L’invenzione della Costa Smeralda
Come l'Aga Khan trasformò quel tratto di costa della Sardegna in una delle località turistiche di lusso più rinomate al mondo

Quando l’Aga Khan IV vide per la prima volta un terreno che aveva comprato a Capriccioli, una località di mare nel nord-est della Sardegna, lì attorno non c’era praticamente nulla. Anni dopo raccontò che nel 1960 per arrivare con una jeep fino a Olbia, a 25 chilometri di distanza, servivano molte ore, e a Capriccioli «non c’era una sorgente d’acqua potabile, non esisteva un telefono nel giro di parecchi chilometri».
Oggi quella zona un tempo povera e abitata perlopiù da pastori è la Costa Smeralda, uno dei luoghi di vacanze di lusso più rinomati al mondo. La sua trasformazione radicale si deve proprio all’Aga Khan, leader spirituale dei musulmani ismailiti, imprenditore e filantropo che fu tra i monarchi più ricchi del mondo, e che è morto martedì sera a Lisbona a 88 anni. Fu lui che a partire dai primi anni Sessanta fondò Porto Cervo, fece costruire un ampio porto turistico, investì in nuove imprese e pose le basi insieme ad architetti scelti appositamente per l’estetica che avrebbe reso famosa nel mondo quella parte di Sardegna.
Come hanno ricordato i giornali dopo la sua morte, l’Aga Khan fu insomma l’“inventore” della Costa Smeralda come luogo di turismo esclusivo. Prima del suo arrivo tutta quella zona era molto diversa.
La Costa Smeralda è il tratto costiero della Gallura, la regione nord-orientale della Sardegna, che si estende su buona parte del territorio comunale di Arzachena e in parte minore su quello di Olbia. Fino all’inizio degli anni Sessanta quella zona era conosciuta solo con il nome Monti di Mola, cioè terra di macina, un riferimento all’economia agricola che la caratterizzava.
Guido Piga è un giornalista sardo che ha scritto tre libri sulla storia della Costa Smeralda. In un articolo uscito sulla Nuova Sardegna nel 2012, racconta che la Gallura, e tutta Monti di Mola, era abitata sostanzialmente solo da allevatori e agricoltori. I pochi abitanti avevano costruito lì i loro “stazzi”, cioè proprietà agricole che comprendevano le case fatte col granito, gli orti, le vigne, i campi di grano e il terreno per il pascolo di mucche e capre. All’epoca Olbia e Arzachena, che oggi sono i due comuni principali della Gallura, erano molto poveri. Anche per questa ragione, racconta Piga, i residenti di Monti di Mola non esitarono granché a vendere i loro terreni quando si presentarono i primi compratori stranieri, dai quali incassarono cifre mai viste prima, sui due miliardi di lire (più di 30 milioni di euro di oggi).
Tra questi imprenditori c’era appunto l’Aga Khan, che era venuto a conoscenza della Gallura dal finanziere inglese John Duncan Miller, alla fine degli anni Cinquanta, durante una colazione. Miller gli raccontò di aver scoperto durante un’escursione un «territorio di straordinaria bellezza» e convinse alcuni amici del circolo bancario ad acquistare terreni per costruire ville private.
In un’intervista del 1987, l’Aga Khan disse che accettò di partecipare a quell’investimento con 25mila dollari. Decise poi di andare a vedere di persona i terreni che aveva acquistato ma il suo primo viaggio in Sardegna fu una delusione. Trovò una terra disabitata, dove i servizi erano pochi e di scarsa qualità. «Mi pentii amaramente di aver investito quei 25.000 dollari, che all’epoca rappresentavano una somma rilevante, equivalente, per esempio, al costo di dieci anni di studio all’Università di Harvard», raccontò.

Capriccioli (ANSA/ ANDREA FRIGO)
La sua opinione cambiò però notevolmente l’anno dopo (era il 1961) durante un altro viaggio insieme ad amici, in cui scoprirono l’acqua trasparente e le spiagge bianche.
Nel 1962 insieme ad altri cinque imprenditori e finanzieri facoltosi l’Aga Khan fondò a Olbia il consorzio Costa Smeralda: l’obiettivo era comprare e costruire su migliaia di ettari di terreno incolto lungo le coste della Gallura. Non era però, almeno negli intenti del consorzio, un’operazione di spregiudicata speculazione edilizia: l’idea dei fondatori era promuovere uno sviluppo urbanistico capace di coniugare architettura e paesaggio rispettando il territorio, le sue tradizioni e la sua natura. Per questa ragione fu subito costituito un comitato di architetti che aveva il compito di lavorare, e regolare, i piani di sviluppo della nascente Costa Smeralda. Furono chiamati quattro architetti molto famosi: Luigi Vietti, Jacques Couëlle, Michele Busiri Vici e Antonio Simon Mossa.
Con loro c’era anche Giancarlo Busiri Vici, figlio di Michele: a Repubblica ha raccontato che l’Aga Khan voleva per la Costa Smeralda qualcosa di diverso dalla Costa Azzurra e dalle altre località turistiche già celebri in Europa. «Qui il concetto di speculazione edilizia doveva essere completamente bandito», ha detto Busiri Vici. Per immaginare un’architettura capace di integrarsi con l’ambiente locale, gli architetti del comitato girarono per un anno per tutta la Sardegna «fotografando dettagli, portali, balconi, inferriate». Busiri Vici ha spiegato che il comitato ebbe in seguito anche un ruolo di supervisione dei progetti edilizi presentati da altri costruttori, così da vagliare quelli che potevano essere conformi ai piani studiati dal comitato dell’Aga Khan.
