Dentro al carcere di “Mare fuori”
Per certi aspetti la vita nell'istituto per minorenni di Nisida è simile a quella mostrata nella serie della Rai, per altri no
di Marta Impedovo

Fuori dalle finestre dell’istituto penale minorile di Nisida il mare c’è davvero. Il carcere a cui si ispira Mare fuori, serie tv della Rai di grande successo di cui è appena uscita la quinta stagione, si trova infatti su una piccolissima isola vulcanica collegata al quartiere di Bagnoli, nella parte sud ovest di Napoli, da una sottile striscia di terra. A differenza della serie però l’istituto non è un casermone al livello del mare, ma un insieme di edifici posti sulla parte più alta dell’isola e circondati dal verde. Sono due piccoli esempi di come in Mare Fuori convivano elementi molto aderenti alla realtà di Nisida e altri completamente inventati: a volte così tanto che chi ci lavora parla di «fantapenitenziario».

L’isola di Nisida vista dalla terraferma (il Post)
La prima differenza tra la serie e la realtà che salta all’occhio se si visita Nisida oggi è che non ci sono ragazze. Quando uscì la prima stagione, nel 2020, il reparto femminile c’era ancora, ma le detenute sono sempre state molte meno dei maschi, tra le 2 e le 10 su una cinquantina in totale, numero che nel frattempo è molto aumentato. Silvia Vigilante, educatrice di Nisida da quindici anni, racconta che la chiusura del reparto femminile nel 2023 è stata una grossa perdita perché era «un reparto d’eccellenza» e la convivenza tra maschi e femmine era un valore per la vita comunitaria.
«Ovviamente ragazzi e ragazze non potevano appartarsi sul terrazzo come si vede in una scena della serie. Anche perché non abbiamo un terrazzo», racconta Vigilante. «Ma si incontravano durante i laboratori e nelle ore di scuola: erano sempre momenti molto attesi da tutti. Nascevano amori che diventavano corrispondenze epistolari, quello sì. In generale, con loro la popolazione dell’istituto era un po’ più simile a quella che c’è fuori».
Sulla chiusura del reparto femminile ha un’opinione un po’ diversa Margherita Di Giglio, magistrata di sorveglianza del tribunale per i minorenni di Napoli, cioè la giudice che si occupa delle pene dei detenuti di Nisida. Di Giglio ricopre questo ruolo dal 2022 e dice che «il primo obiettivo con chi ha commesso un reato da minorenne è il reinserimento nella società». Proprio per via dei loro percorsi positivi, alle ragazze di Nisida Di Giglio ha concesso misure alternative al carcere, e l’amministrazione penitenziaria ha dopo poco deciso di chiudere il reparto (anche perché nel frattempo la popolazione maschile era in aumento). Secondo i dati dell’associazione Antigone che risalgono a fine 2023, in Italia su 425 detenuti delle carceri minorili solo 13 erano ragazze.

(il Post)
Oggi i detenuti di Nisida sono un’ottantina: un numero che gli educatori definiscono «altissimo», circa il doppio di quello ideale per la struttura. A Nisida il rapporto tra detenuti ed educatori è buono, circa un educatore ogni quattro ragazzi. Il problema è piuttosto il numero di agenti penitenziari, che è ritenuto insufficiente anche perché, spiega Vigilante, «violenze, risse e disordini ci sono, come in tutte le realtà carcerarie».
I detenuti sono aumentati negli ultimi anni in tutta Italia: alla fine del 2022 gli istituti minorili ospitavano 381 ragazzi e a febbraio del 2024 erano 532. È il numero più alto da dieci anni e si deve in grossa parte al cosiddetto “decreto Caivano” voluto dal governo di Giorgia Meloni, che ha reso più semplice la carcerazione delle persone minorenni.
I ragazzi detenuti sono aumentati soprattutto nelle carceri minorili del nord Italia e per via del sovraffollamento alcuni sono stati distribuiti negli istituti del sud. Nell’ultima stagione della serie ci sono in effetti due nuovi personaggi che arrivano dal carcere Beccaria di Milano. Un altro detenuto milanese era stato il protagonista della prima stagione: Filippo detto Chiattillo, cioè figlio di papà. Questi personaggi non rispecchiano però le storie dei detenuti che davvero arrivano a Nisida dal nord Italia, che sono per la quasi totalità giovani italiani di seconda generazione, con famiglie provenienti dal nord Africa, o stranieri arrivati in Italia da poco.
Gli educatori di Nisida raccontano che questa contaminazione ha portato molte tensioni e disordini: «eravamo abituati ad avere una cinquantina di detenuti napoletani e magari 10 detenuti dal nord che venivano integrati. Poi improvvisamente sono diventati metà e metà ed è stato più difficile: i primi si sentivano invasi, i secondi vittime di razzismo, ed era uno scontro continuo. Non avevamo un mediatore culturale, che ora invece è interno. Abbiamo incontrato degli operatori degli istituti del nord Italia che avrebbero dovuto farci formazione ma si sono trovati a loro volta davanti a una situazione nuova e ingestibile».
Spiegano che i detenuti della zona di Napoli vengono da contesti difficili, poveri, degradati e dove c’è la camorra, ma sono comunque più facili da gestire rispetto agli altri che hanno problemi più profondi, per esempio perché compiono atti di autolesionismo o hanno gravi dipendenze da psicofarmaci: due cose che tra i napoletani non avevano mai visto. Sono intervenuti prima dividendoli del tutto, poi poco alla volta facendo conoscere quelli più collaborativi di ciascun gruppo. «È stato un lavoro enorme che ha dato piccoli frutti. La situazione ora è un po’ migliorata ma devo essere sincera: un equilibrio non l’abbiamo trovato», dice Vigilante.

