Le aquile che volano negli stadi, parliamone
Ha fatto molto discutere la storia del falconiere della Lazio, che prima della protesi al pene si occupava di un'attività piuttosto criticata dagli animalisti

Dall’ottobre del 2010 fino all’inizio di quest’anno un’aquila di nome Olimpia veniva portata dentro lo stadio Olimpico e lasciata volare intorno al campo prima di ogni partita, come rito scaramantico. Finito il giro atterrava sul braccio del suo falconiere. Un paio di settimane fa però il falconiere in questione, Juan Bernabé, è stato licenziato dalla Lazio per aver pubblicato le foto del proprio pene dopo un intervento per impiantare una protesi. La vicenda è stata molto raccontata e commentata, spesso in modi sguaiati, anche perché Bernabé stesso è un individuo con dimostrate simpatie fasciste, tra le altre cose. Il presidente della Lazio Claudio Lotito ha detto che adesso, essendo l’aquila Olimpia legata a Bernabé, il club deve «trovare le soluzioni per sostituirla».
Ciò di cui si è parlato meno in tutta questa storia sono i limiti e le opportunità di impiegare un rapace in questi spettacoli prima delle partite: una pratica che esperti e associazioni considerano dannosa per il suo benessere. «Un’aquila libera non volerebbe mai sopra le persone in quella maniera», spiega l’ornitologo Roberto Tinarelli, secondo cui Olimpia «compie attività senza dubbio innaturali perché è plagiata, sa cioè che se fa il suo volo poi avrà la ricompensa del cibo».
Olimpia ha 14 anni ed è un’aquila di mare testabianca, che è diffusa in tutto il Nord America (è l’animale simbolo degli Stati Uniti) e può vivere anche fino a 80 anni. Quando la Lazio cominciò a farla volare, nel settembre del 2010 prima di una partita contro il Milan, alcuni si opposero. I primi a farlo concretamente furono quelli della Lega anti vivisezione (LAV), ma la commissione Ambiente del comune, il TAR del Lazio e il Consiglio di Stato non accolsero i ricorsi dell’associazione ambientalista, nonostante il regolamento comunale di Roma sulla tutela degli animali stabilisca che «è vietata su tutto il territorio qualsiasi forma di spettacolo o di intrattenimento pubblico o privato effettuato con o senza scopo di lucro che contempli, in maniera totale o parziale, l’utilizzo di animali, sia appartenenti a specie domestiche che selvatiche».
Un volo di Olimpia, nel 2016
Le aquile sono rapaci, cioè uccelli predatori che cacciano altri animali grazie alla vista molto sviluppata e a becco e artigli piuttosto robusti. L’addestramento dei rapaci è una pratica con origini antichissime (in certe zone dell’Asia si faceva già nel settimo secolo avanti Cristo) e che aveva una funzione legata proprio alla caccia: aquile, falchi, astori, sparvieri venivano allevati e istruiti a cacciare le prede per gli esseri umani. In Europa si diffuse nel Medioevo con il nome di falconeria e si sviluppò molto dalla seconda metà del XIII secolo, quando Federico II di Svevia, imperatore del Sacro romano impero ed esperto falconiere, scrisse un approfondito trattato sull’argomento: il De arte venandi cum avibus (“Sull’arte di cacciare con gli uccelli”).
La falconeria esiste ancora ma con scopi più che altro di intrattenimento (spettacoli, rievocazioni storiche) e di collezionismo, anche se c’è chi usa i rapaci addestrati con obiettivi di pubblica utilità, in particolare per tenere lontani altri uccelli e animali da luoghi come ospedali, scuole, aziende e soprattutto aeroporti, dove alcune specie selvatiche possono mettere in pericolo le operazioni di decollo e atterraggio.
