La nuova linea del festival di Cannes sta funzionando
Nelle ultime edizioni ha presentato alcuni dei film più discussi e premiati dell'anno, puntando più sui “giovani” che sui vecchi maestri
di Gabriele Niola

Nel presentare il programma dell’edizione di quest’anno, che si terrà dal 13 al 24 maggio, il delegato generale del Festival di Cannes Thierry Frémaux ha detto che si sono candidati per essere scelti per le varie categorie di concorso poco meno di 3mila film. Si tratta di un numero superiore alla media dei grandi festival, grande anche per Cannes, che dei grandi festival è il principale. È il segno più evidente di un ritorno alla crescita per un festival che nell’ultimo decennio o poco più sembrava in lieve calo, per colpa di alcune decisioni e dei cambiamenti dell’industria del cinema.
Per un festival come Cannes essere in calo significa non essere più la prima scelta per tutti i tipi di film (specialmente quelli grandi), vedere un calo degli accreditati e non presentare i film che poi nel resto dell’anno si rivelano i più importanti. Questa tendenza è stata invertita negli ultimi anni e l’edizione 2025 secondo tutti i principali indicatori sarà una delle più affollate.
Alla fine della conferenza stampa Frémaux ha detto molto chiaramente: «Tutti vogliono fare un film. Durante la pandemia molti hanno detto che il cinema stava morendo, ma è decisamente vivo». Si riferiva alle piattaforme di streaming, che durante la pandemia per un breve periodo erano state considerate da alcuni (specialmente i grandi studios hollywoodiani) in grado di sostituire i cinema, e i cui film non sono accettati in concorso a Cannes, a meno che non escano in sala come tutti gli altri.
Negli oltre vent’anni in cui ha diretto il festival di Cannes, Frémaux lo ha spesso identificato con il cinema stesso: la salute del primo era segno della salute del secondo, e viceversa. Nella conferenza stampa è sembrato suggerire che anche se in molti consideravano in declino il suo festival, così come il cinema, le cose stanno diversamente.
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Può dirlo perché un numero insolitamente alto di film delle due precedenti edizioni si sono rivelati i più discussi, premiati e influenti dell’anno, confermando che stare a Cannes è il viatico per essere film importanti e che, viceversa, è a Cannes che si trovano i film più importanti. Il 2023 era stato l’anno in cui sono passati da lì Anatomia di una caduta, Perfect Days, Killers of the Flower Moon, La zona d’interesse e a un livello di influenza minore ma comunque importante How to Have Sex, La chimera, Il gusto delle cose e Quattro figlie.
Il 2024 è riuscito a fare anche meglio. Prima di tutto c’è stato Anora, vincitore della Palma d’oro e poi dell’Oscar al miglior film. Un film che di fatto ha cambiato la carriera del suo regista, Sean Baker, che lavora da tempo ma solo adesso è nel giro dei più grandi e pagati, e tutto a partire dalla presentazione a Cannes. Poi c’è stato Emilia Pérez, il film europeo di gran lunga più importante del 2024, favoritissimo agli Oscar prima di una serie di disastri di pubbliche relazioni e considerato l’apice della carriera già straordinaria di Jacques Audiard.
E ancora c’è stato The Substance, l’horror con Demi Moore di cui molto si è parlato e che a Cannes era in concorso nonostante sembrasse più adatto alle sezioni “di mezzanotte”, quelle dedicate ai film più estremi (il piazzamento di ogni film nella sezione che lo valorizza di più è uno dei mestieri fondamentali di chi dirige un festival). E infine c’è stato il caso del film di animazione Flow, una produzione lettone a costo irrisorio che ha battuto agli Oscar le più grandi produzioni americane e che ha girato tutto il mondo proprio a partire da Cannes.
A un livello minore di importanza, ma comunque molto discussi, ci sono stati anche Megalopolis di Francis Ford Coppola e The Apprentice di Ali Abbasi, il film che racconta la formazione di Donald Trump. Di regola se uno o due film di un festival si fanno notare per il resto dell’anno è considerato un successo.
