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  • Venerdì 11 aprile 2025

Enver Hoxha guidò l’ultimo paese stalinista d’Europa

Per decenni fu il capo isolazionista e paranoico del regime albanese, uno dei più oppressivi della storia: morì 40 anni fa

Alcuni passanti davanti a un palazzo con il ritratto di Enver Hoxha in Albania, durante il comunismo
Alcuni passanti davanti a un palazzo con il ritratto di Enver Hoxha in Albania, durante il comunismo (Getty/Michel Setboun)
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L’11 aprile 1985 il dittatore albanese Enver Hoxha, che era stato per decenni il segretario del Partito del Lavoro (PPSH), morì nella sua villa a Tirana, la capitale dell’Albania. Hoxha in quel momento era il dittatore comunista che era rimasto al governo per più tempo nel mondo: per più di quarant’anni, dal 1944 al 1985, aveva governato l’Albania (in quel periodo nota come Repubblica Popolare Socialista d’Albania), creando un regime brutale e isolazionista.

Hoxha morì nella notte, ma la notizia venne data da Radio Tirana solo verso mezzogiorno: «oggi, alle 2:15, il cuore dell’amato e glorioso leader del partito e del nostro popolo, il compagno Enver Hoxha […] ha cessato di battere». Si trattava di un comunicato retorico e anche un po’ pudico, che evitava di usare la parola morte e «suggeriva che Hoxha non fosse morto davvero, ma semplicemente che il suo cuore avesse smesso di battere», ha scritto lo storico Fred Abrahams nel suo libro Modern Albania — From Dictatorship to Democracy in Europe.

Il governo dell’Albania, controllato dal PPSH, e gli organi di propaganda trattarono la morte di Hoxha come una calamità naturale. Le autorità decretarono sette giorni di lutto nazionale, durante i quali le attività si fermarono. Migliaia di persone si misero in fila a Tirana per rendere omaggio alla sua salma, tra grandi scene di cordoglio e isteria. Il suo successore, Ramiz Alia, che era stato scelto direttamente da Hoxha, si rivolse agli albanesi dicendo che sulla lapide avrebbe dovuto esserci soltanto la data di nascita: «Enver Hoxha è immortale», disse.

Alcune riprese effettuate dalla televisione albanese in occasione della morte di Hoxha

Hoxha è stato probabilmente l’uomo che più di ogni altro ha influenzato la storia dell’Albania, che era diventata indipendente dall’Impero ottomano nel 1912 e che prima della Seconda guerra mondiale era stata una monarchia. Eppure per moltissimo tempo Hoxha non aveva dimostrato interesse per la politica.

Nato in una famiglia di commercianti, Hoxha era stato tra le altre cose professore in un liceo francese e tabaccaio, prima di entrare a fare parte del Partito Comunista molto probabilmente un po’ per caso. Secondo molti storici, era stato scelto per fare parte della delegazione della città in cui viveva in quel momento, Korça, per portare un po’ di diversità al suo interno: gli altri partecipanti provenivano da famiglie ortodosse, e lui da una famiglia musulmana.

Durante la Seconda guerra mondiale, Hoxha diventò il capo del movimento partigiano comunista, che lottava contro gli eserciti dell’Italia e della Germania, che avevano occupato l’Albania. Hoxha accrebbe fin da subito il suo potere, anche grazie al sostegno decisivo del governo britannico e del Partito Comunista Jugoslavo, guidato da Josip Broz Tito, con il quale però i rapporti si deteriorarono in fretta. Marginalizzò i gruppi partigiani non comunisti e i propri potenziali rivali all’interno del Partito Comunista d’Albania (che in seguito cambiò nome in Partito del Lavoro d’Albania).

Il dittatore albanese Enver Hoxha durante le elezioni nazionali del 1967

Enver Hoxha durante le elezioni nazionali del 1967 (Getty Images)

Dopo la fine della guerra, Hoxha mantenne relazioni strette con l’Unione Sovietica e fu molto vicino a Iosif Stalin, allora Segretario generale del Partito Comunista sovietico (PCUS, che esercitava un’enorme influenza sui partiti comunisti europei). Stalin proponeva una versione particolarmente estremista dell’ideologia comunista. Hoxha ne imitò lo stile di governo, ricorrendo all’eliminazione sistematica dei propri rivali.

Dopo la morte di Stalin e la denuncia dei suoi crimini anche da parte del PCUS, l’Albania rimase l’unico paese stalinista d’Europa: nelle piazze di molte città albanesi esistevano monumenti a Stalin, anche quando ormai negli altri paesi comunisti la sua figura storica era ormai stata condannata.

 Enver Hoxha insieme a Iosif Stalin a Mosca, nel 1947

Per quattro decenni, gli albanesi vissero in un paese dove il solo partito legale era il Partito del Lavoro e dove il dissenso non era permesso.

Per controllare la popolazione, Hoxha creò un sistema di repressione capillare nel quale aveva un ruolo centrale la Sigurimi, la polizia segreta albanese. Ancora oggi, i suoi compiti e le sue esatte dimensioni non sono noti con esattezza, ma alcune fonti stimano che durante i quarant’anni in cui Hoxha fu al potere l’agenzia impiegò fino a 200mila operativi, e che raccolse dossier specifici su un milione di cittadini albanesi: numeri altissimi, in un paese la cui popolazione passò da 1,1 a 3,2 milioni di persone tra il 1945 e il 1989.

