Guida definitiva per comprare le uova al supermercato

Tutto quello che bisogna guardare su scatole e gusci per capire come vengono allevate le galline, e fare scelte non solo economiche

Un uovo prodotto in un allevamento biologico in provincia di Mantova (Jacopo Dani, Il Post)
Un uovo prodotto in un allevamento biologico in provincia di Mantova (Jacopo Dani, Il Post)
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Su qualsiasi uovo fresco commercializzato nell’Unione Europea è stampato un codice che dà alcune informazioni sulle condizioni in cui vive la gallina che l’ha deposto. Quindi chi vuole conoscerle per decidere quali uova acquistare può farlo piuttosto facilmente. O almeno in teoria è così, perché non a tutti è chiaro quali siano le differenze tra le uova di galline allevate “all’aperto”, contraddistinte dal numero 1 come prima cifra del codice, e quelle allevate “a terra”, segnalate da un 2 come prima cifra.

Ci sono poi aspetti che riguardano il benessere animale che non sono segnalati nei codici sulle uova e in alcuni casi nemmeno sulle confezioni: per saperne qualcosa in più bisogna andare un po’ oltre le definizioni di base.

In generale, negli ultimi vent’anni le condizioni di vita delle galline ovaiole, cioè allevate per produrre uova, sono molto migliorate nell’Unione Europea, Italia compresa. L’obbligo di marcare ogni uovo con un codice esiste dal 2004 e ha permesso ai consumatori di boicottare gli allevamenti “in gabbia”, avviando una transizione tuttora in corso verso metodi di allevamento che tengono in maggiore considerazione il benessere degli animali. Un altro progresso c’è stato nel 2012 quando è stato vietato l’uso delle cosiddette gabbie convenzionali, o “in batteria”, in cui quattro o cinque galline potevano essere rinchiuse in 550 centimetri quadrati, meno di un foglio A4.

Oggi i sistemi di allevamento previsti dalla legge che vengono usati per allevare le ovaiole sono quattro. In ordine dal maggiore al minore benessere che garantiscono alle galline, sono: “biologico”, “all’aperto”, “a terra” e “in gabbia”. Le uova prodotte in allevamenti biologici sono quelle il cui codice inizia per 0 (come nella fotografia in testa a questo articolo). Le uova degli allevamenti “in gabbia” infine sono indicate dal numero 3. Gli altri numeri e lettere dei codici indicano la provenienza delle uova, a partire dal paese di produzione («IT» nel caso dell’Italia).

Migliori condizioni di vita delle galline corrispondono generalmente a un prezzo maggiore. Per fare un esempio, un marchio di uova presente in un supermercato di Milano che ne vende di diversi tipi, oggi propone quelle da allevamento biologico a 56 centesimi all’uovo, quelle da allevamento all’aperto a 45 centesimi e quelle da allevamento a terra a 43 centesimi.

Galline in un campo vicino a un capannone

Un allevamento all’aperto a Selk, in Germania, nel 2014 (Christian O. Bruch/laif/contrasto)

La ragione per cui gli allevamenti migliori per le galline hanno costi maggiori è che hanno bisogno di più spazio, in sintesi.

Negli allevamenti in gabbia le galline hanno a disposizione 750 centimetri quadrati, poco più di un A4, e le gabbie sono impilate le une sulle altre, permettendo di sfruttare lo spazio in verticale. Negli allevamenti a terra invece sono chiuse tutte insieme dentro grandi capannoni (cioè sempre delle gabbie, in un certo senso, ma molto grandi) con una densità massima di nove galline per metro quadrato.

Un gran numero di galline in un capannone

Galline ovaiole in un allevamento a terra di Fleurus, in Belgio, nel 2012 (AP Photo/Yves Logghe)

Negli allevamenti all’aperto a questi spazi si aggiunge un campo annesso al capannone, in cui le galline hanno almeno quattro metri quadrati a testa per muoversi all’aperto appunto. Anche negli allevamenti biologici ci deve essere uno spazio esterno di proporzioni analoghe, ma si distinguono per i mangimi forniti agli animali, prodotti esclusivamente da agricoltura biologica. Infine, la densità nei capannoni deve essere al massimo di sei galline per metro quadrato.

Achille Schiavone, professore ordinario di avicoltura del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino, spiega che la ragione principale per cui le galline stanno meglio se hanno più spazio è che possono muoversi di più e quindi avere un apparato scheletrico e muscolare più robusto.

È prima di tutto una questione di salute. «Le galline sono soggette a osteoporosi, come le donne», dice Schiavone, «soprattutto quelle altamente produttive, perché il guscio delle uova è fatto di carbonato di calcio e il calcio proviene sia dall’alimentazione che dal tessuto osseo dell’animale: in allevamento arrivano a produrre circa 330 uova all’anno». Il movimento ha un’azione preventiva sull’osteoporosi e se hanno più spazio le galline si muovono di più.

Un piccolo capannone dove un uomo cammina tra le galline

Un allevamento a terra di piccole dimensioni a Torino, nel 2020 (Stefano Guidi/Getty Images)

«Poi c’è da dire che non sempre utilizzano tanto lo spazio a disposizione», precisa Schiavone, «perché la maggior parte delle ovaiole negli allevamenti intensivi appartiene a varietà commerciali come le Lohmann Brown o le ISA Brown che sono state selezionate nei decenni per l’allevamento in gabbia, e quindi sono meno propense al pascolamento rispetto alle razze tradizionali. E negli allevamenti intensivi soffrono meno».

