Anche alle elezioni australiane si parla di chi vi immaginate
Inizia per "T" e finisce per "rump"

Sabato 3 maggio si vota per rinnovare le due camere del parlamento in Australia. Durante la campagna elettorale si è parlato parecchio di un tema diventato ricorrente in altre elezioni negli ultimi mesi: il presidente statunitense Donald Trump. In particolare dei dazi che Trump ha imposto sull’importazione di prodotti australiani, e più in generale dall’incertezza causata dalla sua comunicazione caotica, fatta di continui annunci, promesse e minacce.
Qualcuno ha persino definito Trump un «terzo candidato» a queste elezioni, oltre ai due principali partiti e ai loro leader. L’inizio del secondo mandato di Trump, lo scorso gennaio, ha anche coinciso con un netto spostamento di consensi nei sondaggi, che rende le elezioni particolarmente imprevedibili.
Dal 2022 in Australia è in carica un governo sostenuto dai Laburisti, il principale partito di centrosinistra del paese. Il primo ministro Anthony Albanese non è particolarmente amato, ma neppure così impopolare: sarà di nuovo lui il candidato informale del partito per l’incarico di primo ministro (in Australia il leader del partito che vince le elezioni diventa primo ministro). Il Partito Liberale, di centrodestra, è guidato invece da Peter Dutton: ex poliziotto, a lungo deputato, una decina d’anni fa era ministro dell’Immigrazione quando fu promossa una contestatissima politica di respingimento delle persone migranti che cercavano di arrivare via mare in Australia, per certi aspetti ancora in vigore.

Il primo ministro australiano Anthony Albanese, a destra, e un elettore che si fa un selfie durante un evento elettorale alla periferia di Sydney (Asanka Ratnayake/Getty Images)
L’accoglienza di migranti e di lavoratori stranieri è un tema molto sentito da anni in Australia: da tempo Albanese ha posizioni piuttosto di destra e in campagna elettorale si è vantato di avere ridotto il numero di persone straniere che si sono trasferite in Australia, negli ultimi mesi del suo mandato. Il Partito Liberale lo attacca da tempo sostenendo che gli arrivi di migranti abbiano anche peggiorato il problema delle poche case disponibili a basso prezzo (altra questione di cui si discute da tempo).
L’elezione di Trump ha parzialmente oscurato queste discussioni. Gli Stati Uniti sono uno dei principali partner commerciali dell’Australia, con cui peraltro dal 2005 hanno un accordo che prevede zero dazi su moltissimi prodotti. L’Australia inoltre importa molti più beni e servizi dagli Stati Uniti di quanto ne esporti, l’equivalente di circa 77 miliardi di euro contro 32,9 miliardi.
Sono numeri che in teoria dovrebbero piacere a Trump, eppure anche l’Australia è stata colpita sia dai dazi al 10 per cento che Trump ha imposto a moltissimi paesi del mondo, sia da dazi aggiuntivi sull’acciaio e sull’alluminio. Non è chiarissimo perché: ultimamente Trump si è lamentato molto del fatto che dal 2003 in Australia è di fatto vietato importare carne bovina dagli Stati Uniti (una norma presa per la cosiddetta epidemia di “mucca pazza” e mai cancellata).
Ormai da tempo gli australiani hanno sviluppato una pessima opinione di Trump: secondo un recente sondaggio soltanto il 36 per cento di loro ha un’opinione positiva nei suoi confronti – un dato più basso di 20 punti rispetto a luglio del 2024 – e l’81 per cento di loro ritiene che sia sbagliato imporre dazi per fare pressione sugli altri paesi e ottenere altri obiettivi. Al contempo l’80 per cento degli australiani ritiene che l’alleanza con gli Stati Uniti continui a essere importante per la sicurezza dell’Australia.

Il primo ministro australiano Anthony Albanese (a sinistra) e il leader dell’opposizione Peter Dutton durante un dibattito, il 7 aprile 2025 (Dan Peled/Getty Images)
È plausibile pensare che gli australiani sceglieranno quale partito votare anche in base a chi riterranno più abile nell’avere a che fare con Trump.
Alcuni osservatori mettono in relazione il recente aumento di consensi per il Partito Laburista al loro approccio più duro verso Trump. Altri ritengono invece che sia stato Dutton, il leader del Partito Liberale, a perdere consensi perché troppo allineato a Trump: sull’immigrazione, sui diritti civili, sulla necessità di ridurre sussidi e ridimensionare l’amministrazione pubblica. Altri ancora pensano semplicemente che votare per Dutton, e quindi cambiare il partito al governo, sia un po’ un salto nel vuoto dato il clima di estrema incertezza di questi mesi.
Al momento i sondaggi danno i Laburisti in leggero vantaggio sui Liberali, dopo mesi in cui questi ultimi erano stati davanti. In ogni caso sembra difficile che un partito riesca a ottenere la maggioranza per governare da solo, come accadde nel 2022: per formare un governo quasi sicuramente dovranno allearsi con partiti più piccoli.



