La grande distesa di frigoriferi abbandonati a Tivoli

Nei terreni di un'ex fabbrica di polvere da sparo, poco fuori Roma, dove molto probabilmente ci sono anche ordigni inesplosi

di Angelo Mastrandrea

Frigoriferi abbandonati nell'ex polverificio Stacchini a Tivoli (Angelo Mastrandrea/il Post)
Frigoriferi abbandonati nell'ex polverificio Stacchini a Tivoli (Angelo Mastrandrea/il Post)
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Davanti all’ex fabbrica di polveri da sparo Stacchini, a Bagni di Tivoli in provincia di Roma, ci sono i resti di alcuni frigoriferi smontati e privati di tutti i componenti rivendibili. Il luogo è in evidente stato di abbandono, e si può entrare seguendo un sentiero che aggira le mura di recinzione passando tra arbusti, piante fiorite ed erba alta da cui spuntano carcasse di elettrodomestici. Più avanti, centinaia di frigoriferi smembrati sono accatastati attorno agli alberi fioriti, o abbandonati tra i rovi e vicino agli ex depositi di esplosivi.

L’ingresso dell’ex polverificio Stacchini a Tivoli (Angelo Mastrandrea/il Post)

In fondo, prima dei canneti che nascondono la vista dell’Aniene, un affluente del Tevere, c’è una spianata un po’ brulla costellata di altri frigoriferi abbandonati.

L’enorme discarica abusiva si estende su quasi mezzo chilometro quadrato di terreni, poco più della metà dell’area della fabbrica Stacchini, all’incrocio tra la popolosa periferia nord-orientale della capitale e quelle di Guidonia Montecelio e Tivoli, due cittadine che complessivamente hanno quasi 150mila abitanti. Ci si arriva imboccando una strada sconnessa che costeggia i binari della ferrovia Roma-Pescara e termina in un piazzale utilizzato come parcheggio per dormire dai camionisti, che attendono di caricare le merci in un vicino polo logistico. Il confine con Roma è subito al di là del fiume e dell’autostrada che lo costeggia. Villa Adriana, una delle abitazioni più belle dell’antica Roma, nel 2024 visitata da 250mila turisti, è a meno di cinque chilometri di distanza. Le terme con acqua sulfurea di Tivoli sono lontane appena un chilometro.

«La nostra ipotesi è che qui per almeno una decina di anni molti rivenditori della zona abbiano smaltito gli elettrodomestici usati che sono tenuti a ritirare quando ne vendono uno nuovo», dice Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio. Scacchi vive a Tivoli e conosce molto bene quel luogo. Racconta che «quando ero piccolo si sentivano le esplosioni» della fabbrica di polvere da sparo, e che nel 1946 ci fu un incidente che provocò cinque morti e alcune decine di feriti. Nel 2000 la Stacchini fallì e chiuse, e lo stabilimento rimase abbandonato. Negli anni successivi fu occupato da alcune centinaia di persone di etnia rom, che costruirono un accampamento di baracche e roulotte tra i sentieri e gli edifici dove si preparavano le bombe.

Frigoriferi smembrati e abbandonati nei terreni dell’ex polverificio Stacchini a Tivoli (Angelo Mastrandrea/il Post)

Secondo le ricostruzioni degli ambientalisti, il traffico di rifiuti cominciò nel 2010. «I rom furono usati come paravento, perché nessuno veniva a controllare cosa accadeva qui dentro e allo stesso tempo loro smontavano i frigoriferi per riciclare il rame e gli altri materiali che potevano rivendere», dice Scacchi. «L’entità del fenomeno fa pensare a una filiera ecomafiosa che guadagna due volte sul ciclo illegale di questi rifiuti: da una parte sul contributo ambientale previsto per smaltire correttamente i frigoriferi giunti a fine vita, dall’altra sul mercato dei metalli pregiati contenuti in grandi quantità in questi elettrodomestici, che vengono smantellati sfruttando la manodopera in nero».

Nel 2015 il campo fu sgomberato e le baracche furono abbattute. I terreni furono acquistati all’asta giudiziaria da una società che aveva intenzione di costruire un polo logistico. Prima però avrebbe dovuto bonificare tutta l’area, ma non lo ha mai fatto perché «gli sarebbe costato il quadruplo di quanto aveva speso per acquistarli», spiega Gianni Innocenti, ex assessore all’Ambiente di Tivoli con la precedente giunta di centrosinistra. Legambiente ha stimato i costi in almeno 4 milioni di euro, che aumenterebbero a 10 milioni se si dovesse scavare per cercare ordigni sepolti e ripulire i terreni dalle scorie della produzione di bombe.

La fabbrica fu aperta alla fine degli anni Trenta, fu occupata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale e per decenni ha prodotto ordigni di ogni tipo. «Sottoterra, tra le rocce di travertino ci sono delle cavità naturali e non sappiamo cosa si potrebbe trovare, negli edifici ora diroccati dove si preparavano le bombe non sappiamo cosa c’è», dice Scacchi. Più di una volta sono stati ritrovati casualmente ordigni tra la vegetazione. Nel 2014, grazie alla segnalazione di una persona che era andata a cercare asparagi selvatici, furono trovate dodici bombe inesplose che spuntavano dal terreno.

Nel 2017 la Commissione Europea dichiarò quasi mezzo chilometro quadrato dei terreni dell’ex polverificio Zona speciale di conservazione (ZSC), cioè un’area dove gli habitat naturali vanno protetti per via dei giacimenti di marmo di travertino, la pietra bianca tipica dei monumenti romani, dal Colosseo in giù. Nel 2020 la Regione Lazio ne affidò la gestione al Parco regionale dei monti Lucretili, e a novembre del 2024 i nuovi proprietari della Stacchini hanno accettato un accordo con la Regione che gli dà la possibilità di costruire il polo logistico in circa 300mila metri quadrati di terreni che non rientrano nell’area protetta. In cambio, cederà i terreni rimanenti al Parco.

Frigoriferi abbandonati nell’ex polverificio Stacchini a Tivoli (Angelo Mastrandrea/il Post)

Innocenti, da assessore all’Ambiente, fece fare un censimento «parziale» dei rifiuti, che poi avrebbero dovuto essere portati via. «Volevo evitare che l’Italia ricevesse l’ennesima sanzione europea per violazione delle norme sullo smaltimento dei rifiuti, visto che si tratta anche di un’area protetta», spiega. A marzo del 2021 alcuni comitati ambientalisti locali però si opposero all’ingresso dei camion che avrebbero dovuto caricare i frigoriferi. Sostenevano che avrebbero distrutto con il loro passaggio i licheni sulle rocce di travertino, violando le norme europee che tutelano l’area. La Regione Lazio rinviò la bonifica, che non è più avvenuta. «Il risultato fu che la biodiversità fu salvata, ma ora è costretta a farsi largo tra i rifiuti», dice Innocenti.