Sono anni bui per i film
Nel senso che capita spesso di vedere facce in ombra o anche intere scene che si capiscono poco: è il risultato di una scelta precisa
di Gabriele Niola

Nei primi anni Duemila, e poi con maggiore enfasi negli anni Dieci, i film e in certi casi anche le serie tv hanno adottato con più frequenza una fotografia dai toni scuri. Il risultato è che molto spesso sia i film d’autore che i grandi film commerciali americani possono avere scene buie e in cui non sempre si distingue bene ogni elemento, senza che questo sia considerato un problema da chi i film li produce e poi promuove.
Non è, come viene spesso detto, una questione tecnica o tecnologica, né legata alla compressione del video digitale o delle impostazioni dei televisori. È una scelta artistica precisa, parte di uno stile diffuso in questi anni.
La fotografia nei film è l’arte della gestione della luce. Il direttore della fotografia è la persona che si occupa di decisioni sia sulla composizione dell’inquadratura (chi è inquadrato, in quale posizione, con che distanza dallo sfondo…) che su come le persone o gli oggetti sono illuminati. Il comparto della fotografia è quello che si occupa di decidere le luci, la loro intensità e la loro posizione, e così determina l’immagine finale. Una delle molte ragioni per le quali storicamente i film si girano nei teatri di posa è che lì si parte da un buio che è totale e quindi qualsiasi luce è perfettamente regolabile.
Fino agli anni Duemila le luci in una scena non dovevano avere altre ragioni che non fossero la riuscita visiva, cioè un senso estetico oppure la veicolazione di un’idea o un’emozione particolare. È noto il paradosso per il quale nel film di Ridley Scott I duellanti, a un certo punto i protagonisti corrono alla carica sui cavalli uno contro l’altro ed entrambi hanno il sole alle spalle. Non ha un senso logico, ma ne ha uno drammaturgico, perché dà l’enfasi giusta allo scontro. Gli spettatori non notano questi dettagli ma vengono colpiti dalla forza visiva.
Questo era ancora più vero nelle scene più buie, quelle notturne o quelle in ambienti poco illuminati, nelle quali non è mai stato un problema inserire luci artificiali che non avessero reali ragioni per stare lì.

In questa scena di “Ritorno al futuro 2” Michael J. Fox è illuminato da una serie di luci che non si sa da dove vengano
Quando si usa la pellicola è necessaria molta luce perché l’immagine venga ripresa bene, ma oltre a questo i direttori della fotografia la usano da sempre anche a fini drammaturgici.

In questa scena tratta da “Scream” del 1996, i personaggi sono in una stanza e non ci sono luci dal basso, tuttavia ne viene piazzata una per trasmettere l’idea che il personaggio illuminato abbia intenzioni malvagie
Visto che comunque bisogna piazzare fari e luci, lo si fa per enfatizzare certi dettagli della scena o per comunicare qualcosa allo spettatore, come quando un cattivo è illuminato dal basso per far capire le sue intenzioni meschine. Oppure più semplicemente le si posiziona affinché restituiscano il miglior risultato da un punto di vista estetico.

“Highlander – L’ultimo immortale” del 1986 è un film molto influenzato dall’estetica pubblicitaria e in questa scena in un garage in cui ci sarebbero solo luci in alto, i personaggi sono illuminati in modi illogici, ma cinematografici, da tutti i lati
Gradualmente negli anni Duemila l’adozione del supporto digitale al posto della pellicola ha avuto come conseguenza (tra le molte) anche il fatto di rendere più facile girare in condizioni di luce scarsa. Lo dimostrò, per primo tra i grandi nomi del cinema, Michael Mann con Collateral nel 2004, in cui le sorgenti di luce alle volte sono molto fioche ma i soggetti si distinguono lo stesso. Mann è un regista che spesso gira di notte, perché ha una passione per gli ambienti notturni e specialmente le strade delle città. Già due decenni prima, con l’episodio pilota della serie Miami Vice, aveva creato un’estetica notturna originale che influenzò il cinema successivo. Non era buia e aveva molte luci anche del tipo “impossibile”, cioè che non hanno un’origine coerente con la scena.

