Il goffo tentativo dell’amministrazione Trump di difendere i dazi ai pinguini

Sostiene che mettere dazi ai posti sperduti serva a scoraggiare certe pratiche per aggirarne il pagamento, in maniera non del tutto convincente

Due pinguini papua (AP Photo/Jorge Saenz)
Due pinguini papua (AP Photo/Jorge Saenz)
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Il segretario al Commercio degli Stati Uniti Howard Lutnick ha dato una spiegazione piuttosto goffa sul perché tra le decine di paesi contro cui sono stati annunciati i nuovi dazi compaiono anche posti disabitati e da cui è improbabile sia esportato alcunché. È il caso per esempio delle isole Heard e McDonald, uno sperduto territorio australiano a migliaia di chilometri dalla terraferma e abitato solo da foche e pinguini, divenuto piuttosto noto in questi giorni proprio per via dei dazi del 10 per cento imposti dagli Stati Uniti sulle sue esportazioni ed entrati in vigore sabato.

Mentre alcuni funzionari del governo australiano nei giorni scorsi avevano ipotizzato evidenti automatismi o errori nella compilazione della lista, in un’intervista Lutnick ha detto che in realtà i dazi contro questi territori hanno una ragione ben specifica: evitare che i paesi in cui si trovano li usino in una triangolazione commerciale per aggirare il pagamento dei dazi, facendo così arbitraggio, come si dice in gergo. «Se lasci qualcuno fuori dalla lista, i paesi cercheranno di fare arbitraggio attraverso questi territori per arrivare negli Stati Uniti», ha detto. «Il presidente [Donald Trump] lo sa, ne è stufo, e ha intenzione di sistemare le cose».

L’arbitraggio è una pratica usata da molti paesi non solo per evitare i dazi ma anche per aggirare le sanzioni internazionali (e più in generale per trarre vantaggio economico dalle differenze nelle condizioni economiche di posti e contesti diversi). Nell’idea di Lutnick, un’azienda australiana con sede a Perth potrebbe per esempio decidere di mandare la sua merce destinata agli Stati Uniti prima sull’isola di Heard e solo dopo spedirla alla destinazione finale, per fare in modo che risulti fittiziamente originaria da quel territorio e quindi non paghi i dazi sulle merci australiane.

È però abbastanza irrealistico pensare che per farlo si possano usare territori di questo tipo, remoti, disabitati e con infrastrutture assolutamente non idonee al commercio internazionale. Un sistema di questo tipo rischierebbe di essere più costoso dei dazi stessi.

Per esempio, le isole Heard e McDonald sono nell’oceano Antartico, a 4mila chilometri dalla costa occidentale australiana: per raggiungerle ci vogliono dieci giorni di navigazione, variabili in base alle condizioni meteo. Non ci abita nessuno e sono visitate soltanto saltuariamente a scopi di ricerca scientifica. Ovviamente sull’isola non esistono attività economiche, e nemmeno porti adeguati alle navi cargo.

Al momento non è neanche chiaro se da queste isole parta effettivamente un quantitativo di merci tale da ipotizzare l’esistenza di questa pratica e quindi da giustificare l’imposizione dei dazi. Ci sono in realtà dei dati su cui l’amministrazione Trump potrebbe essersi basata: secondo la Banca mondiale, per esempio, nel 2022 gli Stati Uniti hanno importato merci per 1,4 milioni di dollari (quasi 1,3 milioni di euro) dalle isole disabitate di Heard e McDonald, classificati principalmente come «macchinari e apparecchiature elettroniche» (non è specificato di che tipo).

Non è chiaro con esattezza come siano stati calcolati questi numeri, ma è abbastanza frequente che i dati sul commercio globale contengano errori di vario tipo, derivati per esempio da sviste nella compilazione dei documenti di trasporto.

– Leggi anche: La formula molto, molto dubbia con cui gli Stati Uniti hanno calcolato i dazi