Un campo da pallavolo e basket dentro le mura di Nisida (il Post)
Cristiana Farina, l’ideatrice di Mare fuori, cominciò a lavorare a una serie ispirata al carcere di Nisida già agli inizi degli anni Duemila. «Mentre lavoravo come sceneggiatrice di Un posto al sole, il direttore mi invitò ad assistere a uno spettacolo teatrale fatto dai detenuti». Farina passò poi alcuni mesi a fare la volontaria nell’istituto, annotandone storie e funzionamenti: Ignazio Gasperini, educatore e vicedirettore di Nisida, dice che se lo ricorda bene. I diritti della sua sceneggiatura allora furono acquistati dalla Rai, che però abbandonò il progetto. Farina lo riprese soltanto dopo molti anni, quando i diritti della Rai scaddero, solo che nel frattempo molte cose erano cambiate.
– Leggi anche: Il caso Mare fuori
Il personaggio di Naditza, giovane proveniente da una famiglia rom che commette piccoli reati solo per poter stare in carcere e sfuggire dai genitori che vogliono farla sposare, era realistico per i primi anni Duemila ma oggi non esiste. «Oggi non si entra più in custodia cautelare per piccoli furti reiterati», spiega Vigilante. Più in generale però chi lavora o vive a Nisida riconosce che le storie dei protagonisti di Mare fuori sono molto vicine a quelle dei detenuti veri. I reati commessi sono vari: contro il patrimonio, quindi rapine, e contro la persona, quindi lesioni, omicidi o tentativi di omicidio, oltre che spaccio. Dalle imputazioni non risulta che facciano parte della criminalità organizzata (anche perché i giudici minorili cercano di evitare di “etichettare” in questo modo ragazzi così giovani), ma se si approfondisce spesso il legame c’è.
Anche «il rapporto che si crea tra i detenuti e chi lavora all’interno è realistico», dice Alessio (nome di fantasia), che ha 21 anni e vive nell’istituto da quando era minorenne. «A Nisida c’è sempre qualcuno pronto a darti una mano facendoti capire i tuoi errori e aiutandoti ad andare avanti». «Quello che non è realistico», chiarisce Vigilante, «è la connivenza che si crea tra il personale del carcere e i detenuti: qui se un ragazzo scappa lo andiamo a cercare, non potrebbe mai succedere che qualcuno “chiude un occhio” per concedergli qualche giorno di libertà», come succede invece in un episodio di Mare fuori. Sulle evasioni Vigilante dice che tra i detenuti non napoletani di recente qualcuno ha provato a scappare dal carcere, cosa che non succedeva da anni. Non è così difficile visto che le mura non sono alte: l’isola però è piena di scogli e può essere pericoloso fare un inseguimento.
Un’altra cosa che non potrebbe mai succedere è che la direttrice del carcere prenda in affido la figlia di un detenuto. «Però devo dire che il personaggio del comandante in Mare fuori (interpretato da Carmine Recano, ndr) è ricalcato molto fedelmente sul nostro ex comandante», racconta l’educatrice.

Massimiliano Caiazzo e Carmine Recano in una scena della serie
Nelle carceri minorili italiane entra chi ha commesso un reato tra i 14 e i 18 anni, ma dal 2018 si può rimanere fino ai 25 anni. A Nisida i maggiorenni sono la maggior parte. Questo un po’ risponde ai dubbi di chi guardando la serie si chiede come sia possibile che ragazzi minorenni si sposino e abbiano figli così spesso. Gli educatori di Nisida però confermano che è effettivamente molto frequente, anche tra i più giovani: «c’è in generale una diffusa ricerca della paternità precoce: in alcuni casi avviene per un semplice discorso di ignoranza sui metodi contraccettivi, ma in tanti casi è cercata. C’è l’idea che essere padre significa essere adulto».
Dei detenuti di Nisida la maggioranza è in attesa di giudizio: vuol dire che è in carcere in custodia cautelare ma che il processo non si è ancora concluso e quindi non c’è stata una condanna definitiva. La stessa cosa vale a livello nazionale: sempre secondo il rapporto di Antigone sulla giustizia minorile di un anno fa solo il 5,7% dei detenuti è in carcere per espiare una pena, il 27% ha una posizione giuridica mista, con almeno una condanna definitiva e altri processi in corso, e il resto, circa due terzi, è in carcere in custodia cautelare.
La permanenza media dei ragazzi è di 6 o 7 mesi, ma alcuni restano anche 4 o 5 anni. Gasperini sottolinea che il tempo è un fattore importante: «paradossalmente chi sta dentro più a lungo riesce a fare un percorso migliore su di sé, che è quello che poi ti porta a decidere di non tornare a delinquere quando uscirai».

