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  • Sabato 18 maggio 2024

I club di musica elettronica a Kiev sono più vivi che mai

Nonostante la guerra, i bombardamenti e il coprifuoco che inizia a mezzanotte, migliaia di persone continuano a frequentare i locali, che ospitano anche dj internazionali

di Davide Maria De Luca

Persone ballano in un club a Kiev
Persone ballano in un club a Kiev (AP Photo/Felipe Dana)

A Kiev le notti di festa cominciano al pomeriggio. È un sabato sera di fine aprile, mancano pochi minuti alle 16 e nella sala principale del club K41 a Podil, il quartiere universitario di Kiev, i dipendenti che lavoreranno questa sera sono radunati in cerchio. La capoturno fa un breve discorso di incoraggiamento e chiede un applauso per i due dj stranieri che animeranno la serata, appena arrivati in Ucraina. La musica inizia pochi secondi dopo. Dietro alle massicce porte del locale c’è quasi un centinaio di persone in attesa di entrare. Ne arriverà almeno un altro migliaio prima che la serata finisca, alle 22:30, poco prima dell’inizio del coprifuoco.

Benché la guerra vada avanti da più di due anni, nella capitale ucraina i locali di musica elettronica sono numerosi ed estremamente vivaci. Un sabato sera qualsiasi si può scegliere tra una mezza dozzina di club. Per una serata classica si può andare al Closer, il primo club underground di Kiev, fondato ormai dieci anni fa. Per un’esperienza più intima ci sono i nuovi arrivati, come l’Otel’ o il Bruxt, che ha aperto durante la guerra. Al G-Club Versace, invece, si può assistere a spettacoli di drag queen.

Con la guerra, i club si sono riadattati. A causa della legge marziale e del coprifuoco che a Kiev inizia a mezzanotte, hanno anticipato al pomeriggio le serate che prima chiudevano all’alba. Hanno iniziato a chiedere donazioni per l’esercito all’ingresso e hanno trovato il modo di organizzare concerti benché molti dj ucraini siano al fronte e quelli stranieri abbiano difficoltà a raggiungere il paese.

Nella scena musicale elettronica di Kiev, il locale più ambito è il K41. «Prima della guerra questo era il place to be per chi sta nel nostro mondo», dice Borut Viola, in arte Bawrut, dj e produttore di musica elettronica, originario del Friuli che vive a Madrid. Arrivato ieri a Kiev con un treno da Varsavia, è l’ospite d’onore della serata.

L’esterno del club K41 (Foto K41)

L’esterno del club K41 (Foto K41)

«Quando hanno costruito il K41 è come se avessero chiesto ai migliori esperti come fare un club perfetto», dice. Non è lontano dalla realtà. Dietro la trasformazione di questo enorme birrificio abbandonato in club alla moda c’è lo stesso studio di architetti che ha lavorato al Berghain di Berlino, probabilmente il locale di techno più famoso al mondo. Oggi il K41 ha posto per quindicimila persone ed è molto più di un club. Nei grandi spazi cavernosi si trovano un cinema, uno spazio per mostre, un caffè con coworking, un negozio di tatuaggi, uffici, cortili, sale da ballo e stanze per rilassarsi, lontane dalla musica più forte, piene di cuscini dove potersi sdraiare.

Viola ha suonato qui per la prima volta nel gennaio del 2022, poche settimane prima dell’invasione russa, proprio quando la scena elettronica ucraina aveva raggiunto l’apice della sua notorietà internazionale. Tornato due anni dopo, ha trovato sacchi di sabbia alle finestre, bandiere e simboli nazionali ovunque, ma anche una città dove la vita riesce a continuare in maniera quasi normale. «Qui non ci sono quei ricordi di guerra in bianco e nero che abbiamo studiato a scuola – dice – Questa non è l’Ucraina di Jonathan Safran Foer [autore del romanzo Ogni cosa è illuminata, che racconta un viaggio nell’Ucraina del 1999]. È un paese all’avanguardia».