C’è questo dietro i 3mila film inviati al festival del 2025 che, sempre secondo Frémaux, costituiscono un terzo di tutti i film prodotti nel mondo in un anno. Per fare un paragone, dieci anni fa i film che Cannes riceveva e tra cui poteva scegliere erano la metà. La Mostra del cinema di Venezia, che ha una grandezza paragonabile a Cannes, ne vaglia un po’ più di 2mila l’anno. In questo bisogna considerare anche che Cannes viene tre-quattro mesi prima di Venezia, e molti a prescindere dalle preferenze fanno comunque un tentativo di entrare nel primo sapendo che se vengono respinti hanno tempo per mandare la domanda al secondo.
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Che un terzo di tutti i film prodotti nel mondo sia inviato al festival è incredibile, e racconta quanto in generale sia aumentata la produzione nel mondo, quanto siano diventati cruciali i festival e quanto Cannes abbia un potere economico imbattibile. La ragione principale per stare a Cannes per la maggior parte dei film infatti non è la possibile vittoria, cosa imponderabile, ma l’esposizione nel festival durante il quale si svolge il mercato più importante dell’anno. Chi è a Cannes, in qualsiasi sezione, riesce facilmente a vendere il proprio film in tantissimi paesi e a un prezzo maggiorato. Se poi arriva un premio questo prezzo aumenta ancora di più.
La selezione di quest’anno sembra indicare abbastanza chiaramente che il festival ha intuito che questa è la strada giusta e che vuole continuare a seguirla. Tradizionalmente a Cannes la selezione era piena di film dei “grandi maestri”, era il posto dove vedere i nuovi film dei maggiori nomi del mondo, registi in linea di massima dai 60 anni in su, con un numero più ristretto di novità, autori importanti di 40 o 50 anni (i “giovani” per gli standard del cinema) e qualche esordio.
Per il 2025 invece gli unici maestri in concorso sono i fratelli Dardenne (circa 70 anni a testa) e Spike Lee (68 anni) – gli altri nomi noti sono quasi tutti nel pieno della loro ascesa, come Ari Aster, Kelly Reichardt, Joachim Trier (il cui ultimo film era La persona peggiore del mondo), Dominik Moll, Julia Ducournau (quella di Titane). Solo considerando l’anno scorso, i grandi maestri in concorso erano stati Francis Ford Coppola, David Cronenberg e Paul Schrader.
Inoltre dopo gli anni in cui sembrava che le piattaforme di streaming fossero pronte a diventare le principali produttrici di film d’autore, cioè dopo Roma di Alfonso Cuarón, The Irishman e Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese (il primo di Netflix, il secondo di Apple TV+), ma anche Il potere del cane di Jane Campion o Argentina, 1985 e Challengers di Prime Video, la loro crisi le ha fatte ripiegare su un minor numero di titoli prodotti ogni anno e di natura più commerciale. Dopo anni di critiche per non aver voluto i loro film in concorso, il festival di Cannes ora incassa anche la vittoria di aver avuto i film più discussi delle ultime stagioni senza bisogno di contravvenire ai propri principi, giusti o sbagliati che fossero.
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Infine il grosso cambiamento per il festival è arrivato quando i film premiati hanno cominciato anche a essere film di grande successo economico. Una tendenza iniziò a Venezia a metà anni Dieci. A partire dal caso più clamoroso di tutti, quello di Parasite nel 2019, ci sono poi stati Titane, Anatomia di una caduta, Triangle of Sadness e ora Anora, tutti film che hanno girato, sono stati conosciuti e visti.
Lungo gli anni Dieci, in una tendenza più tradizionale per i grandi festival, avevano vinto film come Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti o Winter Sleep, che non erano stati anche dei successi. Un tempo i bollini che indicano la vittoria di un festival, quello con la Palma per Cannes o con il Leone per Venezia, avevano l’effetto di scoraggiare gli spettatori: ora invece sta diventando un marchio che attrae.