In questa scena tratta dall’episodio pilota della serie “Miami Vice” i soggetti sono ben illuminati da una luce che non si potrebbe trovare su un binario ed è troppo forte per essere quella della Luna
Invece in Collateral, girando in digitale, aveva sperimentato la possibilità di usare per le riprese notturne luci realistiche, quelle che sarebbero effettivamente nella scena e illuminerebbero i soggetti se tutto fosse vero. Il risultato è molto diverso.

In questa scena del film “Collateral” le luci fasulle, da cinema, sono ridotte al minimo e il soggetto non è illuminato bene ma in maniera più realistica per qualcuno che è all’aperto di notte.
Collateral all’epoca fu una piccola rivoluzione: non era il primo film girato in digitale ma era il primo grande film digitale girato da qualcuno che voleva usare il supporto digitale per fare qualcosa che non era possibile con la pellicola. Da quel momento in molti lo hanno seguito, hanno copiato quell’estetica notturna o continuato a cercare di capire come ridurre le luci e avvicinarsi al realismo delle riprese grazie al digitale. Almeno per un certo tipo di film.
Non mancano nemmeno oggi i film illuminati in maniera classica e tradizionale, quindi con chiarezza, ma è evidente che ci sono molte più scene buie in giro rispetto a prima e che non sempre sono chiare come dovrebbero. Questo è sempre più criticato da chi i film o le serie li vede. Uno dei momenti di protesta più intensi risale all’epoca della messa in onda del terzo episodio dell’ottava stagione di Il trono di spade, intitolato La lunga notte. Tutta l’azione si svolge di notte e le scene erano così buie che molti spettatori avevano lamentato di non essere riusciti a distinguere cosa accadesse. HBO, il canale che lo trasmetteva, fu costretto poi a rendere disponibile on demand una versione più illuminata di quella puntata.
Anche i blockbuster, che di solito sono gli ultimi a recepire le novità e anzi tendono a essere riluttanti al cambiamento perché preferiscono rassicurare il proprio pubblico, hanno cominciato a essere meno illuminati alla fine degli anni Duemila.

Questa scena di “Harry Potter e i doni della morte – Parte 1” del 2010 si svolge in assenza di luce ed effettivamente è molto buia
Là dove all’inizio del decennio avevano un’illuminazione molto più classica e quindi chiara.

In “Harry Potter e la pietra filosofale”, nel 2001, in una scena notturna una luce intensa amplifica sia la luce della luna che viene dalla finestra che quella che dovrebbe essere fioca di una lampada
Non solo quindi oggi spesso i set vengono illuminati imitando quella che sarebbe la vera luce in una situazione reale, ma spesso si cerca di usare solo le “luci naturali” cioè quella del sole di giorno e quelle delle lampade, delle torce, dei lampadari o delle sorgenti che sono visibili di notte. Senza amplificarle troppo.

In questa scena tratta dalla saga “Il pianeta delle scimmie”, i personaggi stanno entrando in un luogo buio e quindi hanno la luce solo dietro di loro, e infatti il volto è in ombra
Cruciali in questo cambiamento sono stati due direttori della fotografia. Il primo è Emmanuel Lubezki: messicano che ha lavorato moltissimo con Alfonso Cuarón ma anche con Terrence Malick, e che con il suo stile ha cambiato come si illuminano i film americani. A partire da The New World di Terrence Malick e I figli degli uomini di Alfonso Cuarón (tra il 2005 e il 2006) ha intensificato il lavoro di sperimentazione sulla possibilità di usare sempre più luci naturali e meno artificiali.

In The Tree of Life di Terrence Malick spesso l’unica fonte di luce è il sole
Qualche anno dopo, nel 2011, con The Tree of Life di Malick, Lubezki ha perfezionato un’estetica tra le più influenti in assoluto nel decennio successivo, sempre usando più che altro il sole. È stato così cruciale da vincere tre Oscar per la fotografia di seguito tra il 2013 e il 2015 con Gravity, Birdman e The Revenant, cosa mai successa prima. Inoltre The Revenant fu un raro esempio di film illuminato interamente solo con luce naturale, e molto fioca.

