Demetrio Stratos cantava per te che lo andavi a sentire
Fu uno degli sperimentatori della voce più importanti dello scorso secolo, da solo e con gli Area: oggi avrebbe compiuto ottant'anni

Nel 1966 Ready Steady / After Tonight, un misterioso 45 giri pubblicato dalla Columbia Records, cominciò a trovare posto tra gli scaffali dei negozi di dischi: era attribuito ai Clockwork Oranges, un gruppo sconosciuto che omaggiava fin dal nome un romanzo distopico pubblicato quattro anni prima da Anthony Burgess.
Conteneva due cover in inglese degli Equipe 84 e aveva in copertina i membri della prima formazione dei Pooh, ma le due band non c’entravano nulla: era la prima registrazione di Demetrio Stratos, un giovane cantante italo-greco che sarebbe diventato uno dei principali protagonisti della controcultura italiana degli anni Settanta prima con gli Area, uno dei gruppi più importanti e originali della scena italiana del rock progressive del tempo, e poi come solista.
Stratos, che oggi avrebbe compiuto ottant’anni, si distinse soprattutto per le sue innovazioni nel campo del canto: creativo, visionario e sperimentale, studiò la voce umana con un approccio maniacale e quasi scientifico, dedicando all’argomento ricerche, conferenze e lezioni gratuite e aperte a chiunque. Nella sua breve vita, diventò uno dei cantanti più importanti e amati della storia della musica rock italiana.
Nel ventennio in cui fu attivo come musicista contribuì allo sviluppo di tecniche vocali non convenzionali come il canto difonico, che consiste nel rendere udibili gli armonici naturali della voce, ossia le diverse frequenze generate dalla vibrazione delle corde vocali, per emettere più note contemporaneamente. Un altro chiodo fisso di Stratos era il controllo del respiro, a cui attribuiva anche una valenza spirituale: era capace di prolungare un suono per periodi molto lunghi, mantenendo un flusso d’aria continuo attraverso la cosiddetta respirazione circolare, che consiste nell’inspirare attraverso il naso mentre si espira contemporaneamente dalla bocca.
Stratos fu un musicista unico anche dal punto di vista performativo: era convinto che elementi come la melodia e il linguaggio limitassero la voce umana, riducendola a uno strumento di comunicazione razionale tra i tanti e frenandone le possibilità espressive. Le sue esibizioni, enigmatiche, lente ed estremamente controllate, erano fondate sul rigetto di queste convenzioni e sull’enfatizzazione delle radici più primitive e ancestrali della voce: consistevano nell’emissione prolungata di una gamma ampissima di suoni, che potevano ricordare di volta in volta strumenti musicali, versi di animali o rumori di oggetti.
Anche se oggi sono considerati degli esperimenti fonetici geniali e innovativi e sono spesso oggetto di approfondimenti accademici, ai tempi Stratos ricevette diverse critiche per i suoi spettacoli, che alcuni addetti ai lavori etichettarono sbrigativamente come elitisti e privi di significato.
Stratos nacque come Efstratios Demetriou il 22 aprile 1945 ad Alessandria d’Egitto da genitori greci, Janis Demetriou e Athanassia Archondoyorghi. Ebbe un’istruzione cosmopolita e di alto livello, e fin da piccolo fu indirizzato allo studio del pianoforte e della fisarmonica.
Nel 1957 i genitori lo iscrissero a un collegio di Nicosia, la capitale dell’isola di Cipro; cinque anni dopo, completate le scuole superiori, si trasferì in Italia per studiare architettura al politecnico di Milano e cominciò a farsi chiamare Demetrio Stratos, scambiando il cognome (Dimitrìou) e il nome di battesimo (Efstràtios) e italianizzandoli.
Una volta giunto in Italia, Stratos cominciò a suonare come turnista in diversi gruppi. Nel 1966, poco dopo l’uscita di Ready Steady / After Tonight, diventò cantante e organista del gruppo di musica beat milanese dei Ribelli, con cui incise Pugni chiusi, album che ottenne un discreto successo commerciale.