Daniele Cominetti fa il falconiere da oltre vent’anni e possiede circa trenta rapaci. Ha lavorato per l’aeroporto di Bergamo ma anche per la Ferrero: gli chiesero di allontanare gli scoiattoli che stavano distruggendo le colture di nocciole. Fa anche attività didattiche nelle scuole e con gli istituti di ricerca, e manifestazioni nei centri città. «Il nostro apporto didattico è spettacolare ma non è uno spettacolo circense: noi mostriamo la bellezza degli animali che volano e interagiscono con gli esseri umani in modo naturale, non artificiale», dice.
Cominetti sostiene che per i rapaci la falconeria non sia stressante, a differenza di altri tipi di addestramento come quello dei cavalli o dei cani. La principale difesa sua e di chi come lui porta avanti la falconeria è che, qualora fosse infelice, un rapace non esiterebbe a fuggire da una situazione spiacevole: «Sia chiaro, a me non piace ciò che fa la Lazio, sono contrario a far volare un’aquila in uno stadio, ma posso dire con certezza che se Olimpia fosse stata in qualche modo stressata o impaurita si sarebbe alzata in volo e se ne sarebbe andata». Secondo Cominetti, insomma, non esiste un rapporto di sottomissione tra il falconiere e l’aquila. Inoltre ritiene che la falconeria possa essere un argine alla sparizione di alcune specie, perché grazie agli allevamenti si possono conservare animali a rischio di estinzione e poi reintrodurli in natura.
I rapaci però sono addestrabili solamente se crescono in cattività. I falconieri li istruiscono e li persuadono a tornare indietro dopo ogni volo perché sin da quando sono piccoli li convincono di essere la loro unica fonte di cibo, creando una relazione che alcuni considerano di dipendenza. «Se catturi un individuo da adulto, quando ha già imparato a procurarsi il cibo, è quasi impossibile addestrarlo», spiega l’ornitologo Tinarelli, che per questo motivo come attività principale ha lavorato alla sorveglianza dei nidi dei falchi, contro i furti di chi voleva catturare i pulcini per addomesticarli. «I furti di giovani in libertà sono stati per anni uno dei principali problemi per la conservazione della specie», dice Tinarelli. Oggi ne avvengono meno rispetto a una trentina di anni fa.

Olimpia a bordo campo durante una partita di Coppa Italia dello scorso 5 dicembre (Image Photo Agency/Getty Images)
Prima dell’allontanamento di Bernabé, Olimpia e Flaminia, un’aquila più giovane sempre di sua proprietà, vivevano in un’area all’aperto a Formello, a nord di Roma, dove c’è il centro sportivo della Lazio. Il club dice che, essendo nate in cattività, le aquile non soffrono la mancanza di una vita selvatica, ma anzi vivono bene, accudite con cura da falconieri e veterinari. Anche il Consiglio di Stato, nelle motivazioni della sentenza che permise alla Lazio di continuare a utilizzare Olimpia nonostante il ricorso della LAV, scrisse che «lo stress psicofisico di un’aquila allevata in cattività non può essere equiparato a quello cui sarebbe sottoposto un esemplare selvatico».
Per chi critica la falconeria il problema però è proprio questo, e cioè che le aquile e gli altri rapaci dovrebbero essere animali selvatici, non addomesticati. Il discorso della maggior cura riservata a quelli che crescono in cattività non sta in piedi, secondo Tinarelli: «Gli animali negli zoo a volte vivono il doppio di quanto vivrebbero in natura, ma se potessimo intervistarli penso che ci direbbero di voler vivere nei loro ambienti naturali, nonostante la pressione della selezione sia maggiore».
A giudicare dalle foto che condivide sul suo profilo, e anche dai racconti di chi frequenta la Lazio, Bernabé ha in effetti un rapporto quasi simbiotico con Olimpia: se la porta in giro, la coccola, la tratta come fosse un animale domestico. Olimpia però viene descritta spesso come spaesata, assuefatta a questo stile di vita innaturale. È capitato che all’Olimpico atterrasse in mezzo ai tifosi, oppure si appollaiasse sul tetto dello stadio, o venisse attaccata dai gabbiani. Le aquile selvatiche vivono solitamente in ambienti di montagna (in Italia ce ne sono sugli Appennini e sulle Alpi), molto lontane dalle persone, e uno stadio con sessantamila persone, petardi, fumogeni e altoparlanti non è il loro ambiente ideale.

