C’è un nuovo modo per trovare i numeri primi

Due matematici hanno dimostrato con un approccio creativo la fondatezza di una congettura matematica discussa da tempo

Una scena dalla serie tv Severance (Apple TV+)
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Chiedi a un matematico quali sono i suoi numeri preferiti e probabilmente ti risponderà i numeri primi. Semplici da definire, difficili da capire e con un ordine imprevedibile, affascinano da sempre e sono considerati gli atomi dei numeri interi, perché ogni intero può essere costruito come un prodotto di numeri primi. Trovarne di nuovi non è però semplice e per questo ogni sistema per farlo viene accolto con grande interesse, soprattutto se viene matematicamente provato come è successo alla fine dello scorso anno per un metodo teorizzato da qualche tempo.

Prima di arrivarci, può essere utile un rapido ripasso dei fondamentali. Un numero primo è un numero intero maggiore di uno, divisibile solamente per sé stesso e per 1. Come 2, 3, 5, 7, 11, 13 e così via (1 viene escluso perché ha un solo divisore). Sono uno dei concetti principali della teoria dei numeri, cioè della parte della matematica che si occupa di numeri interi. Intorno al 300 a.C. il matematico e filosofo greco Euclide dimostrò che esistono infiniti numeri primi. Da allora, questa è la principale certezza su numeri altrimenti sfuggenti e misteriosi: sappiamo infatti che proseguono all’infinito, ma non sappiamo come sono distribuiti nella sequenza dei numeri.

Dopo Euclide, molti matematici hanno ipotizzato criteri sempre più stringenti per identificare gruppi di numeri primi con particolari caratteristiche in comune, in modo da derivare conoscenze generali sul modo in cui sono distribuiti. Le formule non sono spesso sufficienti per trovare all’istante i numeri primi, ma aiutano a farsi un’idea di dove si possono trovare lungo la sequenza dei numeri. Produrre dimostrazioni matematiche convincenti, cioè mostrare che una certa affermazione è sempre vera secondo le regole della matematica, non è però semplice.

Nel 1640 il matematico francese Pierre de Fermat ebbe un’intuizione: ogni numero primo può essere scritto come somma di due numeri interi al quadrato, ma solo se la differenza tra quel numero primo e 1 è multipla di 4.

Il numero primo 29, per esempio, può essere scritto come somma di 22 e 52, cioè 4+25. E sappiamo di rispettare il teorema perché si mantiene la condizione del multiplo di 4 visto che se togliamo 1 a 29 otteniamo 28, cioè un numero che si può ottenere moltiplicando per sette volte il numero 4.

Il numero primo 23 non può invece essere espresso come la somma di due quadrati, perché se togliamo 1 a 23 otteniamo 22, e questo numero non è un multiplo di 4.

Per molto tempo quella di Fermat rimase una congettura, perché lo stesso matematico non fornì mai una dimostrazione matematica completa del proprio teorema. Ci pensò quasi un secolo dopo il matematico svizzero Eulero, con una prova dettagliata ed elegante, basata sull’algebra e altri elementi della teoria dei numeri.

Il lavoro di Fermat e di Eulero divenne una base importante per studiare i numeri primi, perché provando a rendere più specifica la regola dei due quadrati si possono scoprire altre caratteristiche della distribuzione dei numeri primi. Ci si può per esempio chiedere che cosa succede se uno dei due numeri da elevare al quadrato è sempre pari, oppure per quanto si possono ottenere risultati senza una certa cifra nel risultato. Come in altre dimostrazioni matematiche, più si aggiungono limitazioni per definire un gruppo di numeri, più diventa difficile confermare che la regola sia sempre vera.

