Le perquisizioni delle attiviste a Brescia erano legittime?
Extinction Rebellion ha parlato di abusi, per la polizia sono state seguite le procedure corrette, ma ci sono ancora diversi aspetti da chiarire
di Laura Fasani

A dieci giorni di distanza le perquisizioni alle attiviste del movimento Extinction Rebellion nella questura di Brescia stanno ancora facendo molto discutere. Alcune attiviste hanno raccontato di avere ricevuto la richiesta da parte di alcune agenti di spogliarsi e fare degli squat mentre erano in questura: per Extinction Rebellion si è trattato di un abuso e adesso alcune attiviste si stanno preparando a fare denuncia; la polizia ha invece dichiarato che sono state seguite le procedure corrette.
Il codice di procedura penale è molto chiaro sui presupposti necessari per effettuare una perquisizione personale, che è una procedura molto invasiva perché viene svolta, appunto, sul corpo di una persona. Non contiene però indicazioni sulle modalità con cui si può perquisire una persona, e stabilisce soltanto che bisogna agire «nel rispetto della dignità e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi è sottoposto». Le forze dell’ordine, spiegano due fonti dei carabinieri al Post, si avvalgono di linee guida interne che non sono pubbliche e che sono state elaborate sulla base dei principi fissati per legge.
L’opportunità del ricorso a certe pratiche in determinate circostanze è tra gli aspetti contestati dalle attiviste. La loro denuncia potrà aiutare ad accertare se, come sostengono, le donne siano state discriminate durante le perquisizioni. Ascoltando le loro testimonianze, leggendo i verbali delle perquisizioni e sentendo il parere di alcuni avvocati è possibile farsi un’idea un po’ più dettagliata di quello che è successo, ma rimangono ancora diversi aspetti da chiarire.
Su questa vicenda nei giorni scorsi è intervenuto anche il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, parlandone su Rete 4 in modo un po’ ambiguo. Prima ha detto che le perquisizioni si sono svolte «in piena regolarità», ma anche di essere dispiaciuto «se qualcuno si è sentito offeso». Poi però ha aggiunto di aver parlato con il capo della polizia affinché venga ribadita l’indicazione agli agenti di effettuare perquisizioni di questo tipo solo quando sono «caratterizzate da una proporzionalità e adeguatezza agli scenari che si presentano». Le due dichiarazioni sembrano un po’ in contraddizione: non si capisce perché richiamare l’attenzione ai criteri, se tutto si è svolto adeguatamente.
Partiamo però dall’inizio. L’azione di protesta di Extinction Rebellion, Ultima Generazione e la rete Palestina Libera è iniziata lunedì 13 gennaio poco dopo le 8 davanti alla sede di Leonardo, ex Breda, in via Lunga, circa due chilometri a ovest dal centro della città. Leonardo è una grossa società pubblica italiana attiva nel settore della difesa che produce armi e veicoli militari. L’obiettivo della protesta era bloccare l’ingresso dell’azienda, e chiedere la fine sia dei rifornimenti militari a Israele e in generale della spesa pubblica per le armi, per reinvestire quei soldi per contrastare la crisi climatica. Alcune delle persone in protesta si sono incatenate tra loro usando dei tubi per impedire l’ingresso dei camion nell’azienda; altre hanno esibito striscioni con scritte come «Leonardo distrugge popoli e terre». Un’attivista si è arrampicata su un palo e ha sostituito la bandiera di Leonardo con quella della Palestina. Altre ancora hanno lanciato della vernice contro l’ingresso della fabbrica e hanno scritto sui muri dell’edificio «Palestina libera».

Un’attivista si arrampica su un palo per togliere la bandiera di Leonardo e appendere quella della Palestina durante un’azione di protesta a Brescia, 13 gennaio 2025 (Ansa)
Poco dopo l’inizio dell’azione sono arrivate alcune pattuglie della polizia. Non ci sono stati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine e 23 persone sono state portate in questura (22 nel comunicato della polizia). Alcune attiviste hanno raccontato al Post di avere fornito subito i propri documenti agli agenti e di essersi opposte alla richiesta di salire in macchina per andare in questura, così gli agenti le hanno dovute caricare di peso.