(il Post)
Dalla serie non è mai troppo chiaro chi sia in attesa di processo e chi abbia già una sentenza definitiva: per la vita nell’istituto però fa una grossa differenza, perché chi è in custodia cautelare non può ottenere permessi per uscire (salvo in casi eccezionali) e non può accedere a misure alternative al carcere, magari cominciando a lavorare all’esterno (il cosiddetto articolo 21, con riferimento alla legge sull’ordinamento penitenziario). In questo senso alcune scene di detenuti che vengono fatti uscire in permesso senza aver mai fatto un’udienza in tribunale sono definite dagli educatori «da fantapenitenziario». «I primi permessi cominci ad averli dopo un bel po’», spiega Vigilante.
A Nisida ci sono cinque ragazzi che con una buona condotta sono riusciti a ottenere di vivere in un piccolo edificio all’esterno delle mura, in un regime cosiddetto attenuato, meno controllato dagli agenti, e da cui possono uscire per andare a lavorare. Con loro vive anche un cane: Libero. Si occupano della manutenzione del verde dell’isola e per l’altra metà della giornata studiano da privatisti per fare la maturità.
Uno di loro ha raccontato al Post che lavorare sull’isola è comunque un po’ limitante e che gli piacerebbe avere «più possibilità per lavorare all’esterno e sentirmi più introdotto nella società moderna, per aver tempo di ambientarmi e prepararmi a quando la pena finirà». L’isola infatti si estende su meno di un chilometro quadrato e oltre all’istituto ospita solo una chiesa e il comando logistico della marina militare di Napoli. I detenuti sono i suoi unici abitanti.

Un punto panoramico di Nisida da cui si vede l’isola di Capri (il Post)
Dentro le mura del carcere ci sono edifici spesso fatiscenti che ospitano la mensa, le aule scolastiche, un laboratorio di ceramica, uno di pasticceria, un teatro attualmente abbandonato, una zona dedicata alla scuola edile, e naturalmente le stanze. Ci vivono in due o tre e hanno letti singoli (non sono quindi stipati nei letti a castello come nelle prime stagioni della serie), la televisione – su cui guardano tra le altre cose anche Mare fuori – e bagni privati.
Non ci sono i bagni pubblici che si vedono in varie scene della serie, e dove solitamente scoppiano risse e si consumano vendette. I laboratori e i campi sportivi per fare attività ci sono e sono molto utilizzati: «sono una delle cose vere della serie», dice Vigilante. Il pianoforte invece non c’è.

Il laboratorio di pasticceria di Nisida, in questi giorni impegnato a sfornare colombe pasquali (il Post)
C’è generale accordo però sul fatto che i laboratori non sono sufficienti per creare percorsi di reinserimento davvero efficaci. Lo pensa anche Di Giglio, che dice che negli ultimi anni, da quando è arrivata, «la mia intenzione è favorire il più possibile le misure alternative: dare più articoli 21 per lavorare all’esterno». Il magistrato di sorveglianza è un personaggio che nella serie viene spesso citato ma non si vede mai. È una figura però abbastanza fondamentale in un carcere, e a Nisida in particolare si fa vedere e sentire parecchio da quando è arrivata Di Giglio, che dice di essere da subito intervenuta sulla vita dei detenuti in modo forse più decisivo di quanto avessero fatto i magistrati prima di lei.
I detenuti a Nisida passano buona parte della giornata fuori dalle celle, ma hanno comunque degli orari molto rigidi. Gasperini dice in generale che a Nisida non c’è il libertinaggio che si vede nella serie e che questo aspetto colpisce sempre molto sia gli operatori che i ragazzi che vivono a Nisida. Per esempio «è assolutamente inverosimile che i ragazzi si spostino da una parte all’altra dell’istituto di sera», come si vede spesso nella serie. La giornata solitamente inizia alle 9 e fino alle 12 si fanno scuola o altre attività, poi si pranza e fino alle 15 si sta in stanza. Nel pomeriggio si fanno attività divisi in gruppi, alcuni dalle 3 alle 5 e altri dalle 5 alle 7, quando si cena. Dalle 19:30 si torna tutti in stanza fino alla mattina.
Nella serie ci sono anche alcune storie di detenuti che dopo aver avuto l’opportunità di uscire e scontare la pena con misure alternative al carcere decidono di tornare dentro. «Ecco questa è una cosa che penso che possa succedere solo in tv», dice Alessio, «per quanto ci si possa trovare bene, è pur sempre un carcere e si vive ogni giorno con l’aspettativa di uscire».



