L’influenza del basket da campetto nell’NBA
L'evoluzione moderna del gioco l'ha resa sempre meno evidente, ma è ancora tanta e ha una storia notevole

C’è un dribbling molto usato in NBA, il principale campionato di basket nordamericano, in cui il giocatore spinge la palla in avanti con una mano per ingannare il difensore, poi la recupera rapidamente con l’altra, cambiando direzione e lasciandolo spiazzato. Si chiama Shammgod, dal nome di God Shammgod: oggi è il preparatore atletico dei Dallas Mavericks e in occasione di una partita di campionato tornerà a New York. È lì che negli anni Novanta aveva perfezionato il suo dribbling, parte di un modo di giocare molto spettacolare che aveva imparato nei campetti di New York.
Lo Shammgod eseguito per la prima volta in tv da God Shammgod, 1997
Come tanti altri cestisti diventati famosi e formatisi sui campetti, Shammgod ebbe molte difficoltà nel passaggio tra i professionisti, tanto che dopo essere entrato in NBA vi rimase un solo anno. Ma il suo nuovo ruolo ai Mavericks e la grande fama che la sua mossa ha ancora tra i professionisti dimostra che il basket da campetto, percepito negli ultimi anni come sempre più distante dal gioco professionistico, mantiene invece un legame profondo e duraturo con la NBA.
Il basket da campetto è molto diverso da quello regolamentare, tanto per cominciare perché non ci sono regole precise. Si può giocare su tutto il campo o a metà, con un numero indefinito di giocatori e solo in qualche torneo organizzato ci sono degli arbitri. È un tipo basket molto più libero, insomma, che dà comprensibilmente maggiore creatività a chi gioca.
Ma il basket da campetto che ha influenzato l’NBA è stato soprattutto quello che si è sviluppato al Rucker Park, un campetto del quartiere newyorkese di Harlem diventato famoso a partire dagli anni Quaranta proprio per il modo spettacolare e molto competitivo in cui si giocava a basket. Al Rucker Park i cestisti si liberavano degli avversari con metodi creativi, erano molto virtuosi nel palleggio e facevano schiacciate acrobatiche. Erano tutte cose assenti nella NBA dell’epoca, dove il regolamento vietava ogni contatto del palmo con la palla, limitando il repertorio tecnico dei giocatori. Parte di questo modo spettacolare di giocare nato nei campetti arrivò solo progressivamente in NBA, grazie anche all’approvazione di alcune regole meno rigide.
La spettacolarità del basket da campetto era anche alimentata da un pubblico sempre più numeroso che voleva intrattenersi e divertirsi. Jamaal Tinsley, ex cestista di NBA che ha iniziato a giocare a basket proprio nei campetti di New York, ha raccontato che quando giocava al Rucker Park doveva anche «cercare di coinvolgere gli spettatori».
Ma negli ultimi anni l’NBA sembra essersi di nuovo un po’ allontanata dalla creatività e spettacolarità dei campetti: molti commentatori e appassionati ritengono che il gioco sia diventato più monotono. Seguendo soprattutto il modello dei Golden State Warriors, che tra il 2014 e il 2018 sono stati la squadra più dominante della NBA, quasi tutte le squadre di NBA oggi tirano molto di più fuori dall’area e valorizzano molto di più i passaggi rapidi rispetto al palleggio per superare o spiazzare l’avversario. A New York il problema è molto sentito dagli appassionati, che si chiedono come mai la città non produca più grandi talenti come in passato.
Per molti anni, però, i più forti giocatori della NBA hanno riconosciuto nel basket da campetto del Rucker Park una pallacanestro di alto livello, per quanto diversa, e con cui valeva la pena confrontarsi. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta il basket della NBA era appunto molto più lento e dinamico di oggi, e giocare nei campetti era un modo per i più forti di tenersi in forma.
Per questo sin dagli anni Cinquanta i più forti giocatori di NBA hanno spesso partecipato al torneo estivo del Rucker Park: tra loro vi fu Kareem Abdul Jabbar, uno dei cestisti più forti di sempre. Quando, a fine carriera, gli venne chiesto quale fosse il giocatore più forte che avesse affrontato, rispose Earl Manigault, cioè un celebre cestista del Rucker Park che però non aveva mai giocato in NBA.
Dalla fine degli anni Sessanta, poi, alcuni giocatori cresciuti tra il Rucker Park e gli altri campetti di New York riuscirono a entrare in NBA e a importare nel basket professionistico le mosse imparate al campetto. Il primo di loro fu Cornelius Hawkins. Ai campetti di New York aveva imparato a passare la palla molto bene e rapidamente, una cosa molto rara per un giocatore alto più di due metri come lui, e a schiacciare facendo salti acrobatici: per questo al Rucker Park, dove tornava ogni estate a giocare, era soprannominato “The Hawk”, il falco.

