Gli affari di Chiara Ferragni vanno molto male
Dopo lo scandalo del pandoro Balocco non vende più come un tempo, e ci ha rimesso diversi milioni di euro

Martedì l’influencer e imprenditrice Chiara Ferragni ha pubblicato un post in cui ha reso noto che è diventata l’azionista di maggioranza della Fenice Srl, l’azienda che detiene il marchio Chiara Ferragni con cui firma i suoi prodotti, dai vestiti alla cartoleria. È l’azienda più importante per i suoi affari e Ferragni è passata da una quota del 32,5 a una del 99,8 per cento, un cambiamento che lei stessa ha raccontato come un «nuovo inizio» da cui riprendere in mano la sua storia e i suoi affari. La realtà è molto diversa: è rimasta sola dopo l’uscita degli altri soci, che non hanno voluto contribuire a ripianare il grosso ammanco nei conti della società, molto penalizzata dalla crisi di popolarità dovuta allo scandalo dei pandori Balocco.
La vicenda era iniziata a dicembre del 2023, quando l’Antitrust italiana aveva multato Ferragni e l’azienda dolciaria Balocco per pubblicità ingannevole su una linea di pandori a suo nome, le cui vendite erano state legate a un’iniziativa di beneficenza per l’ospedale Regina Margherita di Torino: si era fatto intendere che la donazione sarebbe stata proporzionale ai pandori venduti, ma nella realtà era già stata determinata e fatta.
Da scandalo mediatico è poi diventato anche una vicenda giudiziaria: a settembre Ferragni sarà processata per truffa aggravata. Ferragni aveva tentato di rimediare al danno d’immagine con alcune donazioni in beneficenza, ma con scarsi successi: il danno è ora diventato anche economico.
E questo perché tutto il giro di affari di Ferragni si basa interamente sulla sua reputazione, dalle collaborazioni coi brand fino alla vendita di prodotti che portano il suo nome. È proprio dal merchandising che la Fenice Srl guadagna: abbigliamento per donne e bambini, scarpe, borse, gioielli, occhiali, biancheria intima, costumi, trucchi e anche cartoleria. Questi prodotti sono venduti online, nei negozi monomarca del brand e dai rivenditori.
Che le cose vadano male a Ferragni si era visto già dai suoi profili sui social network, in cui le collaborazioni commerciali e le sponsorizzazioni sono molto meno frequenti del passato. Anche le vendite dei prodotti a suo marchio sono molto calate, e questo si vede dai bilanci della società: i verbali dell’ultima assemblea dei soci riportano per i primi 11 mesi del 2024 un fatturato di appena 2 milioni di euro, neanche un quinto rispetto agli 11 milioni del 2023. C’è stato quasi un azzeramento del fatturato, che insieme alle sanzioni e ai procedimenti legali ha causato una perdita complessiva di 10 milioni di euro.
L’insegna del negozio di Chiara Ferragni in centro a Roma
Dallo scorso autunno l’azienda è amministrata da Claudio Calabi, manager noto per occuparsi soprattutto di aziende in crisi. Ha ridotto i costi e il personale, ha coperto una parte dell’ammanco con le riserve dell’azienda, ma anche così mancavano ancora quasi 6 milioni e mezzo di euro. Ha quindi chiesto ai soci di contribuire tramite un aumento di capitale, che in situazioni così gravi è praticamente l’unica opzione, a meno di non chiudere l’azienda o dichiarare fallimento. Ogni socio dovrebbe contribuire in proporzione alla sua quota, e in questo caso Ferragni si era offerta di coprirla interamente se gli altri non ne avessero avuto intenzione. È andata proprio così.
Ferragni ha versato 6,4 milioni di euro per ricostituire il capitale della Fenice Srl, e col ricalcolo delle quote è arrivata ad avere il 99,8 per cento dell’azienda. Ha lasciato la società l’imprenditore Paolo Barletta, che tramite la sua società Alchimia aveva il 40 per cento e che ha perso interamente il suo investimento da 1,4 milioni di euro. È invece rimasto con lo 0,2 per cento l’imprenditore delle calzature Pasquale Morgese, che ha contribuito in piccola parte all’aumento di capitale. Diversi giornali dicono che lo avrebbe fatto esclusivamente per non uscire del tutto dall’azienda e tenersi aperta l’opzione di un’azione di responsabilità contro i precedenti amministratori per il risarcimento delle perdite subite: il suo investimento era stato di quasi mezzo milione di euro.
La Fenice Srl è solo una delle varie aziende che ha Ferragni, ma è quella decisamente più esposta alla crisi di popolarità dell’influencer per via del marchio. La possiede tramite la Sisterhood, una holding, cioè un’azienda che ha partecipazioni e quote in altre società. Ferragni è l’unica socia della Sisterhood, sotto cui ci sono altre due aziende che si occupano delle varie attività dell’influencer, su cui l’impatto della crisi non è ancora molto chiaro.
Una è la TBS Crew, posseduta al 100 per cento dalla holding, quindi indirettamente da Ferragni. È la società editrice del blog The Blonde Salad, con cui Ferragni divenne famosa originariamente, ed è anche un’agenzia («talent agency») che cura l’immagine e le collaborazioni di lei, della madre Marina Di Guardo, della sorella Francesca Ferragni e del make-up artist Manuele Mameli. Sul suo profilo LinkedIn dice di aver sviluppato «progetti e strategie di comunicazione» con Lancôme, Pantene, Christian Dior, Louis Vuitton, Nespresso e altri. Il suo ultimo bilancio non è ancora disponibile.
L’altra azienda della Sisterhood è la Ferragni Enterprise, posseduta quasi interamente dalla holding, con l’eccezione di una piccola quota dello 0,1 per cento intestata alla madre di Ferragni. A questa società fanno capo le proprietà immobiliari dell’influencer, tra cui quella in cui si è recentemente trasferita con la famiglia nella zona CityLife di Milano, valutata circa 10 milioni di euro. Anche in questo caso l’ultimo bilancio non è ancora disponibile, ma è una società immobiliare di fatto slegata dal business di Ferragni.