Le persone portate in questura ci sono rimaste circa sette ore. Extinction Rebellion scrive che tutte sono state denunciate per “radunata sediziosa”, un reato previsto dall’articolo 655 del codice di procedura penale che punisce chi partecipa a una riunione di almeno dieci persone con l’obiettivo di causare del disordine pubblico ribellandosi o scontrandosi con le autorità. Altre sono state denunciate per “accensioni ed esplosioni pericolose” per avere acceso un fumogeno, altri ancora per “imbrattamento” per aver lanciato la vernice e aver scritto sui muri. Alcuni hanno ricevuto il foglio di via, un provvedimento che impone l’allontanamento dal comune da cui lo si riceve e il divieto di poterci tornare per un certo periodo di tempo.
Lunedì sera Extinction Rebellion ha pubblicato un video sui social in cui un’attivista racconta che mentre era in questura le è stato chiesto di spogliarsi, togliersi le mutande e fare tre squat per dei controlli. L’attivista nel video dice che questo genere di trattamento è stato usato solo con le donne, e non con gli uomini.
Altre tre attiviste di Extinction Rebellion, che hanno partecipato al presidio di lunedì scorso, hanno confermato al Post di avere ricevuto la stessa richiesta.
Val (lei e le altre attiviste hanno chiesto di essere chiamata solo per nome) stava filmando l’azione quando è arrivata la polizia. Circa un’ora dopo è stata informata da un altro attivista, che per Extinction Rebellion dialoga con gli agenti in questi casi (tra loro lo chiamano police contact), che volevano portarla in questura. «Lui è stato caricato in macchina di peso, poi sono venuti da me. Mi hanno ritirato il telefono, che ho chiesto di sigillare, poi hanno portato in auto anche me», racconta.
In questura Val è stata portata da un’agente in una «stanzina» al piano terra. «La porta era aperta ed è stata tenuta aperta. L’agente mi ha detto di spogliarmi. In quel momento è passata davanti alla porta una mia compagna, che ha sentito e mi ha detto da fuori che non ero obbligata a farlo. L’agente però insisteva», racconta. A quel punto Val si è tolta le scarpe e la giacca, di cui l’agente ha svuotato le tasche, ed è rimasta con canottiera, reggiseno e pantaloni. «Mi è stato chiesto di abbassare i pantaloni. Ho fatto vedere che indossavo le mutande. Poi mi è stato chiesto di togliermele e fare tre piegamenti. Mi sono rifiutata».
L’agente ha insistito con la richiesta un’altra volta, dice Val, ma lei ha di nuovo rifiutato di farlo. «Sappiamo che una perquisizione deve essere proporzionata al fatto. Ero molto disorientata: anche se facciamo formazione su quello che può succedere se veniamo portati in questura, non eravamo preparate su questo».
Come molti altri movimenti, Extinction Rebellion organizza diversi momenti formativi con le persone che partecipano alle azioni di protesta per informarle delle possibili conseguenze legali e dei loro diritti in determinate situazioni. Per esempio, viene spiegato a tutti cosa sono e come funzionano le identificazioni e quali pene prevedono i reati che vengono spesso contestati dalle denunce. Su internet si trovano alcuni documenti che danno indicazioni in questo senso, realizzati da associazioni come Antigone, che si occupa dei diritti delle persone detenute, e da movimenti politici come il partito dei CARC (Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo).
Val dice che le richieste fatte dalle agenti alle attiviste sono state diverse. Ad alcune sarebbe stato chiesto di togliere il reggiseno. Altre sarebbero state accompagnate in bagno da un’agente che avrebbe tenuto la porta sempre aperta mentre urinavano, senza spiegare il perché. Non è chiaro comunque a quante persone sia stato chiesto di spogliarsi in questura: secondo Extinction Rebellion, sarebbero comunque tutte donne.

