Stavolta il governo ha un po’ esagerato, col lutto nazionale

Per la morte di un papa non era mai stato lungo cinque giorni, e non ci sono ragioni pratiche che lo giustifichino

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il governo nell’aula della Camera dei deputati durante la commemorazione di papa Francesco, il 23 aprile 2025 (Roberto Monaldo/LaPresse)
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il governo nell’aula della Camera dei deputati durante la commemorazione di papa Francesco, il 23 aprile 2025 (Roberto Monaldo/LaPresse)
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Martedì il Consiglio dei ministri, su proposta della presidente Giorgia Meloni, ha disposto cinque giorni di lutto nazionale per la morte di papa Francesco. È una decisione senza precedenti nella storia della Repubblica italiana: mai prima d’ora per la morte di un papa si era proclamato un cordoglio così lungo. Per prassi, il lutto in questi casi è sempre stato di uno o di tre giorni.

Furono tre i giorni di lutto proclamati per la morte di Pio XII, nell’ottobre del 1958: il Consiglio dei ministri del giorno della morte fu annullato, e nei tre giorni seguenti le bandiere degli uffici pubblici rimasero esposte a mezz’asta. Il 10 ottobre e poi nel giorno dei funerali furono sospesi tutti gli spettacoli e rimasero chiuse le scuole. La stessa procedura venne replicata nel giugno del 1963, quando morì Giovanni XXIII: tre giorni di lutto con bandiere a mezz’asta, un giorno di sospensione di spettacoli pubblici e lezioni nelle scuole, oltre che delle udienze in tribunale.

Da Paolo VI in poi, anche in sintonia con una maggiore sobrietà voluta da papa Montini, il lutto venne ridimensionato: sia nella durata (un solo giorno di sospensione di spettacoli pubblici per la sua morte, avvenuta il 7 agosto del 1978), sia nell’applicazione concreta delle misure: non vennero più interrotte le lezioni a scuola o nei tribunali. Lo stesso successe due mesi e mezzo dopo quando morì Giovanni Paolo I. Il governo di Silvio Berlusconi invece proclamò 3 giorni di lutto per la morte di Giovanni Paolo II: ma anche in questo caso in una forma in qualche modo attenuata.

I funerali di Giovanni XXIII, il 6 giugno del 1963, in una foto dell’archivio dell’ANSA. Quel giorno alcune città osservarono poi un cordoglio particolare: a Milano, per esempio, i sindacati chiesero ai propri associati di interrompere per 10 minuti l’attività nelle fabbriche e negli uffici, tram e autobus si fermarono per 5 minuti e i commercianti furono invitati a chiudere i propri negozi tra le 18 e le 18:30

Col tempo il lutto nazionale per la morte dei papi ha perso parte della sua motivazione pratica. Un tempo c’era, e aveva un fondamento giuridico: l’articolo 21 dei Patti Lateranensi, il trattato che regola i rapporti tra lo Stato italiano e il Vaticano, stabilisce che nei giorni in cui la sede pontificia è vacante, quando cioè un papa è morto ma il suo successore non è stato ancora eletto, l’Italia debba provvedere a garantire la libertà di movimento dei cardinali che devono raggiungere San Pietro per il conclave, e che non «vengano commessi atti» che «possano turbare» il conclave stesso. Come è evidente, oggi questo scenario è piuttosto anacronistico.

Anche il lutto nazionale per la morte di papa Francesco, per quanto esteso, è una cosa perlopiù formale e senza esigenze pratiche: il governo ha disposto che per cinque giorni le bandiere vengano esposte a mezz’asta negli uffici pubblici e ha invitato «a svolgere tutte le manifestazioni pubbliche in modo sobrio e consono alla circostanza», cosa che in questo caso vale soprattutto per il 25 aprile. Solo per il giorno del funerale, sabato 26 aprile, o nel primo giorno di ripresa delle attività, il governo ha previsto un minuto di silenzio alle 10 del mattino negli uffici pubblici e nelle scuole, e ha invitato (ma senza vincoli) a rinviare «gli eventi sportivi o di intrattenimento» in programma.

