Come ricordiamo i sogni?

Il più delle volte non ci riusciamo: dipende dalla fase del sonno in cui ci svegliamo, ma anche da predisposizioni individuali e da altri fattori

La scena del film in cui i due protagonisti sono sdraiati su un letto matrimoniale su una spiaggia innevata davanti al mare
Una scena del film del 2004 Se mi lasci ti cancello (Mptvimages.com/Contrasto)
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Si sente dire spesso che trascorriamo circa un terzo della nostra vita dormendo. Eppure di questa esistenza parallela ricordiamo poco o niente. Anche quando capita di svegliarsi con in mente un sogno appena fatto, basta cominciare le prime routine quotidiane per dimenticarlo completamente. A volte il sogno torna alla mente, se qualcosa durante la giornata ce lo ricorda; il più delle volte, svanisce per sempre.

Come e perché ricordiamo in dettaglio alcuni sogni e dimentichiamo tutti gli altri è da sempre un argomento che suscita grande curiosità, ed è uno dei grandi temi di cui si occupa chi studia le scienze del sonno e il funzionamento della memoria. Sebbene la ragione precisa non sia chiara, esiste un esteso consenso scientifico riguardo al presupposto che tutte le persone sognino regolarmente. Chi dice che non sogna, è perché dimentica più facilmente di averlo fatto: è in effetti molto difficile credere in qualcosa di cui non ricordiamo niente.

Diversi studi descrivono da tempo l’attività di ricordare i sogni più come una faccenda di tempismo che di capacità. Persino le persone che affermano di non ricordare mai i sogni in realtà li ricordano, in condizioni di laboratorio, se vengono svegliate al momento e nel modo giusti. Quel momento è quando emergiamo dal sonno REM (la fase in cui facciamo sogni più vividi e narrativi, successiva a quella di sonno più profondo), e siamo facilmente inclini a riaddormentarci.

Per questo motivo è abbastanza facile ricordare i sogni nei brevi momenti in cui capita, per esempio, di svegliarsi di notte per andare in bagno ancora mezzi addormentati, spiegò al New York Times Robert Stickgold, professore di psichiatria alla Harvard Medical School e ricercatore specializzato in disturbi del sonno. Si possono ricordare i sogni anche al mattino, ovviamente, ma è più facile riuscirci se il risveglio avviene lentamente e senza movimenti bruschi, e se si ha modo di ripensare al sogno appena fatto rimanendo mezzi addormentati nella fase di sonno leggero. Scendere giù dal letto al suono della sveglia non aiuta, insomma.

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Per uno studio pubblicato nel 2017 un gruppo del Centro di ricerca neuroscientifica di Lione (CRNL) esaminò il sonno di 18 persone che dicevano di ricordare i loro sogni quasi ogni giorno, e quello di altre 18 che invece non li ricordavano quasi mai. Dall’analisi emerse che durante la notte il gruppo che ricordava di più i propri sogni aveva risvegli più frequenti, che duravano in media un paio di minuti: un tempo probabilmente sufficiente per permettere di codificare l’esperienza onirica nella memoria.

Avere risvegli troppo frequenti può però essere un indizio di disturbi. «La mancanza di sonno è spesso associata a un maggiore ricordo dei propri sogni», ha detto a Popular Science Erin Wamsley, professoressa di psicologia e neuroscienze alla Furman University, in South Carolina.

A conferma delle conoscenze accumulate negli ultimi due decenni, il momento del risveglio è stato descritto come uno dei fattori influenti sul ricordo dei sogni anche in uno studio recente, pubblicato a febbraio sulla rivista Communications Psychology e condotto da un gruppo di ricercatori e ricercatrici della Scuola IMT Alti Studi di Lucca e dell’università di Camerino. Lo studio ha coinvolto oltre 200 persone tra 18 e 70 anni, a cui è stato chiesto di annotare su un registratore vocale i loro sogni ogni giorno per 15 giorni subito dopo il risveglio, mentre altri loro dati venivano raccolti tramite dispositivi indossabili, questionari e test psicometrici.

Ciascun partecipante doveva dire se ricordava di aver sognato o no, e anche se aveva l’impressione di aver sognato qualcosa di cui però non ricordava niente (una condizione nota come «sogno bianco»). Doveva quindi descrivere il contenuto del sogno, se era in grado di ricordarlo. I risultati hanno mostrato che le persone che al risveglio avevano periodi prolungati di sonno leggero dopo quello profondo avevano maggiori probabilità di ricordare i loro sogni. Inoltre capitava di ricordarli più ai partecipanti giovani che a quelli anziani, che invece riferivano più sogni bianchi rispetto ai partecipanti giovani.

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Tra i vari altri fattori emersi dallo studio, condotto tra il 2020 e il 2024, c’è anche una certa variabilità stagionale: i partecipanti segnalavano meno ricordi dei sogni d’inverno che in primavera e in autunno. La principale ipotesi di spiegazione è che sul ricordo dei sogni influiscano in qualche modo anche i ritmi circadiani, cioè i cicli con cui si ripetono regolarmente determinati processi fisiologici nell’arco di 24 ore.

Un altro fattore influente sul ricordo dei sogni secondo i dati raccolti dal gruppo di ricercatori e ricercatrici è l’attitudine individuale a sognare a occhi aperti, cioè a fantasticare da svegli, distrattamente, distogliendo l’attenzione da altri compiti da svolgere. Le persone con una maggiore attitudine di questo tipo avevano molte più probabilità di ricordare i loro sogni, probabilmente perché sognare e fantasticare sono attività che coinvolgono strutture e funzioni cerebrali simili.

Una possibile spiegazione alternativa, secondo il gruppo di ricerca, è che rispetto ad altre persone quelle più inclini a sognare a occhi aperti potrebbero in generale essere più attente alle loro esperienze soggettive. Questo potrebbe a sua volta rendere più semplice la codifica delle esperienze oniriche nella memoria e il loro recupero attraverso i ricordi da svegli.

Altri fattori che influenzano il ricordo dei sogni sono in generale molto difficili da controllare attivamente, ha detto a Popular Science Jing Zhang, ricercatrice in neuroscienze cognitive presso il Massachusetts General Hospital e la Harvard Medical School. Uno di questi è il contenuto e l’intensità del sogno: quelli emotivamente più intensi hanno maggiori probabilità di essere ricordati, come vale del resto anche per le esperienze che viviamo da svegli.

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