Porsi dei problemi per provare a risolverli è del resto una delle essenze della matematica, perché è un modo importante per scoprire nuove cose sul suo funzionamento. Lavorando su quanto aveva immaginato Fermat quasi quattro secoli fa, nel 2018 i matematici John Friedlander (Università di Toronto, Canada) e Henryk Iwaniec (Rutgers University, Stati Uniti) proposero una nuova congettura, chiedendosi se esistano infiniti numeri primi che possono essere espressi con la formula:

p2 + 4q2

dove p e q indicano due numeri primi. Se per esempio usiamo 61, che è un numero primo, possiamo esprimerlo come:

52 + 4 • 32

La congettura imponeva importanti limitazioni al teorema di partenza di Fermat, ma se fosse stato possibile dimostrarne la validità avrebbe aggiunto un nuovo importante strumento per studiare i numeri primi e alcune loro caratteristiche. Non era una questione da poco, e per molti anni nessuno riuscì a produrre una dimostrazione soddisfacente per confermare che l’assunto di partenza era sempre vero.

Ed è a questo punto della storia che troviamo Ben Green (Università di Oxford, Regno Unito) e Mehtaab Sawhney (Columbia University, Stati Uniti), due matematici che avevano scelto di collaborare per risolvere quel problema matematico. Le limitazioni imposte dalla congettura non consentivano di ricorrere ai classici strumenti della matematica, così i due scelsero di provare un approccio meno ortodosso mettendo in relazione il mondo dei numeri primi con altri ambiti matematici.

Green e Sawhney hanno iniziato prendendo un po’ alla larga il problema, lavorando su numeri primi “approssimati”, o grezzi, cioè su numeri che non sono strettamente primi, ma che vengono definiti in relazione ai primi piccoli. Un numero di questo tipo non è divisibile da un insieme fissato di piccoli numeri primi come 2, 3 e 5.

Per esempio, se si prende in considerazione la serie da 1 a 200 e si cercano al suo interno i numeri non divisibili da 2, 3 e 5 otteniamo sia veri primi come 7, 11, 13, 17, 19, 23, 29… sia alcuni numeri che non lo sono. Il loro impiego può rivelarsi utile per semplificare problemi complessi, perché sono distribuiti in modo più regolare rispetto a quanto avvenga con i numeri primi normali.

Lavorando su questi risultati, Green e Sawhney hanno dimostrato che esistono infiniti numeri primi che si possono ottenere sommando i quadrati di due numeri primi approssimati. Il passaggio più complicato era dimostrare che la stessa cosa valeva anche per i primi veri e propri.

Per farlo hanno messo a confronto i risultati ottenuti con i due tipi di numeri utilizzando delle funzioni matematiche sviluppate per misurare le proprietà di insiemi di numeri (che hanno chiamato somme di Tipo I e Tipo II). L’obiettivo era dimostrare che queste somme davano lo stesso risultato sia nel caso dei primi approssimati sia di quelli veri. Riuscirci non era semplice, ma dopo vari tentativi Green e Sawhney hanno intuito di poterlo fare utilizzando un particolare strumento matematico che si chiama “norma di Gowers”.

La norma porta il nome del matematico Timothy Gowers e serve per misurare quanto un insieme di numeri sia casuale oppure strutturato. Non viene solitamente impiegato per le analisi legate ai numeri primi, ma come spiegano nel loro studio scientifico, Green e Sawhney hanno ritenuto che potesse essere sfruttato in un modo un po’ creativo per rispondere alle loro esigenze. Rifacendosi ad altri lavori, hanno quindi usato la norma di Gowers per dimostrare che l’insieme dei primi approssimati e l’insieme dei primi veri erano simili a sufficienza da dare il medesimo risultato nelle somme.

Grazie a questo sistema di verifica, Green e Sawhney hanno quindi dimostrato la congettura di Friedlander e Iwaniec, confermando che esistono infiniti numeri primi che possono essere espressi nella forma p2 + 4q2.

Il risultato è importante non solo per la conferma in sé della congettura, ma anche perché mostra come possano essere messi in relazione e sfruttati strumenti matematici di ambiti diversi per risolvere problemi. Risolvere congetture come quella di Friedlander e Iwaniec contribuisce ad ampliare la conoscenza del mondo matematico, che a sua volta può avere applicazioni inattese in futuro, anche al di fuori della matematica pura, come nell’informatica.