Molte lamentele legate al lungo lutto nazionale si sono concentrate sulla decisione della Lega Calcio e del CONI di spostare le date di alcune partite di Serie A in programma lunedì scorso, il giorno della morte del papa, e sabato prossimo, il giorno del funerale. C’è un solo precedente analogo: il 2 e 3 aprile del 2005, alla morte di Giovanni Paolo II, le partite di Serie A furono rinviate. In precedenza non c’erano mai state modifiche significative. Nell’ottobre del 1958, quando morì Pio XII, il CONI si limitò a invitare tutte le federazioni sportive nazionali «a commemorare con un minuto di silenzio, in tutte le gare sportive in programma» per la domenica successiva alla morte del papa.

Sul piano più istituzionale, è stata rilevante la ridefinizione degli impegni di Meloni nelle giornate del lutto. Ha anzitutto annullato il viaggio previsto tra venerdì e domenica in Uzbekistan e Kazakistan, per partecipare ai funerali del papa. Più discutibile, invece, è la scelta di cambiare l’agenda dei lavori parlamentari che la riguardavano direttamente.

Mercoledì pomeriggio era previsto al Senato il cosiddetto “premier time”: la presidente del Consiglio sarebbe cioè dovuta intervenire per rispondere alle domande dei parlamentari. Nonostante il regolamento del Senato preveda che il capo del governo risponda al “premier time” almeno una volta ogni due mesi, dall’inizio del suo mandato, cioè da due anni e mezzo, Meloni vi ha preso parte una sola volta al Senato e due alla Camera. C’era dunque grande attesa.

Giorgia Meloni, tra il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e il ministro della Giustizia Carlo Nordio, durante il “premier time” alla Camera, il 24 gennaio 2024, l’ultimo a cui ha partecipato (MASSIMO PERCOSSI/ANSA)

Alla fine il presidente del Senato Ignazio La Russa ha accolto la richiesta della maggioranza di rinviare il tutto. Le opposizioni hanno accettato senza grosse polemiche: anche perché non è nel loro interesse tenere il “premier time” mentre l’attenzione dei media è concentrata sul Vaticano. Ora è stato riprogrammato per il 7 maggio. Nel frattempo però le camere proseguiranno regolarmente l’analisi dei provvedimenti come previsto dal calendario.

Mercoledì pomeriggio Meloni è intervenuta alla Camera, dove si è svolta una commemorazione del papa a camere riunite. Anche da questo punto di vista ci sono state innovazioni rispetto al passato: è stata infatti la prima volta che un o una presidente del Consiglio interveniva in aula per simili commemorazioni. Nel 2005, alla morte di Giovanni Paolo II, furono il vicepresidente Marco Follini e il ministro per le Politiche comunitarie Rocco Buttiglione a parlare rispettivamente alla Camera e al Senato in rappresentanza del governo. Nel settembre del 1978, alla morte di Giovanni Paolo I, il governo fu rappresentato alla Camera dal sottosegretario Franco Evangelisti.

– Leggi anche: Ora il governo chiede di evitare «balli e canti scatenati» per il 25 aprile

Non è invece la prima volta che la morte di un papa avviene in un momento particolare della vita politica: se questa volta le polemiche hanno riguardato soprattutto le dichiarazioni del ministro Nello Musumeci sul 25 aprile, nel 2005 la faccenda fu ancora più delicata.

Papa Giovanni Paolo II morì poco dopo le nove di sera di sabato 2 aprile, nel primo dei due giorni di un importante turno di elezioni amministrative e regionali. Dal giorno successivo a Napoli e a Roma vennero affissi manifesti elettorali – sia dalla Margherita del centrosinistra, sia da Alleanza Nazionale di estrema destra – col volto di Giovanni Paolo II e i loghi dei partiti. Ci furono prevedibilmente grosse polemiche, anche in vista dei ballottaggi previsti per il 17 aprile, e il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu ordinò la rimozione di quei manifesti.