Sandro Roggio, architetto paesaggista sardo, ricorda che in quegli anni non c’erano delle vere regole di pianificazione: il consorzio se le diede insomma da sé, introducendo i primi vincoli e decidendo il da farsi insieme all’amministrazione comunale. «Il comune e gli agricoltori ottennero una ricchezza inaspettata. E così si cominciò a costruire su un territorio meraviglioso, che all’epoca era sostanzialmente incontaminato», dice.
La maggior parte dei terreni acquistati all’inizio dal consorzio Costa Smeralda apparteneva a due grandi famiglie della zona, gli Azara e gli Orecchioni, e faceva parte soprattutto del comune di Arzachena e in porzione minore di quello di Olbia. Furono aperti i primi cantieri: si iniziarono a costruire le ville e i primi alberghi di lusso, come il Cala di Volpe progettato da Couëlle e il Pitrizza di Vietti. Nel 1964 fu inaugurato Porto Cervo, un elitario villaggio con un piccolo porto che oggi ospita alcuni dei locali più famosi di tutta la Costa Smeralda, come il Billionaire. Sempre a Porto Cervo fu fondato lo Yacht Club Costa Smeralda e venne costruita la chiesa di Stella Maris, su un progetto di Michele Busiri Vici.
Realizzare tutti questi progetti richiedeva una manodopera che non c’era: furono quindi create nuove imprese edilizie e di servizi, che man mano attirarono gente da altre località sarde. Vennero costruite strade e nuove infrastrutture per migliorare i collegamenti tra la Costa Smeralda e il resto del mondo. L’Aga Khan fece riattivare il vecchio aeroporto di Olbia Venafiorita nel 1964 e fondò Alisarda, la compagnia aerea che sarebbe poi diventata Meridiana e infine Air Italy (l’Aga Khan rimase azionista di maggioranza della società finché fu poi messa in liquidazione nel 2020).
Prima di allora la Gallura era raggiungibile solo in traghetto da Olbia arrivando magari in aereo da Alghero, dove negli anni Cinquanta era iniziato il primo turismo di massa della Sardegna. Fino a oltre settant’anni fa, cioè fino a prima che un giornalista e imprenditore britannico di origine russa di nome Vladimir Raitz cominciasse a interessarsi di Alghero, la Sardegna in generale era molto difficile da raggiungere ed era considerata uno dei luoghi più sperduti d’Europa. Dagli anni Cinquanta e con lo sviluppo della Costa Smeralda poi cambiò tutto.
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Il giornalista Guido Piga dice che l’Aga Khan non voleva limitarsi a creare una destinazione turistica di lusso, ma voleva creare un sistema economico nuovo. Fece aprire, per esempio, l’istituto alberghiero di Arzachena e investì in numerose imprese locali.
Anche per via del contributo che portò al resto della regione in termini di lavoro e crescita, secondo l’architetto paesaggista Roggio dare un giudizio complessivo sulla Costa Smeralda è complicato, oggi. Dice che la Sardegna ha beneficiato della sua invenzione come località turistica di lusso, ma non si è davvero mai più pensato per quella zona a un modello di turismo alternativo. Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta ci furono alcune proteste dei movimenti ambientalisti locali, che si opposero a un’ulteriore espansione delle costruzioni all’interno del Consorzio Costa Smeralda (cosa che poi non fu permessa neanche dalle successive normative).
Oggi la Costa Smeralda resta quindi un luogo di alberghi e case di lusso che attira vip italiani e internazionali, superyacht (quelli dai 40 metri in su) e jet privati. Fanno parte del consorzio quattro alberghi storici e i vari ristoranti, i porti di Porto Cervo, e le circa 700 ville costruite dall’inizio degli anni Sessanta fino alla metà degli anni Ottanta. Secondo un calcolo del Cipnes Gallura (Consorzio industriale provinciale Nord-Est Sardegna), il gruppo – ora controllato dal fondo sovrano del Qatar – ha un fatturato annuo di 158,6 milioni di euro. A questa cifra va aggiunto il fatturato dell’aeroporto di Olbia Costa Smeralda, oggi gestito dal gruppo italiano F2i, che è di 93 milioni di euro.
Nel 2023 secondo l’ISTAT la Gallura è stata la prima provincia in Sardegna per numero di presenze turistiche, con oltre cinque milioni di pernottamenti, anche se in calo rispetto all’anno precedente come in tutto il resto della regione. La cifra non comprende comunque le seconde case e gli yacht, quindi è difficile farsi un’idea di quante siano effettivamente le presenze complessive. Secondo un’analisi di Cipnes Gallura e del consorzio universitario UniOlbia, il polo di Olbia delle università di Sassari e Cagliari, nei mesi estivi dal 2018 al 2023 sono stati registrati a Porto Rotondo e a Porto Cervo oltre 16mila superyacht.
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