Per quanto riguarda gli allevamenti in gabbia, quelli attuali sono organizzati con le cosiddette gabbie “arricchite”. Si chiamano così perché contengono dei posatoi leggermente rialzati rispetto al fondo delle gabbie e altri “arredi”. «Hanno una zona appartata, separata da tendine, dove deporre le uova», spiega Schiavone, «cosa che permette loro di rispondere a un’esigenza comportamentale, perché in natura le uova sono deposte in zone ombreggiate e appartate, nidi non esposti ai possibili predatori». I posatoi hanno una funzione simile perché le galline, come altri uccelli, preferiscono dormire in zone rialzate, analogamente più sicure. «Nella gabbie arricchite i posatoi sono sollevati di pochi centimetri rispetto al piano», precisa Schiavone, «negli allevamenti a terra sono molto più alti».

Gabbie in cui si vedono numerose galline, alcune posate su dei ripiani leggermente rialzati

Galline ovaiole rinchiuse all’interno di gabbie arricchite; alcune, come quella “di spalle” in primo piano, stanno su dei posatoi rialzati (Compassion in World Farming)

Negli allevamenti in gabbia è tuttora possibile che le galline siano “debeccate”, ovvero che vengano mutilate nella punta del becco, una pratica pensata per ridurre i danni dell’aggressività. Vivere in poco spazio infatti è causa di stress per gli animali, che soprattutto in certe condizioni possono sfogarsi aggredendo le compagne, per esempio quando è in corso un’ondata di calore: è una sorta di deformazione di un comportamento naturale, il grooming, ovvero la pratica di rimuoversi vicendevolmente i parassiti tra galline di uno stesso gruppo.

Non esistono leggi che impongano ai produttori di uova di dichiarare se le proprie galline siano debeccate. Non è nemmeno obbligatorio segnalare se le uova provengono da una filiera in cui si fa il “sessaggio in ovo”, la pratica introdotta negli ultimi dieci anni che permette di “risparmiare” i pulcini maschi. Per la produzione di uova infatti i galli non servono, e per questo tradizionalmente i fornitori di galline ovaiole uccidono i pulcini maschi non appena il loro sesso diventava evidente. Succede ancora, in Italia come in altri paesi del mondo, ma a partire dal 2019 si sono diffuse tecnologie che permettono di fare una sorta di ecografia alle uova fecondate e scartare quelle che contengono embrioni maschili (evitando così di uccidere i pulcini maschi dopo).

Alcune aziende che usano uova come ingredienti dei propri prodotti pubblicizzano la scelta di affidarsi a incubatori che non uccidono i pulcini maschi, ma i codici stampati sulle singole uova non danno informazioni in merito. In Italia bisognerà aspettare il 2027 per essere certi che le uova che si comprano non siano associate alla morte di pulcini maschi: solo allora entrerà in vigore un decreto legislativo del 2023 che ne vieta l’abbattimento (salvo modifiche nel frattempo).

I codici sulle uova non dicono nemmeno quali produttori decidono di tenere le proprie galline per più di un anno (ce ne sono soprattutto in Francia). Anche questa è una scelta etica che ha un costo aggiuntivo, perché nel secondo anno di vita le ovaiole producono meno uova, e perché prima di entrare nel loro secondo ciclo di deposizione hanno bisogno di due mesi di pausa.

«Fino a cinque, sei anni fa i consumatori si preoccupavano soprattutto delle uova acquistate direttamente», aggiunge ancora Schiavone, «mentre ora fanno sempre più attenzione anche a quelle usate come ingrediente nelle preparazioni di biscotti, tagliatelle, panettoni e colombe». Per questo molte catene di supermercati che vendono prodotti da forno con un proprio marchio hanno cominciato a escludere le uova degli allevamenti in gabbia. È una delle ragioni per cui il numero di galline allevate in gabbia è in diminuzione in Italia, mentre quelle allevate a terra sono in aumento.

Nel 2021 la Commissione europea promise un intervento legislativo per vietare l’allevamento in gabbia (rispondendo a una grande raccolta firme), ma finora non se n’è fatto nulla.

Alcuni paesi si sono mossi in autonomia: in Germania gli allevamenti in gabbia saranno vietati dal 2026; in Francia invece la costruzione di nuovi allevamenti di questo genere è vietata dal 2018. In Italia di allevamenti in gabbia ce ne sono ancora molti e non è detto che abbandonarli sia semplice. «Anche se si è critici dell’allevamento in gabbia», spiega Schiavone, «c’è comunque una questione di spazi, perché l’Italia ha una superficie produttiva limitata e gli allevamenti a terra richiedono anche più di cinque volte lo spazio richiesto dagli allevamenti in gabbia, dove si sfrutta lo spazio in verticale».

Un capannone dell’allevamento all’aperto di Selk, in Germania (Christian O. Bruch/laif/contrasto)

Per sapere quali supermercati e aziende alimentari favoriscono di più il benessere delle galline ovaiole si può seguire il lavoro di Compassion in World Farming (CIWF), un’organizzazione che difende i diritti degli animali di allevamento.

Tutte le regole che impongono di segnalare le modalità di allevamento delle galline ovaiole non valgono per i polli da carne, la cui filiera produttiva è diversa. Chi vende la carne può scegliere di dare alcune informazioni sulla modalità di allevamento ai consumatori, ma non è obbligato a usare codici analoghi a quelli per le uova.