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  • Venerdì 21 febbraio 2025

La storia di Gisèle Pelicot vista dalla figlia, Caroline Peyronnet

Ha raccontato le conseguenze che hanno avuto su di lei e sui rapporti con la madre i crimini di suo padre e il relativo processo

di Ginevra Falciani

Caroline Peyronnet al tribunale di Avignone, il 20 novembre 2024 (ANSA/EPA/GUILLAUME HORCAJUELO)
Caroline Peyronnet al tribunale di Avignone, il 20 novembre 2024 (ANSA/EPA/GUILLAUME HORCAJUELO)

Quando Caroline Peyronnet ha ricevuto la telefonata che le ha cambiato radicalmente la vita era in cucina, insieme a suo marito, e l’orologio del forno segnava le 20:25 del 2 novembre 2020. Quell’orologio è il particolare che le è rimasto più impresso del momento in cui sua madre, Gisèle Pelicot, le ha detto che per anni suo marito Dominique Pelicot l’aveva drogata a sua insaputa, l’aveva violentata e aveva permesso a decine di sconosciuti di fare lo stesso mentre era incosciente, filmandoli. Lunedì, durante un incontro a Milano con la giornalista e scrittrice Daria Bignardi, Peyronnet ha detto che in quel momento è stato come se «una bomba fosse esplosa in mezzo al mio salotto».

Questa settimana è uscito in Italia il libro E ho smesso di chiamarti papà, pubblicato da Utet, in cui Peyronnet racconta nella forma di un diario i mesi seguiti a quella scoperta, tre anni prima del processo che ha fatto conoscere a tutto il mondo la storia della sua famiglia e durante il quale sua madre è diventata un’icona femminista. Nel libro e in alcune recenti interviste Peyronnet ha parlato di cosa ha significato scoprire di essere «la figlia della vittima, ma anche la figlia del suo carnefice» e allo stesso tempo una vittima diretta di suo padre. Ma anche di come sono cambiati i rapporti nella sua famiglia, specialmente quelli fra lei e sua madre. Gisèle Pelicot non ha mai dato interviste.

Il libro era già uscito in Francia nel 2022, con dei nomi diversi. Proprio per la volontà di far conoscere la sua storia, inizialmente senza compromettere la sua privacy e quella della sua famiglia, Peyronnet aveva scelto di presentarsi con lo pseudonimo di Caroline Darian, un cognome inventato a partire dall’unione dei nomi dei suoi due fratelli, David e Florian. Questo pseudonimo è stato mantenuto anche nella nuova edizione, in cui i nomi delle persone protagoniste sono quelli originali.

Peyronnet dice di aver iniziato a scrivere cosa le stava accadendo come una sorta di esercizio terapeutico dopo essere stata ricoverata in un reparto di psichiatria per tre giorni a causa di un esaurimento nervoso, dopo meno di una settimana dalla prima telefonata con sua madre. In quei giorni la polizia le aveva detto che suo padre le aveva scattato delle foto mentre dormiva, che poi aveva pubblicato online: a causa delle pose innaturali e dei vestiti che indossava nelle foto, Peyronnet era stata da subito convinta che suo padre l’avesse drogata prima di scattargliele, per evitare che si svegliasse. Dopo questa scoperta aveva iniziato a proibirsi di dormire. Nel frattempo lei e i suoi fratelli facevano avanti e indietro dal sud della Francia per svuotare la casa dove i suoi genitori abitavano e portare via sua madre, mentre suo padre si trovava già in detenzione preventiva.

Nel libro alle pagine di diario sono affiancati ricordi dell’infanzia di Peyronnet, oggi quarantenne, che mostrano lo stretto rapporto che lei aveva con suo padre. In un’intervista con il Post ha detto di aver deciso di inserirli affinché il lettore «comprendesse questa forma di dissociazione» che lei stava provando dopo aver scoperto che suo padre, a cui era legatissima, era in realtà «un essere demoniaco». Peyronnet ha detto più volte che per lei è stato come se suo padre fosse morto nel 2020 e che non andrà mai a trovarlo in carcere.

Caroline con i fratelli Florian (al centro) e David (a destra) al tribunale di Avignone, in Francia, il 5 settembre 2024 (ANSA/EPA/GUILLAUME HORCAJUELO)

Il distacco di Gisèle Pelicot da quello che oggi è il suo ex marito è stato molto più graduale e meno netto di quello della figlia, cosa che ha complicato i loro rapporti: nel suo libro Peyronnet racconta di come abbia assistito incredula alla decisione di sua madre di preparare e portare personalmente una borsa di vestiti a suo padre in carcere, dopo che lui li aveva chiesti in una lettera fatta uscire clandestinamente dalla prigione.