I segni della guerra, però, sono evidenti, basta scavare appena sotto la patina hipster e alla moda. I responsabili spiegano che dall’inizio della guerra tengono le luci accese in tutte le parti del locale, anche in quelle che un tempo erano le “dark room”, ovvero sale scarsamente illuminate e un po’ appartate, pensate per chi vuole avere rapporti sessuali. Con molti soldati tornati dal fronte con traumi di ogni tipo, non si fidano a lasciare uno spazio completamente buio. In aggiunta agli addetti alla sicurezza, nel locale c’è anche  un “awareness team”, ragazzi e ragazze con una formazione psicologica che hanno il compito di intervenire se vedono qualcuno che sembra stare male.

«Qui c’è una concezione quasi clinica del ballo» dice Viola. «Il ballo è escapismo, una necessità per sfuggire alle preoccupazioni della vita e in un paese in guerra per sfuggire da tutte le paranoie di una situazione eccezionale. Qui lo trattano in maniera straordinaria, quasi ospedaliera».

Borut Viola

Borut Viola

Alle sette di sera, la coda all’ingresso del K41 si è moltiplicata. C’è da attendere oltre un’ora prima di poter entrare. All’interno, Viola è alla console. Sulla pista ci sono forse cinquecento persone. Moltissimi ragazzi ucraini e qualche expat, giornalisti e operatori di ong. Il K41 è un locale accogliente verso ogni tipo di diversità.

Il successo della musica elettronica in Ucraina è iniziato dopo Maidan, la rivoluzione del 2014 che causò la fuga dell’allora presidente e l’inizio dell’intervento armato russo nel paese. Maya Baklanova, giornalista musicale e attivista, che lavora nei circoli creativi di Kiev da un decennio, spiega che dopo la “rivoluzione della dignità”, come molti ucraini chiamano Maidan, diverse realtà sono nate tutte insieme: «Il primo è stato il Closer, uno dei centri culturali più importanti della scena di Kiev e di tutta l’Ucraina, dove si organizzano eventi di musica elettronica, ma anche jazz, gallerie d’arte e un po’ di tutto. In quegli anni è arrivata anche Cxema [che si legge “schema”], un rave nato in un garage che prima della guerra era arrivato ad avere cinquemila partecipanti».

La crescita di questo mondo creativo è aumentata quando nel 2017 è stato abolito il regime dei visti per entrare in Europa. A Kiev sono arrivate le compagnie aeree low cost e migliaia di ucraini hanno iniziato a visitare i club di Berlino, Parigi e Amsterdam, mentre gli europei hanno iniziato a scoprire quelli di Kiev, attirati da una scena musicale giovane ed entusiasta, non ancora completamente soggiogata alle logiche commerciali.

La musica elettronica è sempre stata importante per quella parte di società ucraina, urbana, istruita e cosmopolita che vuole una maggiore integrazione con l’Europa. «Mentre i musicisti pop continuavano a cantare russo per avere accesso ai mercati dell’ex Unione Sovietica, la scena della musica elettronica guardava a occidente», dice Baklanova, che oggi sta lavorando a una ricerca sui legami tra il contesto politico post Maidan e la scena culturale ed elettronica.

Un altro momento di crescita è stato durante la pandemia da coronavirus, quando Kiev era una delle poche capitali europee in cui era ancora possibile andare a divertirsi senza troppo problemi: per entrare al K41 bisognava fare un tampone e si ballava solo con la mascherina. «Persone da ogni luogo d’Europa arrivavano ogni weekend» dice Baklanova. «Chiamavano i voli con cui atterravano da Berlino e Londra techno flight: interi aeroplani pieni di gente vestita da rave. Andavi ai party e l’ucraino non era la prima lingua che sentivi».

