L’inchiesta sulla giornalista ucraina torturata e morta in un carcere russo
Viktoriia Roshchyna era sparita nel 2023 mentre stava lavorando: il suo corpo è stato restituito dai russi mutilato e irriconoscibile

A febbraio la Russia ha restituito all’Ucraina i corpi di 757 persone morte in combattimento, in uno scambio mediato dalla Croce Rossa Internazionale. Fra tutti ce n’era uno in condizioni pessime: non aveva più gli occhi, il cervello e la laringe. In altre parti del corpo si vedevano chiaramente i segni di torture ripetute. Il cranio era completamente rasato.
Solo dopo settimane, grazie a un’analisi del DNA, si è scoperto che il corpo apparteneva a Viktoriia Roshchyna, una giornalista ucraina di 27 anni rapita dai russi a Enerhodar, non lontano dalla Crimea, nell’agosto del 2023. Di lei dopo l’arresto non si era più saputo quasi nulla: soltanto che era morta, secondo i russi, mentre era detenuta.
Dopo l’identificazione del corpo decine di giornalisti coordinati dall’ong francese Forbidden Stories hanno cercato di scoprire le circostanze della morte di Roshchyna. I risultati di questa inchiesta collettiva sono stati pubblicati all’inizio della settimana da diversi giornali internazionali, fra cui il Guardian e il Washington Post, sotto il nome di Viktoriia Project.
È praticamente certo che Roshchyna sia stata tenuta a lungo in prigione in condizioni disumane dalle autorità russe, senza alcuna accusa formale, e torturata più volte. Secondo l’Ucraina circa 16mila civili potrebbero essere tuttora detenuti in carceri simili a quella in cui era stata portata Roshchyna. Dall’inizio della guerra, nel febbraio del 2022, si stima che la Russia abbia ucciso 18 giornalisti e giornaliste mentre stavano facendo il proprio lavoro, Roshchyna compresa. Non è chiaro invece il numero di giornalisti uccisi dall’Ucraina.
Quando fu rapita Roshchyna aveva 26 anni e lavorava da tempo per la Ukrainska Pravda. Si occupava spesso delle violenze compiute dai russi nei territori dell’Ucraina occupata: nel luglio del 2023 aveva scritto una lunga inchiesta sull’uccisione di due 16enni ucraini a Berdiansk, una città occupata nella regione di Zaporizhzhia, dopo un processo farsa che avevano subìto per via delle loro posizioni politiche filo-ucraine.
All’inizio di agosto Roshchyna era arrivata a Enerhodar per indagare su alcune prigioni informali in cui i russi detenevano civili ucraini. Venne arrestata da una pattuglia della polizia il 3 agosto, e dopo qualche giorno portata in carcere a Melitopol, nel sud dell’Ucraina, occupata dai russi all’inizio della guerra.
I giornalisti coinvolti nel Viktoriia Project sono riusciti a contattare una persona che condivideva una cella con Roshchyna a Melitopol. Secondo il suo racconto, la giornalista venne ripetutamente torturata: «La accoltellarono, usarono l’elettroshock», ha raccontato la persona, rimasta anonima. Verso la fine del 2023 Roshchyna fu trasferita in una prigione a Taganrog, in territorio russo ma vicino al confine con l’Ucraina.
La prigione è nota con la sigla SIZO-2 ed è notoriamente una delle prigioni russe in cui i detenuti ucraini vengono trattenuti nelle condizioni peggiori. Secondo testimonianze raccolte dall’intelligence ucraina, dentro SIZO-2 i militari e i civili ucraini vengono ripetutamente picchiati e torturati in vari modi: alcuni vengono legati a una sedia elettrica, altri subiscono la pratica del waterboarding. Dentro alle celle i detenuti sono obbligati a rimanere in posizioni scomode, con le mani legate dietro la schiena, e volutamente denutriti.
Alice Edwards, relatrice speciale sulla tortura nominata dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU, ha detto al Washington Post che la tortura nei confronti degli ucraini catturati «fa parte della politica di guerra della Russia»: «È chiaro che è organizzata e sistematica. Ho documentato casi molto gravi di finte esecuzioni, ogni tipo di pestaggio, scariche elettriche alle orecchie e ai genitali, waterboarding, stupri e violenze sessuali», ha detto Edwards.
Dentro a SIZO-2 Roshchyna smise di accettare il cibo e arrivò a pesare appena 30 chili. Le autorità russe provarono a nutrirla in maniera forzata e a tenerla in vita, verosimilmente per usarla in futuro in uno scambio di prigionieri. Nell’aprile del 2024 la sua famiglia ricevette la prima conferma del fatto che era viva e che si trovava in un carcere russo. La famiglia e i suoi colleghi si attivarono subito per liberarla, e papa Francesco accettò di fare il suo nome durante alcune conversazioni del Vaticano con la Russia. A fine agosto, più di un anno dopo il suo arresto, le fu concessa una telefonata di quattro minuti ai genitori.
A metà settembre in molti si aspettavano che anche Roshchyna fosse fra i 49 prigionieri di guerra ucraini che la Russia liberò in cambio di altrettanti soldati russi catturati dagli ucraini. Roshchyna però non c’era. Qualche settimana dopo un funzionario russo scrisse al padre di Roshchyna dicendole che era morta il 13 settembre.
Le cause della morte di Roshchyna non sono ancora state chiarite, nemmeno dopo l’approfondita inchiesta del Viktoriia Project. Una fonte vicina all’inchiesta indipendente aperta in Ucraina sulla morte di Roshchyna dice che il suo corpo presenta segni compatibili a una uccisione per strangolamento: ma la vera causa della morte potrebbe non emergere mai, date le condizioni in cui è stato restituito il suo corpo.