Hoxha non si limitava all’arresto di singoli individui giudicati sospetti e che spesso venivano arrestati per motivi banali. La repressione veniva spesso estesa anche ai loro familiari. Anche se non ci sono cifre esatte, secondo le stime ritenute più affidabili circa 6mila persone vennero uccise durante il comunismo, e decine di migliaia furono internate in campi di lavoro in condizioni estreme. In uno di questi campi, quello di Tepelenë, nel sud del paese, morirono anche centinaia di bambini. Il campo venne chiuso nel 1954.

Una statua di Enver Hoxha dentro la Piramide di Tirana, nel 1990

Una statua di Enver Hoxha dentro la Piramide di Tirana, un edificio brutalista di forma piramidale costruito dopo la sua morte e che per diversi anni fu un mausoleo dedicato a lui (Getty Images)

Durante gli anni in cui fu al governo, Hoxha promosse il culto della sua personalità, ma anche durissime politiche antireligiose e un isolazionismo esasperato, simile per certi versi a quello della Corea del Nord di oggi.

Per gli albanesi era sostanzialmente impossibile lasciare il paese, e anche i visitatori stranieri erano rarissimi. Nei resoconti di chi riusciva a entrare, l’Albania veniva descritta come un paese remoto e arretrato (due documentaristi italiani, Nicola Caracciolo e Gianni Fileccia, visitarono il paese alla fine degli anni Settanta e realizzarono un documentario che dà un po’ l’idea di come fosse il paese all’epoca). Chi visitava l’Albania era tenuto ad adattarsi allo stile imposto dalle autorità: tra le altre cose, erano vietati i vestiti femminili troppo corti, e alla frontiera c’erano barbieri tenuti ad assicurarsi che gli uomini avessero barbe e capelli corti e ben curati.

Con il passare degli anni Hoxha non ammorbidì le proprie posizioni: anzi, divenne sempre più paranoico e oltranzista. Negli ultimi anni della sua vita lui e la moglie, Nexhmije Hoxha (che ebbe un ruolo importante nella gestione del potere e della repressione in Albania), non uscivano praticamente mai dal Blloku, un quartiere centrale di Tirana dove vivevano i dirigenti del partito.

Nel frattempo Hoxha continuava a prepararsi per una presunta invasione da parte di un paese nemico che non avvenne mai: per questo motivo fece costruire in tutto il paese più di 170mila bunker in cemento armato, alcuni piccolissimi, che ancora oggi sono praticamente ovunque.

Ragazze e ragazzi albanesi durante una manifestazione in Albania, nel 1987

Ragazze e ragazzi albanesi durante una manifestazione in Albania, nel 1987. Sul palazzo alle loro spalle c’è un ritratto di Hoxha (AP/Rudi Blaha)

Dopo la morte di Hoxha, il regime comunista durò ancora qualche anno, fino alla fine del 1990. Anche se alcuni ricercatori gli hanno riconosciuto alcuni meriti molto limitati — per esempio il fatto di aver in parte contribuito alla modernizzazione e di aver migliorato la parità di genere in un paese che era molto arretrato e tradizionalista — il suo governo è generalmente ritenuto uno dei più oppressivi e violenti nell’Europa del Ventesimo secolo. Inoltre, alla caduta del comunismo, l’Albania era comunque il paese più povero del continente: tantissimi albanesi sfruttarono la nuova libertà di movimento per emigrare alla ricerca di condizioni di vita migliori, molti di loro proprio in Italia.

Nonostante il grosso ruolo che Hoxha e il comunismo hanno avuto nella storia recente albanese, oggi non sono molto presenti nel dibattito pubblico, spiega il giornalista Blendi Fevziu. Per molto tempo su Hoxha non c’è stata nemmeno una biografia che ne raccontasse la vita, e che non dipendesse dai tantissimi libri che lui stesso aveva scritto per legittimarsi come leader in Albania.

Nel 2016 Fevziu ha pubblicato la prima biografia su Hoxha, che è stata tradotta in inglese con il titolo Enver Hoxha: The Iron Fist of Albania. Nonostante il libro abbia avuto un’enorme eco in Albania, dice Fevziu, la società albanese non ha mai davvero esaminato in modo critico quel periodo.

Anche risarcire le vittime del comunismo è stato un processo complicato: «tutti sono d’accordo nel considerare quel periodo come un periodo brutto, che deve essere dimenticato», spiega Fevziu, notando però che il fatto di aver rinnegato così sbrigativamente quell’epoca ha fatto sì che la società albanese evitasse di interrogarsi sulle responsabilità delle persone che hanno reso possibile che Hoxha rimanesse al potere così a lungo: «Hoxha è stato l’unico leader di un paese comunista dell’Europa orientale che ha tenuto il potere per quarant’anni senza mai perderlo, nemmeno per un giorno, e lo ha conservato finché è morto. […] Non abbiamo mai fatto un’analisi per capire come mai il regime comunista è riuscito ad avere un potere così assoluto così a lungo».