Molte residenze per anziani stanno ostacolando l’ingresso dei malati di Alzheimer

È la conseguenza di una complicata contesa giudiziaria dovuta a una legge non chiara, e il parlamento non interviene

Persone anziane in una residenza sanitaria
Persone anziane in una residenza sanitaria (AP Photo/Francisco Seco)
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In Italia l’attesa per un posto nelle residenze sanitarie per anziani è molto lunga, e per chi ha una malattia come l’Alzheimer lo è ancora di più: come spiegano segnalazioni e denunce fatte negli ultimi mesi, molti famigliari di persone affette da demenza dicono che la ricerca di un posto è più complicata, lenta, in molti casi ostacolata dai dirigenti delle stesse residenze per anziani. I problemi non riguardano la malattia in sé o le difficoltà di trattarla; sono invece la conseguenza indiretta di norme incerte e di alcune sentenze emesse negli ultimi anni, anche recenti, parte di una lunga contesa giudiziaria legata alle rette e soprattutto a chi debba pagarle.

Alcuni tribunali – in uno degli ultimi casi la Corte di Cassazione – hanno riconosciuto a singole persone anziane malate di Alzheimer il diritto a non pagare le rette obbligando il servizio sanitario nazionale a sostenere tutte le spese. Nonostante le sentenze riguardino casi specifici, le notizie delle sentenze hanno convinto molti famigliari di malati a sospendere i pagamenti, compromettendo fin da subito i bilanci delle residenze sanitarie per anziani che senza una legge non possono avere i soldi dallo Stato. In mancanza di un intervento chiarificatore del governo, confusione e incertezza stanno portando molte dirigenze a tutelarsi: siccome temono di doversi sobbarcare i costi per intero, stanno iniziando ad accogliere nuovi malati di Alzheimer con una certa riluttanza o addirittura a chiudere i reparti dedicati all’Alzheimer.

Cominciamo dall’inizio. In Italia le rette delle residenze per anziani, le RSA, pubbliche o private accreditate con il pubblico, sono composte da due tipi di prestazioni: quella sanitaria e quella cosiddetta sociale o più comunemente alberghiera, cioè per la camera, i pasti, la pulizia, la lavanderia. Il servizio sanitario nazionale di norma rimborsa la quota sanitaria, nella maggior parte dei casi il 50 per cento della retta. La restante metà è a carico delle famiglie, che tuttavia devono sobbarcarsi l’intera retta quando non sono più disponibili posti accreditati. Se una famiglia non ha abbastanza soldi può ricevere un aiuto economico dai comuni attraverso i servizi sociali.

In quasi tutte le sentenze seguite ai ricorsi presentati dai famigliari, i giudici hanno stabilito che nei casi di Alzheimer o altre malattie legate alla demenza i costi sanitari e quelli sociali sono però «inscindibili», cioè inseparabili, e per questo devono essere sostenuti interamente dello Stato.

Se questo principio fosse applicato per tutte le persone con l’Alzheimer, la spesa per lo Stato sarebbe notevole perché in Italia sono circa 300mila i posti letto disponibili nelle residenze per anziani, di cui circa il 40 per cento occupati da persone con problemi di tipo cognitivo, potenzialmente coinvolti nell’esenzione stabilita dai tribunali. Secondo diverse stime, se lo Stato dovesse farsi carico di tutti questi ricoveri, la spesa del fondo sanitario nazionale aumenterebbe tra 7,5 e 10 miliardi di euro all’anno.

Con il progressivo invecchiamento della popolazione e la necessità di aumentare i posti nelle residenze per anziani si stima che nel giro di pochi anni la spesa potrebbe addirittura raddoppiare. «Nel migliore dei casi parliamo di 20 milioni di euro al giorno. Finiremmo con spendere il 15 per cento del fondo sanitario nazionale per lo 0,5 per cento della popolazione, mandando a scatafascio molti altri servizi», dice Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, l’unione nazionale enti di beneficenza e assistenza. «È giusto pensare di investire di più sul sistema sanitario, ma sviluppando meglio servizi esistenti e sostenibili».