Una scena di The Revenant
Lubezki è uno dei più importanti direttori della fotografia che abbiano mai lavorato a Hollywood e i suoi film non sono poco chiari, anzi. Ma il suo stile non è sempre adottato con la stessa maestria dai suoi molti imitatori. E questo è stato un elemento importante che ha contribuito al diffondersi dell’uso di luci naturali.
Il secondo direttore della fotografia che ha cambiato l’uso del buio è stato l’inglese Roger Deakins, uno dei più rispettati a Hollywood, che ha lavorato spesso con i fratelli Coen (i cui film hanno una fotografia curatissima). Deakins è riuscito a portare un’illuminazione realistica anche nei film di James Bond, con scelte creative.

Un’immagine di Skyfall, in cui il direttore della fotografia Roger Deakins trova una maniera creativa di illuminare il protagonista in modo naturale, in un ambiente buio in cui la luce entra da una fessura
Deakins a differenza di Lubezki non usa solo la luce del sole e non cerca il realismo, anzi ha uno stile più “pittorico”, cioè che tende a usare i colori e l’illuminazione in maniera espressiva. Lo stesso, lavorando con il supporto digitale fin da quando è stato possibile, ha imparato a gestire il buio in modi che i suoi colleghi spesso imitano ma senza avere la sua inventiva e capacità.

Una delle scene più belle e visivamente influenti del film Sicario di Denis Villeneuve, è stata illuminata da Roger Deakins usando solo la poca luce del tramonto per dare al momento maggiore forza espressiva
L’emergere delle nuove possibilità date dal supporto digitale, e lo stile contagioso di questi due grandissimi direttori della fotografia hanno portato i produttori e i registi ad abituarsi a questo tipo di scene, e gli altri direttori della fotografia o registi a imitarli.
Per esempio David Lowery è un regista che ha una grande preferenza per la luce naturale. Il suo Peter Pan & Wendy, un film commerciale, fu molto criticato perché era eccessivamente scuro senza una vera ragione o una maggiore espressività delle scene.

Una delle scene di Peter Pan & Wendy di David Lowery molto criticate per l’assenza di luce
L’illuminazione in un film deve però essere coerente, e se non lo è si può avere l’impressione, al cambiare delle scene, di assistere a un film diverso. Se si sceglie di usare solo luci plausibili e motivate per le scene di giorno, in cui non ci sono problemi di chiarezza, lo si deve teoricamente fare anche per quelle notturne. È quello che fa Greig Fraser in un film generalmente luminoso come Dune.

Una scena notturna di Dune – Parte due, in cui l’uso di sole luci plausibili fa sì che sia poco illuminata
La direttrice della fotografia Valentina Vee ha spiegato recentemente su X che questo stile non è obbligatorio, e come molti altri ha difeso un ritorno massiccio all’uso delle luci “immotivate”, cioè quelle “da cinema” che non ci sarebbero nella realtà. A prescindere dalla battaglia di Vee e di chi la pensa come lei occorre considerare che comunque la maggior parte dei film è estremamente chiara e ben illuminata. Tuttavia se vediamo sempre più ambienti bui è perché questo è lo stile cinematografico dei film americani dei nostri anni: come tutti gli stili anche questo passerà.

In Sir Gawain e il Cavaliere Verde di David Lowery ci sono moltissime scene di notte o in ambienti bui e la scelta è stata di lasciare che i soggetti non siano illuminati se la loro posizione rispetto alle luci ambientali non lo consente
Nel frattempo è possibile che un musical, genere storicamente pieno di luci e colori, come Wicked abbia una scena in cui i personaggi sono tenuti al buio.

In questa scena di Wicked la stanza è buia e l’unica luce viene da una grande finestra. Quindi, coerentemente con l’approccio scelto per tutto il resto del film, le protagoniste non sono state illuminate direttamente