Baklanova ricorda un episodio avvenuto nel 2021, quando al culmine di una campagna contro i club del quartiere Podil, portata avanti da politici conservatori e dall’estrema destra, ci fu una brutale irruzione di polizia al Closer. L’intera comunità creativa della città scese in piazza per protestare. Pochi mesi dopo, allo scoppio della guerra, uno dei politici che sostenevano la campagna contro i locali è fuggito in Russia e non molto tempo dopo è stato assassinato in un’operazione dei servizi segreti ucraini. «Immaginate cosa sarebbe successo se la Russia avesse vinto e questa persona fosse arrivata al governo – dice Baklanova – Era un nostro nemico, un nemico dei club, un nemico della comunità LGBT».

Baklanova non vede una contraddizione tra la guerra al fronte e i club pieni di persone intente a far festa. «Penso sia un privilegio stare seduti in Occidente e discutere su cosa dovremmo fare, se andare al bar o meno. Noi viviamo in una guerra che ci coinvolge tutti: non conosco nessuna persona che non abbia qualcuno al fronte. Ma allo stesso tempo dobbiamo mantenere la nostra salute mentale, e la vita sociale è un aspetto della salute mentale».

Un soldato con alcuni droni comprati con le donazioni del club fotografato di fronte all’ingresso del K41 a Kiev

Un soldato con alcuni droni comprati con le donazioni del club fotografato di fronte all’ingresso del K41 a Kiev

Per molti appartenenti alla comunità culturale e creativa ucraina, come per Baklanova, questa è più di una guerra per una nazione. È un conflitto per difendere il proprio stile di vita, le proprie passioni, i propri amici. Mentre nel resto del paese cresce la stanchezza per il conflitto, tra molti creativi la determinazione a proseguire rimane forte. Baklanova frequenta corsi di sminamento, di sicurezza digitale e di medicina tattica e come molti suoi amici sta pensando di arruolarsi. Molti, come Daniel Detcom, dj techno, produttore e organizzatore di party, lo hanno già fatto.

«Non avrei mai immaginato di diventare un militare e di trovarmi un giorno seduto nel sotterraneo di un villaggio distrutto, a meno di dieci chilometri dal nemico, a fare musica con il computer poggiato sulle ginocchia, – dice Detcom mentre si trova sul fronte del Donbass – ma questo è quello che sta succedendo».

La storia di Detcom è un classico esempio delle dinamiche sociali dell’Ucraina moderna. Nato a Kharkiv, cresciuto in Donbass ed emigrato a Kiev, viene da una famiglia di ucraini “russificati”, che hanno cioè iniziato a parlare russo frequentando l’università e risalendo la scala sociale ai tempi dell’Unione Sovietica.

Nella Kiev indipendente degli anni Novanta, Detcom ha avuto il suo primo contatto con i media occidentali. «Ero un ragazzo affamato seduto davanti alla TV dopo la scuola, – racconta – guardando MTV ho assorbito molto di quello che vedevo, specialmente la musica degli anni ’80 e ’90». All’università ha iniziato a mettere i primi dischi alle feste degli amici e da lì è diventato uno dei più noti dj techno del paese.

Gli anni del boom della musica elettronica se li ricorda come uno dei periodi migliori della sua vita. «La scena musicale di Kiev era rigogliosa» dice, «quasi ogni fine settimana c’era un festival, un rave, un party. Non solo techno, ma anche drum & bass, hardcore techno, psychedelic trance e musica elettronica commerciale, van Buuren, David Guetta [due dei più famosi dj del mondo]. Dopo il 2014 abbiamo avuto un vero rinascimento, la scena locale ha iniziato a svilupparsi e le persone hanno cominciato a interessarsi davvero agli artisti locali. Abbiamo avuto tre Boiler room [uno dei principali eventi di musica elettronica, di cui Detcom è stato un organizzatore], l’ultima nel 2021. Era tutto grandioso».

