Ci sono attacchi esplosivi alle petroliere nel Mediterraneo
Due episodi hanno diverse analogie con la Seajewel a Savona, e c'è il sospetto che c'entri la guerra in Ucraina
di Laura Fasani e Daniele Raineri

I magistrati della direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo della procura di Genova sono sicuri che ci sia stato un attacco con due bombe contro la nave petroliera Seajewel mentre era ferma all’ancora davanti a Vado Ligure, in provincia di Savona, a poche centinaia di metri dalla costa. Molti elementi fanno pensare che l’attacco avvenuto nella notte tra venerdì 14 e sabato 15 febbraio faccia parte di una campagna di sabotaggi con cariche esplosive, che nel giro di 29 giorni ha danneggiato tre petroliere ormeggiate in Turchia, in Libia e appunto in Italia.
Le tre navi avevano in comune il fatto che di recente avevano attraccato in Russia, secondo i dati di navigazione ottenuti dall’agenzia Reuters. Il sospetto è che ci sia un’operazione in corso dell’Ucraina per colpire nel Mediterraneo le petroliere che partecipano al commercio del greggio e del gas russi. Quel traffico, pur ostacolato dalle sanzioni internazionali, è ancora la principale fonte di guadagno per la Russia.
L’equipaggio della Seajewel ha raccontato di avere sentito un boato alle 23:40 di venerdì 14 febbraio. Una prima bomba ha aperto uno squarcio sotto la linea di galleggiamento, ma il doppio scafo della nave ha retto la forza dell’esplosione: si è rotto soltanto lo strato più esterno, che non tocca la cisterna. Non c’è stato uno sversamento di petrolio in mare e nessuno è stato ferito. Una seconda bomba, forse perché nel frattempo si era staccata dalla chiglia per un malfunzionamento, è esplosa sul fondo del mare ventidue minuti dopo.
La perizia dei sommozzatori di marina del COMSUBIN, il Raggruppamento subacquei e incursori della Marina militare, arrivati martedì 18 dalla loro base marittima a La Spezia per esaminare la chiglia della petroliera, ha escluso le altre spiegazioni possibili, come un incidente o l’esplosione di un residuato bellico. Tra gli elementi considerati ci sono i boati, il fatto che le lamiere della nave nella zona colpita fossero piegate verso l’interno e anche la presenza di pesci morti, che saranno analizzati per trovare tracce di esplosivo.
Secondo fonti sentite dal Post, le bombe usate sono mine magnetiche, che possono essere attaccate alla chiglia di una nave da sommozzatori specializzati in questo genere di operazioni.
Gli investigatori genovesi, che hanno parlato con il Secolo XIX, pensano che una squadra di sommozzatori sia arrivata da terra e stanno controllando le registrazioni delle telecamere in quella zona per vedere se riescono a individuarla nelle immagini. Secondo la loro ricostruzione, i sommozzatori si sarebbero immersi con il buio, avrebbero coperto la breve distanza che li separava dalla petroliera, avrebbero piazzato le bombe e si sarebbero allontanati mentre qualcuno da terra controllava la situazione.
L’operazione ricorda i sabotaggi della X Mas, un reparto speciale della Marina in epoca fascista, contro le petroliere e le navi da guerra inglesi ormeggiate in Egitto durante la Seconda guerra mondiale. Gli incursori di Marina sono gli eredi di quel reparto e sono stati chiamati a fare la perizia sul sabotaggio della Seajewel perché tra i loro compiti in caso di guerra c’è anche quello di piazzare cariche esplosive per affondare navi nemiche. Hanno dovuto giudicare il lavoro di qualcuno che potrebbe avere il loro stesso tipo di addestramento.
Stando alla ricostruzione del Secolo XIX, la posizione della falla non sarebbe casuale: secondo un esperto mandato a Savona dalla Thenamaris, la compagnia greca della Seajewel, lo squarcio lungo 1,2 metri e largo 70 centimetri si è aperto esattamente in mezzo alla chiglia. In quel punto non ha e non avrebbe potuto compromettere la stabilità della nave né danneggiare la cisterna. L’ipotesi di chi indaga, quindi, è che chi ha fatto esplodere gli ordigni non volesse provocare un disastro ambientale né affondare la nave: il gesto sarebbe più che altro un avvertimento.
L’ipotesi è rafforzata da quello che era successo durante gli attacchi esplosivi alle altre due petroliere.
Il primo è avvenuto nella notte tra venerdì 17 e sabato 18 gennaio contro la nave Seacharm nel porto turco di Ceyhan. Anche questa petroliera appartiene alla compagnia greca Thenamaris ed è stata danneggiata, ma nel giro di dieci giorni ha potuto riprendere il mare. La Thenamaris conferma con una mail che sull’incidente è stata aperta un’inchiesta in Grecia. Dopo le riparazioni, secondo una fonte di Lloyd’s List Intelligence (un servizio di informazioni e di monitoraggio del traffico navale) che ha parlato con il Post, la Seacharm è andata in Libia nella zona di Ras Lanuf e poi si è diretta anch’essa verso Savona, dov’è adesso.
Il secondo attacco è avvenuto nel pomeriggio di sabato 1 febbraio contro la petroliera Grace Ferrum a Tripoli, in Libia. Le esplosioni sono state due, una sotto e una sopra la linea di galleggiamento, e i loro effetti sono stati molto simili a quella della Seajewel.
Una fonte della Marina militare spiega che è molto improbabile che la bomba possa essere stata attaccata alla Seajewel in un altro porto per poi essere fatta detonare in Liguria: di solito chi piazza una bomba ci tiene a farla esplodere in tempi rapidi per evitare imprevisti e malfunzionamenti. La possibilità di perdere la mina in mare durante la navigazione è elevata, per via della forza della corrente.
Dopo l’invasione su larga scala della Russia in Ucraina, i servizi segreti dei due paesi hanno cominciato una campagna di sabotaggi e attentati che raggiunge bersagli anche distanti dai confini nazionali. Gli ucraini sono considerati responsabili della distruzione dei gasdotti Nord Stream e Nord Stream 2, che trasportavano il gas russo in Germania: a compiere l’operazione, secondo ricostruzioni bene informate, fu una squadra di sommozzatori con cariche esplosive.
Ci sono stati almeno due casi di sabotaggi di navi russe rivendicati dal Gur, l’intelligence militare ucraina, nel 2024. E ci sono altri casi sospetti e mai rivendicati, come l’affondamento della nave da trasporto russa Ursa Major al largo della costa spagnola il 23 dicembre 2024, e il danneggiamento della nave spia russa Kildin davanti alla costa siriana il 23 gennaio. Il capo del Gur, il generale Kyrylo Budanov, dieci anni fa faceva parte dell’equivalente ucraino degli incursori della Marina italiani e ha familiarità con questo genere di missioni.
La Seajewel ha ripreso le operazioni di scarico del petrolio mercoledì sera e le ha concluse giovedì mattina. Dopodiché la petroliera è stata spostata più verso Savona, come si vede dalla piattaforma che traccia gli spostamenti delle navi VesselFinder. Ci sarebbe l’idea di metterla in secca per poter fare analisi più accurate: non esiste però un bacino abbastanza grande in Italia e sarebbe quindi necessario trasferire la nave all’estero. Al momento non è ancora stata presa una decisione in merito. Ogni giorno di mancata navigazione costa all’armatore novantamila dollari, abbastanza da scoraggiare nuovi viaggi commerciali in Russia.