Juan Bernabé con Olimpia prima di Lazio-Empoli dello scorso 6 ottobre 2024 (Silvia Lore/Getty Images)
L’aquila è il simbolo di diverse squadre europee e la Lazio non è l’unica a farne volare una prima delle partite: ci sono anche il Benfica, l’Eintracht Frankfurt, il Crystal Palace e il Ludogorets, una squadra della città bulgara di Razgrad che prese l’usanza proprio dalla Lazio, dopo aver visto Olimpia volare sull’Olimpico in una partita di Europa League del 2014. Il presidente Kiril Domuschiev raccontò a Forbes che Lotito scommise con lui che, se la Lazio fosse stata eliminata, gli avrebbe regalato un’aquila: la Lazio effettivamente perse e Lotito regalò Fortuna al Ludogorets. Le aquile non volano solo negli stadi di calcio, peraltro.
Fortuna è solo uno dei tanti nomi altisonanti, spesso di origine latina, che vengono dati alle aquile: Olimpia in origine si chiamava Dulcinea, ma il nome le fu cambiato dopo un sondaggio tra i tifosi della Lazio. Le due aquile del Benfica si chiamano Vitória e Gloriosa. Nel 2022 l’importante associazione animalista PETA chiese al Benfica di smettere di utilizzare le aquile prima delle partite e di donarle a un’area protetta, offrendosi di pagare una mascotte vestita da aquila per sostituirle. Non se ne fece niente, però, perché il Benfica le adopera ancora.
Secondo la versione più accreditata, la Lazio si ispirò proprio al Benfica quando decise nel 2010 di inaugurare questa discussa tradizione. L’obiettivo era di aumentare l’interesse per quanto succedeva allo stadio e portarci quindi più tifosi, in un periodo non particolarmente positivo per la squadra, arrivata dodicesima in Serie A nella stagione 2009-2010. Col tempo è diventata un’usanza a cui molti tifosi sono affezionati.

Un bambino con un’aquila di peluche allo stadio Olimpico prima di Lazio-Napoli del 28 gennaio 2024 (Ivan Romano/Getty Images)
In un’intervista al quotidiano sportivo spagnolo Marca Bernabé definì il volo di Olimpia «un momento emozionante del quale i tifosi non si stancano, perché vedono volare un simbolo vivente della Lazio», e raccontò che con l’aquila cercava di «dare gioia alla gente che ne aveva bisogno», portandola anche negli ospedali e in altre occasioni sociali. La Lazio spesso ha giustificato in questi termini l’impiego di Olimpia, citando da un lato il fatto che fosse accudita con attenzione dai suoi falconieri, e dall’altro che fosse diventata un simbolo amato e apprezzato dai tifosi.
Una cosa su cui il falconiere e l’ornitologo tutto sommato concordano è che sarebbe complicato portare in natura un animale come l’aquila Olimpia, che ha vissuto tutti e 14 gli anni della sua vita in cattività. «Se decidessimo che da oggi nessuno può più allevare animali mi potrebbe anche star bene», dice il falconiere Cominetti. «Ma questi che abbiamo noi sono animali domestici. Se abbandonassi uno dei miei rapaci in natura intanto continuerebbe a seguirmi, e poi lo condannerei a morte, perché sarebbe ucciso dalle specie residenti».
Tinarelli ha un’opinione per certi versi simile: «Bisognerebbe vedere che livello di condizionamento ha raggiunto», spiega. Secondo lui il problema sarebbe duplice: da un lato faticherebbe ad adattarsi alla vita in natura, con le varie difficoltà che un predatore deve affrontare; dall’altro Olimpia oggi ha perso la diffidenza verso gli esseri umani, quindi liberarla potrebbe essere pericoloso per lei e per gli altri.