L’ex giocatore di NBA Cornelius “the Hawk” Hawkins durante una partita di NBA del 1976 (George Gojkovich/Getty Images)
Ma il primo giocatore “di strada” ad avere avuto un grande successo tra i professionisti fu Julius Erving. Era cresciuto anche lui tra i campetti di New York (e naturalmente giocò anche al Rucker Park), dove aveva imparato a schiacciare la palla con salti acrobatici. Entrò tra i professionisti nel 1971 e fu il primo giocatore in NBA a eseguire schiacciate con frequenza, velocità e grande agilità. Prima di lui la schiacciata era poco utilizzata nella lega, dato che era considerata un gesto un po’ antisportivo; ma Erving la eseguiva in un modo così spettacolare e coinvolgente che riuscì a sdoganarla.
Oltre alla schiacciata, Erving portò in NBA quel modo di giocare a basket rapido e fatto di scontri fisici che aveva imparato nei campetti. Ancora più celebre delle sue schiacciate fu un dribbling che fece in aria a Kareem Abdul Jabbar. Erano le finali di NBA del 1980 ed Erving, che giocava per i Philadelphia 76ers, era saltato per fare una schiacciata, ma si era trovato davanti Jabbar, giocatore dei Los Angeles Lakers alto 2 metri e 18 centimetri, cioè 17 centimetri in più di lui. Per aggirarlo, Erving mosse il braccio sotto il canestro e fece un layup, cioè appoggiò la palla a canestro.
Il famoso dribbling in aria di Julius Erving durante le finali di NBA nel 1980
Dopo Erving, per decenni i giocatori di NBA (e non solo quelli che erano cresciuti a New York) continuarono a portare i palleggi creativi imparati sui campetti. Dalla stagione 1998-1999, in particolare, il basket da campetto assunse un’ancor più grande popolarità in NBA. La squadra che aveva dominato per quasi 10 anni l’NBA, i Chicago Bulls di Michael Jordan, aveva perso i suoi giocatori più importanti, e cominciarono ad avere più spazio e popolarità altri giocatori entrati da poco in NBA, che portavano con sé uno stile tipico dei campetti.
Tra questi c’era Rafer Alston, un cestista che prima di arrivare in NBA era già diventato famoso tra i campetti di New York, la città dove era nato, e soprattutto al Rucker Park. Lì veniva chiamato “Skip” per il modo in cui era solito superare gli avversari, palleggiando con la palla tra le gambe e saltellando (“skip” vuol dire appunto saltare). Il modo di giocare di Alston diventò famoso in NBA grazie anche a una videocassetta realizzata dal brand di scarpe sportive AND1 nel 1998, in cui erano mostrate le migliori giocate che Alston aveva fatto ai campetti.
Molti giocatori NBA hanno detto che quella videocassetta ebbe un impatto significativo sul basket professionistico. L’ex cestista Jamal Crawford disse che «portò un punto di vista completamente diverso su come si poteva giocare», tanto che all’inizio degli anni Duemila alcuni giocatori la portavano sempre con sé per guardare i video prima delle partite.
Alla fine degli anni Novanta arrivarono in NBA anche Vince Carter, il cui idolo era proprio Erving e che eseguiva schiacciate molto spettacolari, e Allen Iverson, che, alto appena un metro e 83 centimetri (molto sotto la media), scartava in modo imprevedibile gli avversari con mosse da campetto, come lo “slip N side”, con cui un giocatore fa finta di scivolare per superare un avversario, e il “crossover”, cioè un cambio di mano eseguito con rapidità.
I più forti giocatori dell’NBA per anni continuarono anche a partecipare al torneo del Rucker Park, a dimostrazione del continuo legame tra basket da campetto e basket professionistico. Tra questi ci furono gli stessi Carter e Iverson, ma anche Kobe Bryant, considerato uno dei più forti giocatori di basket della storia. L’ultimo importante giocatore di NBA a partecipare al torneo del Rucker Park è stato nel 2011 Kevin Durant, giocatore dei Phoenix Suns e uno dei più forti cestisti attualmente in NBA.
Nonostante siano quasi 15 anni che i giocatori di NBA non giocano al Rucker Park e nonostante il gioco nel frattempo sia cambiato molto, il basket da campetto fa ancora parte della cultura dell’NBA. Mosse come lo Shammgod o la schiacciata sono parte del repertorio tecnico di tanti giocatori in NBA, e a volte sono anzi quelle più apprezzate e acclamate dal pubblico.
Questa influenza, in varie forme, sembra comunque destinata a restare perché è necessaria: ancora oggi il campetto è in tanti paesi uno dei modi più accessibili ed economici per ragazzi e ragazze di avvicinarsi al basket.