Un’attivista viene portata via di peso dagli agenti di polizia durante un presidio di protesta davanti alla sede della Leonardo di Brescia, 13 gennaio 2025 (Ansa)
Arianna è un’altra attivista di Extinction Rebellion e durante il presidio aveva cucito la sua maglietta allo striscione con la scritta «Leonardo distrugge popoli e terre». Racconta che anche a lei in questura è stato chiesto di spogliarsi: «Ho obbedito anche se ho detto all’agente che avevo le mestruazioni. Mi ha risposto di non preoccuparmi e di fare tre squat. Ho fatto anche quelli. Ho chiesto perché avevo dovuto fare queste cose e mi è stato risposto che era la prassi». Arianna dice che la porta della stanza era aperta e che a un certo punto è entrato un agente uomo, che è rimasto di spalle rispetto a lei, e ha portato via le sue cose: lo smartphone, il portafoglio, gli assorbenti e gli antidolorifici. «Dopo la perquisizione ogni volta che dovevo andare in bagno dovevo prima trovare la poliziotta a cui erano state date le mie cose per andare in bagno con lei, che mi sorvegliava a vista», racconta. Circa sette ore dopo essere entrata in questura, Arianna è stata rilasciata con un foglio di via da Brescia con l’accusa di “radunata sediziosa”.
Jil, un’altra attivista, racconta di essersi tolta il maglione mentre era in questura e di essersi poi rifiutata di procedere oltre, come Val. «L’agente mi ha chiesto più volte se ero sicura di non avere niente nelle mie “mutandine”. Io ho continuato a dire di sì, che ero sicura, e alla fine mi ha lasciato andare con il foglio di via da Brescia per sei mesi e il verbale». Jil era già stata portata in questura nei mesi scorsi per un’altra azione con Extinction Rebellion in un’altra città, ma non era stata perquisita. In tasca lunedì scorso aveva un libro, una penna e il portafoglio.
Nei verbali di polizia letti dal Post le perquisizioni delle attiviste sono giustificate in modo diverso. In un caso viene contestata la “manifestazione non autorizzata”, in altri i reati di resistenza a pubblico ufficiale, oltraggio a pubblico ufficiale e rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale. Nei documenti si legge che gli esiti delle perquisizioni sono stati negativi, cioè non è stato trovato quello che si stava cercando. C’è inoltre scritto che alle persone perquisite è stato comunicato che potevano avvalersi di un avvocato o di una persona di fiducia, ma che le attiviste hanno rifiutato la possibilità. Le attiviste sentite dal Post negano di essere state informate di questo loro diritto.
In una nota la questura di Brescia ha spiegato di avere portato gli attivisti e le attiviste nei suoi uffici a causa di «condotte illecite» che secondo le accuse «minavano costantemente l’ordine e la sicurezza pubblica». Ha inoltre confermato che sono state fatte perquisizioni personali, compiute da agenti donne nel caso delle attiviste, durante le quali è stato chiesto di fare dei piegamenti sulle gambe per «rinvenire eventuali oggetti pericolosi». La questura ha sostenuto inoltre di avere tutelato la «riservatezza e la dignità delle persone» in ogni momento e di avere seguito le procedure corrette.
La perquisizione personale è un mezzo di ricerca della prova previsto dal codice di procedura penale, cui si ricorre solo in determinate circostanze previste per legge, come indicato anche dalla Costituzione. Può essere fatta, cioè, soltanto quando l’autorità giudiziaria ha un valido motivo per ritenere che l’oggetto con cui è stato commesso un reato, o oggetti pertinenti al reato, sia nascosto sul corpo della persona. Deve essere disposta con un decreto motivato da parte dell’autorità giudiziaria; in caso di flagranza di reato – com’è stato contestato alle attiviste a Brescia – o di evasione, anche gli ufficiali di polizia giudiziaria possono effettuarla (possono farlo anche nei casi relativi a sostanze stupefacenti e armi, ma è una dinamica un po’ diversa). Non è necessario che sia commesso un tipo particolare di reato. In questo caso, la persona perquisita ha diritto a essere assistita da un legale o da una persona di fiducia, a patto che siano immediatamente reperibili: se non lo sono, la perquisizione può essere fatta lo stesso.