In quel periodo frequentò anche il centro di studi di Fonologia della RAI di Milano, dove venne in contatto con compositori d’avanguardia come l’italiano Luciano Berio e lo statunitense John Cage. In quel contesto cominciò a studiare la voce dal punto di vista acustico, fisico e neurologico, approfondendo tecniche vocali provenienti da tutto il mondo e appassionandosi alla musica concreta e all’etnomusicologia, una disciplina che studia la musica all’interno del contesto culturale e sociale in cui viene composta e diffusa.
Il punto di svolta della sua carriera furono però gli Area, la band che fondò nel 1972 insieme al sassofonista Victor Busnello, al bassista Patrick Djivas, al tastierista Gaetano Leandro, al chitarrista Johnny Lambizi e al batterista Giulio Capiozzo. Fin da subito parteciparono alle attività del gruppo anche i parolieri Gianni Sassi e Sergio Albergoni, che ebbero un ruolo fondamentale nella definizione dell’immagine e della poetica della band.
La loro musica era complessa, strumentalmente raffinata e difficilmente etichettabile: mescolava generi molto distanti tra loro, come il progressive rock, il jazz sperimentale, il rumorismo e la musica sacra, ed era costellata da virtuosismi, cambi di tempo improvvisi, dissonanze e accenti ritmici sfasati e imprevedibili. Per evidenziare il carattere meticcio e contaminato della loro musica, gli Area si definivano spesso “International Pop Group”.
L’altra caratteristica che rese gli Area una delle band più riconoscibili della scena italiana del progressive rock degli anni Settanta era il carattere fortemente politico e provocatorio dei testi. L’esempio più celebre in questo senso è il primo disco della band, Arbeit Macht Frei (1973), considerato uno dei più importanti della seconda metà del Novecento.
In un’intervista di qualche anno fa Patrizio Fariselli, che dopo pochi mesi dalla fondazione degli Area subentrò a Leandro come tastierista, ha raccontato che anche se il titolo richiamava esplicitamente lo slogan dei campi di concentramento nazisti in realtà «rappresentava una velata critica alla sinistra di quei tempi, che in nome del lavoro e dell’interesse collettivo tendeva a schiacciare alla maniera sovietica la creatività individuale».
Gli Area furono un gruppo militante non soltanto nei testi, ma anche negli atteggiamenti: suonavano spesso in centri sociali, fabbriche occupate, scuole autogestite e festival di musica alternativa, e agli inizi della loro carriera usavano una retorica di aperta ostilità con il sistema delle major musicali.
Se Sassi e Albergoni lavorarono soprattutto dietro le quinte, costruendo il carattere politico e iconografico della band, Stratos ebbe un ruolo fondamentale nel definire l’approccio concertistico degli Area. I suoi lunghi e funambolici assoli vocali, diversi tra loro e sempre piuttosto esaltanti, erano uno dei momenti più attesi dei concerti: Stratos li concepiva come degli atti creativi unici e irripetibili, che dovevano iniziare ed esaurirsi nel loro esatto tempo di esecuzione. «Canto per te che mi vieni a sentire, suono per te che non mi vuoi capire» diceva l’inizio di “Gioia e rivoluzione”, una delle canzoni più famose degli Area.
Ma Stratos diventò uno dei musicisti più influenti del tempo non soltanto per le sue doti vocali: la grande presenza scenica, il formidabile gusto per lo spettacolo e i toni schietti e diretti che utilizzava durante le interviste lo resero un personaggio interessante da raccontare, e generarono l’interesse di giornali e trasmissioni televisive.
Verso la metà degli anni Settanta, parallelamente al lavoro con gli Area, Stratos cominciò a pubblicare i suoi lavori da solista: i più importanti furono Metrodora (1976) e Cantare la voce (1978). In quel periodo si dedicò anche all’etnomusicologia, collaborando con il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Padova, specializzandosi in particolare sulle forme canore delle popolazioni asiatiche.
Nel 1979 Stratos si ammalò gravemente di aplasia midollare, una malattia rara del sangue: morì il 13 giugno dello stesso anno in un ospedale di New York, a soli 34 anni, il giorno prima di un concerto organizzato all’Arena Civica di Milano per raccogliere fondi da destinare alle sue cure. Alla fine il concerto si tenne lo stesso: parteciparono diversi artisti, tra cui Francesco Guccini, Eugenio Finardi, Alberto Camerini e Angelo Branduardi.
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