Nonostante il grande amore e rispetto che mantiene nei confronti di sua madre, che non smette mai di ricordare, Peyronnet ha ammesso che la distanza fra loro due è aumentata con il processo, che ha «segnato la fine della nostra vita come una famiglia». È ben consapevole che sua madre sia la principale vittima, ma sostiene che durante le udienze lei e i suoi fratelli non abbiano ricevuto «l’accompagnamento che meritavamo fino alla fine». Ha invece detto di aver mantenuto un rapporto molto stretto con i suoi fratelli.

Peyronnet in particolare fa riferimento al fatto che durante gli interrogatori Dominique Pelicot si è dichiarato colpevole dei fatti riguardanti sua moglie ma ha sempre negato di aver drogato e violentato la figlia, sostenendo di essersi limitato a scattarle delle foto. Tuttavia, come sua madre non ricorda nessuno degli stupri che ha subito, nemmeno dopo aver visto i video in cui sono ripresi, è possibile che anche Peyronnet non ne abbia memoria. Non fidandosi di suo padre, ma non avendo prove, deve quindi fare i conti con il fatto che non verrà mai a sapere la verità. «Davanti a me avevo un muro di silenzio e di menzogna, avevo una madre che era completamente focalizzata su di lei e sulla sua storia e noi ci siamo ritrovati soli in quella corte», ha detto al Post.

Il processo è terminato con la condanna di tutti e 51 gli imputati: i giudici hanno assegnato pene dai 3 ai 15 anni agli altri uomini e la pena massima di 20 anni a Dominique Pelicot. Ma non è stato possibile provare che abbia commesso violenze contro la figlia.

– Leggi anche: Sono tre mesi e mezzo che c’è la fila fuori dal tribunale di Avignone

Caroline Peyronnet bacia sua madre Gisèle Pelicot durante la prima udienza del processo, il 2 settembre 2024 (Arnold Jerocki/Getty Images)

Nonostante questo, Peyronnet sostiene fermamente che sua madre abbia fatto la cosa giusta aprendo le porte del suo processo, come lei stessa l’ha incoraggiata a fare per mostrare alle altre vittime di violenza che non bisogna vergognarsi di aver subito uno stupro e per far conoscere al mondo il fenomeno della sottomissione chimica, che consiste nel drogare una persona a sua insaputa per abusarne senza che lei possa reagire e talvolta senza che nemmeno se ne renda conto.

Si tratta di una pratica che nell’immaginario collettivo viene associata all’ambiente delle discoteche e alla GHB, a cui spesso ci si riferisce sui media come “droga dello stupro”, ma che in realtà viene principalmente praticata all’interno della sfera familiare o fra persone conosciute con l’utilizzo improprio di farmaci di uso comune, come sonniferi o tranquillanti.

– Leggi anche: Parlare delle violenze subite, senza vergognarsene

La decisione di avere un processo pubblico e l’impostazione femminista con cui, durante le sue testimonianze in aula, Gisèle Pelicot ha parlato degli stupri che aveva subito hanno riaperto in Francia un grande dibattito sulla cosiddetta “cultura dello stupro” e hanno dato a molte donne, ma anche ad alcuni uomini, il coraggio di parlare più apertamente della loro esperienza di violenza.

Dalla fine del 2022 Peyronnet porta avanti una campagna chiamata #MendorsPas (#NonMiAddormentare in italiano), con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sul tema della sottomissione chimica e far approvare delle leggi che offrano più sostegno a coloro che pensano di poter essere vittime di questa pratica. Proprio in questa ottica lo scorso 15 ottobre è stata istituita una linea nazionale di assistenza speciale appositamente dedicata.

«Se avessimo parlato dei sintomi della sottomissione chimica cinque anni fa mi sarei interrogata» sulle ricorrenti amnesie e sulle perdite di conoscenza di sua madre, ha detto al Post. Più volte Gisèle Pelicot ha infatti consultato un medico pensando che quei sintomi dipendessero da un principio di Alzheimer, da un tumore al cervello o una malattia degenerativa, quando invece tutto dipendeva dai potenti tranquillanti che suo marito le somministrava a sua insaputa, nascondendoli nel cibo.

Oltre a essere per lei uno strumento per porre l’attenzione sul tema della violenza degli uomini sulle donne, Peyronnet ha deciso di pubblicare il libro così da poter avere un controllo sul modo in cui è stata e sarà raccontata questa storia, su cui è stato detto e scritto moltissimo, ma anche per «ricordare che quando un dramma del genere colpisce una persona, non colpisce solo lei, ma tutta la famiglia».

Per lei «il processo non ha mai rappresentato la fine. Il mio processo di riparazione è ancora in corso». Al termine dell’incontro di presentazione del suo libro ha detto che «anche aiutando le altre persone io riesco a ricostruirmi».