Il Regno Unito sta perdendo la tradizione dello snooker
E presto il torneo più prestigioso al mondo potrebbe non tenersi più in Inghilterra (ma indovinate dove?)

In questi giorni si sta giocando il World Snooker Championship, uno dei tre tornei di snooker più prestigiosi al mondo assieme allo UK Championship e al Masters, che è conosciuto anche come Crucible perché da quarantanove edizioni si svolge al Crucible Theatre di Sheffield, in Inghilterra. Lo snooker è una variante del biliardo molto diffusa soprattutto nel Regno Unito, dove viene praticato sin dalla fine dell’Ottocento, ma negli ultimi decenni la sua popolarità da quelle parti ha avuto un calo sia nei praticanti sia negli spettatori televisivi, ed è alle prese con un ricambio generazionale faticoso e incerto.
I Mondiali (per semplificare si possono chiamare anche così) finiranno lunedì 5 maggio e in Italia sono trasmessi da Eurosport. Tra i sedici giocatori qualificati al secondo turno di quest’anno sei sono cinesi, un record, e quattro di loro hanno meno di trent’anni; il più giovane tra i giocatori britannici rimasti in gara ha 33 anni, e la maggior parte ne ha più di 40. Anche per questo motivo Ronnie O’Sullivan, ex numero 1 del ranking mondiale, ha parlato dell’importanza di aprire nuove scuole di snooker nel Regno Unito finanziate anche pubblicamente, come avviene proprio in Cina.
O’Sullivan ha quasi cinquant’anni (è nato nel 1975 come John Higgins e Mark Williams, altri due snookeristi formidabili) ed è il più forte e famoso giocatore di snooker al mondo. Gioca a biliardo da oltre trent’anni, nei quali ha vinto varie volte i principali tornei del circuito, con uno stile di gioco spettacolare e una personalità che lo hanno reso celebre anche oltre il mondo del biliardo. Quando ha iniziato a giocare (diventò professionista nel 1992 e a 17 anni diventò il più giovane vincitore dello UK Championship), lo snooker era ancora nel suo periodo migliore.
Pochi anni prima, nel 1985, la finale del Crucible tra Dennis Taylor e Steve Davis fu vista da 18,5 milioni di persone sulla BBC, la televisione pubblica britannica; la finale dello scorso anno tra Kyren Wilson e Jak Jones ha avuto un’audience di circa 6 milioni di persone: parecchie, ma un terzo di quelle che c’erano quarant’anni fa. Dal 2027, peraltro, scadrà la licenza del Crucible Theatre per ospitare l’evento, e per la prima volta in cinquant’anni ci sarà il rischio che il World Championship si terrà altrove, in Inghilterra o all’estero. Si dice che l’Arabia Saudita sarebbe interessata ad accaparrarselo.
Dieci minuti di O’Sullivan che fa cose eccezionali, prima dello spieghino sullo snooker
Lo snooker si gioca con 15 bilie rosse, 6 colorate e una bianca, la battente (cioè quella che si deve colpire con la stecca), su un tavolo molto grande (3,57 per 1,78 metri) con sei buche. I giocatori devono imbucare una bilia rossa e una colorata qualsiasi, in sequenza. Le bilie rosse valgono tutte un punto e una volta imbucate vengono tolte dal gioco, le colorate a salire dai 2 punti della gialla ai 7 della nera. Ogni volta che vengono imbucate, le bilie colorate vengono rimesse in gioco in spot del tavolo prestabiliti, fino a che tutte le rosse non sono state imbucate, e non sono rimaste sul tavolo quindi solamente le bilie colorate. A quel punto, il giocatore deve ripulire il tavolo, imbucando le colorate in ordine di valore: gialla, verde, marrone, blu, rosa e nera.
Per vincere un match di snooker bisogna vincere un certo numero di partite, dette frame, che varia a seconda sia del torneo, sia della fase del torneo: per esempio il primo turno del Mondiale viene giocato al meglio dei 19 frame (quindi vince chi arriva per primo a dieci), mentre la finale della stessa competizione si gioca al meglio dei 35 frame (chi arriva per primo a 18). Non c’è un punteggio massimo nel singolo frame, essendoci le penalità, ma esiste la serie perfetta da 147 punti, ottenibili imbucando sempre la bilia nera dopo ciascuna delle quindici rosse: O’Sullivan è il giocatore che ha fatto più serie perfette nella storia, quindici finora.
Per chi non ha ancora le idee chiare dopo aver letto i due paragrafi qui sopra
La proposta di O’Sullivan per rilanciare il gioco tra i giovani e formare nuovi giocatori di talento prevederebbe di aprire almeno un’accademia, finanziata in parte dal governo, in ciascuno dei paesi del Regno Unito; ha detto che lui potrebbe gestire quella in Inghilterra, Higgins quella in Scozia, Williams in Galles e magari Ken Doherty, un altro celebre giocatore, in Irlanda. Il problema dello snooker non è però solo l’assenza di un percorso formativo istituzionalizzato, quanto la progressiva perdita di una certa “cultura” legata al biliardo, e dei posti dove giocarlo.
Negli ultimi vent’anni sono diminuiti i posti in cui giocare a snooker nel Regno Unito, e di conseguenza anche le persone che ci giocano, a causa innanzitutto di un generale cambio di abitudini. Il biliardo (e frequentare i pub in cui si gioca) è diventato un passatempo meno popolare, perché tra le altre cose ha subìto la concorrenza di altri hobby come i videogiochi e, in seguito, di tutte le cose che si possono fare online oggi.
L’australiano Neil Robertson, 43 anni, numero 9 del ranking (e in passato varie volte numero 1), di recente ha ricordato che «quando ero giovane il divertimento era stare al club di snooker per 12 ore, che a quei tempi era un posto molto divertente, dove c’erano molti ragazzi più o meno della mia età». Oggi invece, secondo Robertson, i giovani che si dedicano allo snooker sono da subito «ultra professionali» e in poco tempo smettono di giocare per divertimento.