Il dj Armin Van Buuren a Kiev, prima della guerra

Il dj Armin van Buuren a Kiev, prima della guerra (Vitaliy/Flickr)

Poi è arrivata la guerra. Detcom ha saputo dell’invasione alle sei di mattina del 24 febbraio, con ancora i postumi di una serata durata fino alle tre. Con alcuni amici ha deciso di arruolarsi immediatamente nella difesa territoriale. Il pomeriggio avevano già il fucile in mano e pattugliavano le strade della capitale. «Non avevamo scelta, – dice – i russi avevano lanciato un attacco generale».

Dopo la battaglia di Kiev, ha combattuto a Mykolaiv e partecipato alla controffensiva di Kherson. A quel punto si era già arruolato nell’esercito regolare. Dopo sei mesi è tornato a Kiev insieme alla sua unità per un periodo di riposo e ricostituzione. Quindi due mesi a Kharkiv, poi nel settore di Bakhmut. Dopo un altro periodo di ricostituzione la sua unità è tornata in prima linea. Da settembre si trovano in una foresta nel Donbass, non lontano da Chasiv Yar, l’area più attiva del fronte.

«La guerra, fino a ora, è stata come un giro sulle montagne russe». Ai momenti di entusiasmo, quando gli ucraini avanzavano, si alternavano fasi di depressione. «Bakhmut è stata dura, Avdiivka è stata dura» dice ricordando due delle principali sconfitte subite dagli ucraini nell’ultimo anno. «Ma dopo più di due anni non reagisco più come facevo prima, non so più nemmeno cosa dire. Sono più concentrato sulla mia unità, sulla mia gente. Quando abbiamo l’opportunità preferisco rilassarmi o fare musica piuttosto che leggere le notizie».

Daniel Detcom sul fronte del Donbass con la sua automobile

Daniel Detcom sul fronte del Donbass con la sua automobile (foto Daniel Detcom)

Con la sua unità a quest’ora Detcom avrebbe dovuto già essere da un pezzo a Kiev per un nuovo periodo di riposo. Ma con la guerra che va sempre peggio, sono dovuti rimanere al fronte. Ha dovuto cancellare un paio di concerti che aveva in programma. Ma ha intenzione di tornare a suonare, non appena terminerà questo lunghissimo turno di servizio al fronte. «È importante, è una delle ragioni per cui combattiamo: per permettere a chi sta a Kiev di avere una vita», dice. «Quando andremo in licenza non voglio andare in una deserta città fantasma, voglio andare in un ristorante, in un club, vedere gli amici».

Al K41 sono parecchi a vederla allo stesso modo. Soldati in licenza, volontari, ragazzi e ragazze che donano parte dei loro guadagni alle forze armate. Ogni serata, il club raccoglie più di seimila euro per l’esercito. La guerra qui è lontana, ma allo stesso tempo costantemente presente.

Viola, il dj italiano, si è trovato improvvisamente di fronte a questa complicata contraddizione quando si è ricordato che in uno dei suoi pezzi c’è una sirena di sottofondo, identica a quelle che suonano durante gli attacchi aerei in città. «Che cavolo sto mettendo su?», si è detto mentre era ormai troppo tardi per cambiare pezzo, preoccupato che quel suono potesse ricordare ai presenti qualcosa che erano venuti a dimenticare. Ma la reazione delle persone sulla pista è stata positiva. Alla fine della serata c’era la fila per ringraziarlo di essere venuto fino in Ucraina.

«Il ballo come liberazione è una cosa di cui ha bisogno la parte della società che soffre di più. Come la taranta, che veniva ballata dalle donne dei villaggi del sud Italia» dice Viola il giorno dopo. «Credo che per la maggioranza delle persone l’importante ieri sera sia stato venire a sfogarsi, dimenticarsi dei bombardamenti, lasciarsi andare. Adesso più che mai le persone qui hanno bisogno di sfogarsi e il ballo è parte dello sfogo».