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  • Domenica 20 aprile 2025

L’esercito israeliano ha detto che sono stati fatti degli «errori» nell’uccisione dei 15 soccorritori a Gaza

Ha pubblicato un'indagine interna in cui però molte cose continuano a non tornare

I funerali dei paramedici uccisi, a Deir al Balah il 31 marzo
I funerali dei paramedici uccisi, a Deir al Balah il 31 marzo (AP Photo/Abdel Kareem Hana)
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Domenica sono stati diffusi i risultati dell’indagine dell’esercito israeliano sull’uccisione di 15 operatori sanitari e soccorritori palestinesi a Rafah, a sud della striscia di Gaza, lo scorso 23 marzo. L’esercito ha riconosciuto per la prima volta in modo formale la propria responsabilità e ha detto che ci sono stati «diversi errori professionali» e di valutazione da parte dei soldati, sostenendo tra le altre cose che siano dipesi alle scarse condizioni di visibilità (era notte).

Allo stesso tempo però ha negato che ci sia stato un tentativo di occultare l’attacco e ha ribadito che tra le persone uccise c’erano dei membri di Hamas, cosa che però non ha documentato in nessun modo. Ha detto inoltre che congederà il vicecomandante della brigata di fanteria che fece l’imboscata, e che il comandante riceverà un richiamo.

Anche questa ricostruzione come le precedenti ha elementi contraddittori. Sul primo punto, cioè la questione della scarsa visibilità, i veicoli del convoglio avevano le sirene accese, erano segnalati come ambulanze e i soccorritori avevano tute da medici con strisce riflettenti, come aveva già ammesso l’esercito dopo che era uscito un video che smentiva la sua versione. Sul secondo, ossia il tentativo di occultamento: i corpi erano stati trovati in una fossa comune, con ferite secondo le autopsie compatibili con proiettili sparati da una distanza molto ravvicinata, e dell’attacco non si era saputo nulla finché non l’avevano scoperto i funzionari delle Nazioni Unite.

Domenica l’esercito ha anche ammesso che è stato il comandante della brigata a ordinare di distruggere le ambulanze e seppellire i corpi, sostenendo però che servisse a metterli al riparo e sgomberare la strada (e non a nascondere le prove).

La notizia che 15 operatori sanitari e soccorritori palestinesi, tra cui un dipendente dell’ONU, erano stati uccisi e sepolti in una fossa comune era stata data il 31 marzo: 8 giorni dopo l’attacco. In un primo momento l’esercito israeliano aveva detto di aver sparato contro una serie di veicoli privi di fari o altri segnali di emergenza, e che tra le persone uccise c’erano membri di Hamas. È una motivazione che aveva usato in passato anche per giustificare operazioni militari in cui erano stati uccisi civili e che è stata ribadita anche nell’indagine pubblicata domenica.

Cinque giorni dopo il New York Times aveva pubblicato un video che mostrava chiaramente che i veicoli del convoglio colpito – ambulanze e un camion dei pompieri – erano segnalati come mezzi di soccorso e avevano le sirene accese, cioè il contrario di quello che aveva sostenuto l’esercito israeliano. Il video era stato girato da una persona a bordo di uno dei mezzi del convoglio: cinque ambulanze e un camion dei pompieri che si stavano dirigendo verso un punto bombardato dall’esercito israeliano, per portare soccorsi.

L’Alto commissario dell’ONU per i diritti umani, Volker Türk, aveva quindi chiesto un’indagine sull’uccisione dei 15 soccorritori dicendo che potrebbe costituire un crimine di guerra.

– Leggi anche: Il video che smentisce la versione dell’esercito israeliano sui 15 soccorritori uccisi a Gaza