaste manifestazioni spontanee di gioia in molte parti d’Europa, per la fine di una guerra brutale che per quasi sei anni aveva devastato il continente e non solo a livelli con pochissimi precedenti.

Il documento firmato a Berlino riportava le stesse condizioni, fra cui l’ora di fine delle ostilità, che però per Mosca era già il giorno dopo: per questo tutt’ora in Russia la fine della Seconda guerra mondiale si festeggia il 9 maggio (con parate militari che negli ultimi tempi sono diventati uno dei momenti di propaganda preferiti da Vladimir Putin).

– Leggi anche: La Germania vuole ricordare la liberazione di Berlino senza la Russia

Pochi giorni dopo Dönitz e Keitel vennero arrestati, il governo di Flensburg venne sciolto e iniziò l’occupazione alleata della Germania, che alcuni anni dopo portò alla sua spartizione fra l’Est del paese, sotto influenza sovietica, e l’Ovest, allineato ai paesi occidentali. I due vennero processati dagli alleati per crimini di guerra a Norimberga, assieme agli altri gerarchi nazisti: Dönitz fu condannato a dieci anni di carcere e morì nel 1980. Keitel venne invece condannato a morte e ucciso per impiccagione nel 1946.

I nazisti avevano promesso al popolo tedesco enormi progetti di conquista e un impero che avrebbe dominato il mondo per millenni: il loro regime durò solo 12 anni. Prima di essere sconfitti i loro eserciti riuscirono a occupare praticamente l’intera Europa continentale, e si macchiarono di alcuni dei peggiori crimini della storia dell’umanità.

Dopo la sconfitta della Repubblica Sociale Italiana fascista e della Germania nazista in Europa, la guerra si protrasse ancora per diversi mesi nel Pacifico, dove l’impero giapponese si rifiutò fino all’ultimo di accettare la resa totale richiesta dagli Stati Uniti (l’Unione Sovietica entrò in guerra con il Giappone solo all’inizio di agosto, pochi giorni prima dell’armistizio, e comunque ebbe un ruolo limitato). Gli Stati Uniti decisero quindi di usare la bomba atomica sulle città giapponesi, il 6 e il 9 agosto, uccidendo più di 100mila persone, la maggior parte civili (le stime sul loro numero variano). La resa fu annunciata dall’imperatore Hirohito il 15 agosto, e firmata il 2 settembre, 6 anni e un giorno dopo l’inizio della guerra.

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