Un cult Disney che non voleva esserlo
“In viaggio con Pippo” uscì trent'anni fa: oggi è un feticcio della cultura pop Millennial, ma al tempo non ebbe troppa fortuna

In viaggio con Pippo uscì al cinema il 7 aprile di trent’anni fa, con una promozione piuttosto blanda e un ritardo di cinque mesi rispetto alla data originariamente prevista. La Disney lo considerava un film di secondo piano e investì poche risorse nella sua realizzazione, che fu affidata alla Walt Disney Television Animation, una società interna alla compagnia che si occupava di produrre film a basso budget, in molti casi destinati alla televisione. Il costo complessivo di In viaggio con Pippo fu di appena 18 milioni di dollari, una cifra esigua per gli standard dei tempi: per dare l’idea Pocahontas, che uscì quello stesso anno, costò tre volte tanto.
Nonostante gli investimenti contenuti, le premesse non esaltanti e gli scarsi risultati commerciali che ottenne dopo la sua uscita (poco più di 35 milioni di euro), negli ultimi tre decenni In viaggio con Pippo è stato oggetto di una riconsiderazione critica e soprattutto di un’estesa passione tra ragazzi e adulti.
Oggi è infatti un feticcio degli appassionati delle produzioni Disney, che lo considerano un cult al pari dei grandi “classici” (una categoria di cui in teoria In viaggio con Pippo non fa neppure parte), come Aladdin, Il re leone o Robin Hood. Il film è una presenza costante nelle classifiche dedicate ai migliori film Disney di tutti i tempi ed è diventato di culto soprattutto tra i Millennial, che in molti casi lo celebrano con toni un po’ nostalgici. Disney+ ha da poco pubblicato il documentario Not Just a Goof, che racconta il processo di realizzazione del film e la sua inaspettata consacrazione tardiva.
Uno degli elementi che hanno consentito la rivalutazione di In viaggio con Pippo è la sua modernità: fino a quel momento Disney si era occupata soprattutto di rielaborare fiabe in chiave contemporanea, senza concentrarsi troppo su storie “vere” in cui tutti potessero immedesimarsi. Come ha scritto Ross Bonaime su Collider, In viaggio con Pippo raccontava invece una storia diversa, più universale: il rapporto tra un adolescente emotivo e un po’ fragile e un padre che, pur sforzandosi molto, non riesce a comprenderlo fino in fondo.
La direzione del film fu affidata a Kevin Lima, un animatore abilissimo e con un gusto formidabile per la caratterizzazione dei personaggi, ma che ai tempi non aveva mai lavorato come regista in senso stretto. Aveva un compito difficile: fino a quel momento Pippo era stato considerato un personaggio di secondo piano, spesso relegato al ruolo di spalla comica del ben più famoso Topolino.
Le sue potenzialità furono parzialmente intuite grazie a Ecco Pippo!, una serie di 78 episodi uscita nell’autunno del 1992 che non si limitò a esaltare gli aspetti comici e la legnosità del personaggio, ma lo mise al centro della narrazione trasformandolo in un padre di famiglia tonto e adorabile. La serie ebbe buoni riscontri, e così Disney provò a espanderne l’universo narrativo con un film.
L’espediente da cui Lima e gli sceneggiatori Jymn Magon, Chris Matheson e Brian Pimental partirono fu quello del “road trip”: nel film, Pippo trascina suo figlio Max in un viaggio a tappe lungo tutti gli Stati Uniti, impedendogli di trascorrere l’estate con Roxanne, la compagna di classe per cui ha una cotta.
Secondo Bonaime, questo spunto apparentemente semplice ha reso In viaggio con Pippo un film intergenerazionale, che assume significati diversi con il passare degli anni: da bambini è facile immedesimarsi in Max, ma «crescendo è difficile non iniziare a simpatizzare per Pippo, un padre che vuole solo il meglio per suo figlio».
La storia fu arricchita da soluzioni narrative prese in prestito da generi diversi. Per alcuni versi il film ha la struttura di un teen drama, data la grande centralità attribuita ai problemi scolastici e sentimentali di Max; per altri celebra quello spirito scanzonato tipico delle prime caratterizzazioni di Pippo, come dimostra il susseguirsi di gag demenziali e slapstick, che coinvolgono cioè la fisicità dei personaggi; per altri ancora è un musical: le sequenze ballate e cantate abbondano, e la colonna sonora è ancora ricordata come una delle più riuscite dell’animazione di quel decennio.
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Un altro motivo di successo del film fu lo sviluppo dei personaggi: Lima si divertì a inserire comprimari stravaganti e carismatici come Powerline, una popstar modellata sullo stampo di Prince di cui Max e i suoi compagni di classe sono fan sfegatati, e che ha un ruolo fondamentale nello sviluppo della storia.
Altri personaggi erano già comparsi in Ecco Pippo!, ma furono presentati in una chiave diversa e più matura. Come ha notato Chris Peterson, un blogger statunitense che recensisce musical e rappresentazioni teatrali, il caso più eclatante è probabilmente quello di Max: nella serie Ecco Pippo! veniva presentato come il classico studente combina guai e poco riflessivo, ma nel film di Lima è «goffo, ansioso, cerca di impressionare una ragazza e fa fatica a destreggiarsi in quello strano spazio tra l’infanzia e l’età adulta».
In viaggio con Pippo è diventato un successo anche tra la comunità afroamericana, che si è immedesimata nei personaggi di Pippo e Max, immaginandoli come una famiglia di persone nere. Questa interpretazione è legata in parte a fattori estetici (come l’abbigliamento di Max e dei suoi amici, che è in effetti molto hip hop) e in parte alle frasi pronunciate da alcuni personaggi (per esempio, a un certo punto il preside della scuola chiama Pippo per dirgli che suo figlio si veste come «il membro di una gang»).
Oggi il film è diventato parte della cultura pop nera: un episodio della quarta stagione della serie tv Atlanta, intitolato L’imbranato della porta accanto (The Goof Who Sat by the Door, in originale), racconta la storia di Thomas Washington, un animatore idealista che diventa amministratore delegato della Disney e che ha l’ambizione di creare «il cartone animato più afroamericano di tutti i tempi»: quel cartone è proprio In viaggio con Pippo.
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