L’australiano Neil Robertson (Yu Chun Christopher Wong/Eurasia Sport Images/Getty Images)
Nel 2023 l’articolo Changing Britain through the frame of snooker ha raccolto un po’ di dati sulla diffusione dello snooker nel Regno Unito. Nel 2007, per esempio, il 12,7 per cento delle quasi 25mila persone britanniche intervistate da un sondaggio diceva di aver giocato almeno una volta a qualche tipo di biliardo nell’anno precedente; dieci anni dopo la percentuale era scesa all’8,6 per cento. Non esiste un censimento ufficiale dei posti in cui si può giocare a snooker, ma nel 2005 un sito elencava 945 locali presenti nel Regno Unito con almeno un tavolo da snooker prenotabile; nel 2018 erano diventati poco più di 700. Diversi pub gestiti dalla catena Rileys, nei quali si giocava a snooker e a freccette, hanno chiuso o cambiato gestione.
Con la pandemia ci sono state altre chiusure e in generale sono diventati abbastanza comuni casi di circoli di snooker dismessi o demoliti per costruirci altro. L’esclusione delle donne (oggi possono competere con gli uomini, ma ce ne sono ancora poche che lo fanno) era un tempo molto comune e avveniva in modo più o meno esplicito: un fatto che non ha contribuito ad ampliare il bacino per il ricambio generazionale, reso complicato anche dalla grande longevità che uno sport come il biliardo consente.
C’è comunque, in certi luoghi del Regno Unito, qualche segnale di ripresa dello snooker dopo la pandemia: alcuni tornei locali, per esempio, hanno di recente registrato un numero di iscrizioni piuttosto incoraggiante.

Il gallese Mark Williams e, sullo sfondo, lo scozzese John Higgins; entrambi cinquantenni, sono ancora tra i migliori giocatori al mondo (George Wood/Getty Images)
I club locali e amatoriali non sono in ogni caso gli unici che faticano a stare al passo con i tempi: luoghi come il Crucible Theatre o l’Alexandra Palace di Londra (dove dal 2012 si tiene il Masters) non vengono più ritenuti adatti per ospitare i più prestigiosi tornei di snooker al mondo. Un articolo pubblicato la settimana scorsa dal Telegraph sostiene che il Regno Unito non meriti di ospitare i Mondiali di snooker; l’autore del pezzo, William Sitwell, scrive che gli organizzatori del Crucible (il World Snooker Tour) «stanno trattando questo sport moderno e internazionale, con un pubblico globale, come fosse una partita amatoriale. Non sono quasi stati fatti passi avanti rispetto agli anni Settanta, quando guardavamo le partite in bianco e nero e senza volume».
Il Crucible Theatre è in effetti abbastanza piccolo (può contenere fino a 980 spettatori), e nei primi turni le partite si svolgono su tavoli divisi da separè un po’ improvvisati, con i giocatori che possono essere disturbati dagli applausi provenienti dal pubblico di un’altra partita. Da un lato è ciò che rende affascinante questo torneo, che ha mantenuto negli anni una dimensione piuttosto intima, pur essendo così prestigioso, ma dall’altro un luogo come il Crucible Theatre di oggi dà pochi margini di crescita economica al World Snooker Tour. Quanto all’Alexandra Palace, dove si tiene anche l’eccentrico Mondiale di freccette, lo scorso anno O’Sullivan lo definì «disgustoso», raccontando che era sporco, freddo e inospitale.
Lo snooker è tradizionalmente giocato nei paesi del Commonwealth e in pochi altri, tra i quali la Cina, ma a livello globale il suo pubblico negli anni ha continuato a crescere. Anche per questo ha iniziato ad attirare l’interesse dell’Arabia Saudita, il cui regime autoritario da qualche anno punta a ripulirsi l’immagine con lo sport (lo ha già fatto con il calcio, il tennis, il golf, la Formula 1 e il pugilato).
La scorsa estate si è tenuta a Riad, la capitale, la prima edizione del Saudi Arabia Snooker Masters, inserito nel calendario ufficiale del World Snooker Tour e al quale hanno partecipato molti dei migliori giocatori al mondo (ha vinto l’inglese Judd Trump, portandosi a casa molti soldi). A ottobre scorso, poi, O’Sullivan ha aperto una scuola di snooker in Arabia Saudita. Considerata l’imminente scadenza del contratto per l’organizzazione dei World Championship al Crucible Theatre, prevista per il 2027 (c’è ancora tempo per rinnovarlo), e l’ormai nota spregiudicatezza saudita, in Inghilterra stanno cominciando a temere che tra qualche anno il torneo non potrà più essere chiamato Crucible.