Un’attivista sull’auto della polizia a Brescia, 13 gennaio 2025 (Ansa)
La polizia giudiziaria ha poi 48 ore al massimo per trasmettere il verbale di perquisizione al pubblico ministero, che a sua volta ha 48 ore per convalidare la perquisizione, cioè dire se c’erano o no i presupposti di legge per fare quella perquisizione. Se il pubblico ministero non convalida il provvedimento, tutte le indagini compiute con quella perquisizione non sono utilizzabili per il procedimento a carico della persona perquisita. Dopo più di una settimana però l’avvocato che difende le attiviste, Gilberto Pagani, non aveva ancora ricevuto nessuna notifica dal pubblico ministero, né in merito alle perquisizioni né riguardo al sequestro di due bombolette spray e un pennarello che è stato fatto il 13 gennaio.
Sulle procedure specifiche da seguire durante una perquisizione, come detto, il codice di procedura penale non dà indicazioni. Le modalità cambiano in base alle circostanze in cui si effettua una perquisizione personale, con l’obiettivo di tutelare sempre sia la persona perquisita sia l’agente che la perquisisce. Deve comunque essere pertinente al reato per cui si procede. Per esempio, di solito gli squat vengono fatti fare quando si sospetta che una persona abbia nascosto qualcosa nell’ano o, se donna, anche nella vagina: normalmente si tratta di sostanze stupefacenti destinate allo spaccio, armi o oggetti rubati di piccole dimensioni, come un gioiello.
Non si sa per ora cosa di preciso le agenti di Brescia pensavano di trovare come «eventuali oggetti pericolosi». Rispetto ai reati contestati nei verbali è difficile ipotizzare cosa possano essere. Inoltre, come ha fatto notare anche la vicepresidente dell’ordine degli avvocati di Brescia, Valeria Cominotti, dal comunicato della questura non si capisce nemmeno quali siano le ragioni che hanno spinto la polizia a ritenere che oggetti pertinenti al reato potessero essere rintracciati sul corpo delle persone, facendo fare i piegamenti.
Infine, l’autorità giudiziaria dovrà anche accertare se siano state discriminate le donne, come subito hanno detto le attiviste.
Nel frattempo nei giorni scorsi è uscita la notizia della richiesta di archiviazione di un caso simile a quello di Brescia: riguarda un’altra attivista di Extinction Rebellion, che lo scorso luglio era stata portata in questura dopo un’azione del movimento a Bologna e aveva raccontato di essere stata fatta spogliare in un bagno durante una perquisizione. Per la pubblico ministero che ha chiesto di archiviare il caso, la procedura è stata eseguita «secondo la prassi». Il 14 gennaio l’attivista ha fatto ricorso contro l’archiviazione.
Il vicecapogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, Marco Grimaldi, e il deputato del Partito Democratico Gian Antonio Girelli hanno depositato due interrogazioni parlamentari per chiedere spiegazioni al ministro Piantedosi su quanto avvenuto a Brescia. Per tutta la settimana si sono susseguite inoltre numerose condanne e richieste di chiarimento al governo da parte di associazioni e sindacati. Sabato c’è stato un presidio di solidarietà e protesta davanti alla questura di Brescia organizzato da alcuni collettivi locali, tra cui il centro autogestito Magazzino 47, il collettivo Onda studentesca e l’associazione Diritti per tutti, a cui hanno partecipato circa duecento persone.
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