Le singole sentenze costituiscono sì un precedente, ma non possono cambiare automaticamente la legge. Per questo tutte le associazioni che si occupano di malattie legate alla demenza hanno sollecitato il governo a intervenire con una norma chiara e definitiva. Finora gli appelli sono rimasti inascoltati, anzi i tentativi fatti negli ultimi mesi dal parlamento hanno solo contribuito ad aumentare la confusione.

Ci sono state molte discussioni in particolare su un emendamento al disegno di legge sulle prestazioni sanitarie presentato dalla senatrice Maria Cristina Cantù, già assessora regionale lombarda alla Famiglia. L’emendamento era stato pensato per ribadire la partecipazione delle famiglie alle rette e in definitiva vanificare le sentenze, ma aveva l’effetto collaterale di penalizzare i pazienti più gravi, a cui tra l’altro sarebbero stati chiesti soldi in modo retroattivo. Molte associazioni hanno definito incostituzionale l’emendamento, ritirato dopo aver ricevuto un parere negativo dal ministero dell’Economia.

La situazione di incertezza alimenta così le speranze dei famigliari dei pazienti e i timori delle dirigenze delle case di riposo. In un caso segnalato al Post una donna con sintomi riconducibili all’Alzheimer e ancora senza diagnosi avrebbe avuto diritto a un posto con la retta pagata al 50 per cento dallo Stato, ma la residenza sanitaria per anziani ha preferito far passare avanti chi non ha disturbi cognitivi. In questo modo si evita anche solo il rischio che i famigliari della donna possano sospendere i pagamenti sostenendo il principio contenuto nelle sentenze.

Anche le associazioni stanno ricevendo sempre più segnalazioni di persone che faticano a trovare un posto. Capita per esempio che i funzionari respingano le richieste al solo accenno delle sentenze, oppure che sostengano di non avere più posti disponibili anche quando invece ce ne sono. Luca Degani spiega inoltre che alcune residenze per anziani hanno limitato l’accesso oppure addirittura comunicato la chiusura dei punti Alzheimer, reparti dedicati appositamente al trattamento delle demenze.

Già mesi fa il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, una coalizione di 59 tra associazioni e organizzazioni coinvolte nell’assistenza delle persone anziane, aveva denunciato il rischio di una diminuzione dei posti e un aumento delle liste d’attesa come effetto dei timori delle residenze sanitarie per anziani. In una nota diffusa il 28 aprile il Patto ha scritto che le residenze per anziani si trovano schiacciate fra l’indecisione della politica e le rivendicazioni dei cittadini, e ha chiesto un intervento urgente al governo.

Da anni, dopo le primissime sentenze che risalgono al 2016, molte associazioni chiedono una riforma complessiva. Mario Possenti, segretario generale della federazione Alzheimer Italia, dice che bisognerebbe andare oltre la ripartizione attuale delle spese tra componente sanitaria e sociale, e proporre piuttosto una terza via dedicata alle malattie legate alla demenza. «Così funziona all’estero, dove l’approccio alla long term care è più trasversale», spiega. «Anche perché è una forzatura pensare che l’intera retta sia a carico del sistema sanitario: non si può andare avanti a colpi di sentenze».

Le associazioni chiedono al governo anche di riaprire un confronto su una riforma più ampia che tenga conto dei bisogni futuri dovuti dal progressivo invecchiamento della popolazione. Degani dice che bisognerebbe smettere di fare i calcoli su un sistema di regole pensato alla fine degli anni Novanta quando la popolazione anziana era la metà rispetto a quella attuale. Come per altri servizi sanitari, servirebbe più appropriatezza, cioè la capacità di un intervento preventivo, diagnostico e terapeutico commisurato ai reali bisogni dei pazienti, senza sprechi. «Servono investimenti per ritardare il più possibile il ricovero: adeguamento domotico delle case, telemonitoraggio, assistenza domiciliare. L’obiettivo deve essere ritardare il più possibile il ricovero nelle residenze per anziani, altrimenti il sistema non regge».