La FAO ha distorto degli studi sull’importanza di ridurre il consumo di carne?

Due scienziati dicono che l'organizzazione ha sminuito le loro stime su quanto contribuirebbe a contrastare il cambiamento climatico

Due mucche all'interno di una recinzione
Mucche in una fattoria di Clinton, nel Maine, il primo aprile 2024 (AP Photo/Robert F. Bukaty)
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Due scienziati hanno accusato l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) di aver distorto i risultati di due studi a cui hanno lavorato, e di averne usato un terzo in modo inappropriato, per sminuire quanto i cambiamenti nell’alimentazione delle persone possano ridurre le emissioni di gas serra globali. Più specificamente, sostengono che la FAO abbia sottostimato quanto diminuire il consumo di carne potrebbe contribuire a contrastare gli effetti del cambiamento climatico.

Paul Behrens, un professore associato dell’Università di Leida, nei Paesi Bassi, e Matthew Hayek, un ricercatore della New York University, sono due fisici che studiano l’impatto di varie attività umane sull’ambiente. E sono entrambi tra gli autori degli studi scientifici citati dalla FAO in un rapporto sulle emissioni causate dall’allevamento per la produzione di carne e latte che è stato presentato all’ultima conferenza dell’ONU sul clima, la COP28 di Dubai. In una lettera del 9 aprile hanno chiesto all’organizzazione di ritirare il rapporto e correggerlo «selezionando le fonti in modo più appropriato e rettificando gli errori metodologici».

L’allevamento su larga scala è una delle attività che più contribuiscono alle emissioni di gas serra. Secondo le stime dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dell’ONU, il principale organismo scientifico internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici, tra il 2010 e il 2019 il settore agricolo, insieme a quello della gestione forestale, è stato responsabile del 21 per cento delle emissioni globali di gas serra. Di questo contributo, più di un quinto è dovuto ai rutti e alle flatulenze dei bovini, che contengono metano, un potente gas serra. Circa la metà invece è riconducibile ai cambiamenti nell’uso del suolo, come la deforestazione, che viene praticata in molte parti del mondo – prevalentemente Sud America, Africa e Asia – per ospitare nuovi pascoli per il bestiame e coltivare vegetali per nutrirlo.

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Il rapporto della FAO dice che introducendo dei miglioramenti nelle tecniche di allevamento e riducendo gli sprechi alimentari si potranno ridurre «significativamente» le emissioni dovute all’allevamento. E questo anche aumentando la produzione di alimenti di derivazione animale nei prossimi 25 anni, come si prevede che sarà necessario per rispondere alla crescita della domanda di carne e latticini – del 20 per cento rispetto al 2020, a livello globale (un aumento in linea con quello della popolazione mondiale).

Il rapporto dice anche che la riduzione delle emissioni di gas serra legate all’agricoltura che si otterrebbe se le persone adottassero le diete consigliate dalle autorità statali, che generalmente nei paesi più ricchi raccomandano di ridurre il consumo di carne, sarebbe solo del 2-5 per cento.

Secondo Behrens e Hayek però quest’ultima valutazione è scorretta e rischia di «dare una falsa impressione che la potenziale mitigazione delle emissioni attraverso il consumo ridotto di carne sia limitata, e che quindi l’aumento del bestiame dovrebbe essere la priorità».

Lo studio su cui la FAO basa la stima del 2-5 per cento risale al 2017 e Behrens ne è il primo autore. Insieme a un gruppo di colleghi fece una stima di quale sarebbe stato l’impatto sulle emissioni di gas serra globali se in 37 diversi paesi del mondo (Italia compresa) la popolazione avesse cambiato la propria dieta in modo da seguire le raccomandazioni delle autorità nazionali.

Lo studio arrivava alla conclusione che un cambiamento in tal senso nei paesi più ricchi avrebbe portato a una riduzione delle loro emissioni compresa tra il 13 e il 24,8 per cento. Per i paesi con un reddito medio intermedio lo studio aveva trovato invece una diminuzione minore, tra lo 0,8 e il 12,2 per cento, mentre per quelli più poveri aveva stimato un aumento delle emissioni di gas serra (del 12,4-17 per cento): questi ultimi sono paesi in cui buona parte della popolazione ha alimentazioni carenti sotto vari aspetti, e un miglioramento delle diete dal punto di vista della salute richiederebbe maggiori consumi alimentari.

La prima ragione per cui Behrens e Hayek dicono che la FAO ha usato male questi dati è che dal 2017 molti paesi (tra cui la popolosa Cina) hanno modificato le proprie raccomandazioni sulla dieta, riducendo notevolmente la quantità di carne consigliata. Quindi lo stesso studio, se rifatto oggi, darebbe dei risultati diversi: è ormai datato.

Ma non sarebbe l’unico errore, per i due scienziati. Secondo loro il rapporto della FAO «sottostima sistematicamente» il potenziale della riduzione dei consumi di carne in termini di riduzione delle emissioni attraverso una «serie di errori metodologici» elencati nel dettaglio nella loro lettera. Un altro riguarderebbe uno studio del 2021 a cui Hayek aveva partecipato, da cui il rapporto della FAO ha estratto una stima delle emissioni globali legate al settore alimentare. Secondo i due scienziati, il confronto tra questo dato e quelli dello studio del 2017 è stato fatto in modo scorretto nel rapporto e ha avuto come risultato una significativa sottostima della potenziale mitigazione del cambiamento climatico ottenibile con una riduzione del consumo di carne.

Parlando con il Guardian, il primo giornale che si è occupato della questione, Hayek non ha detto che secondo lui gli errori non sono stati intenzionali, ma ha sottolineato che nessuno di quelli che lui e Behrens hanno individuato porti argomenti a favore di una riduzione del consumo di carne per il clima. Il Guardian, che si occupa spesso ed estesamente di clima e problemi ambientali, ha ricordato che la FAO, oltre a essere un’importante fonte di dati sul settore agricolo e uno degli enti i cui rapporti sono usati dall’IPCC e da altre organizzazioni delle Nazioni Unite, è anche un ente che ha l’obiettivo di aumentare la sicurezza alimentare nel mondo e dunque la produzione di cibo: per questo si potrebbe dire che abbia un conflitto di interessi.

Behrens e Hayek hanno contestato lo studio della FAO anche perché avrebbe basato le proprie conclusioni sui possibili effetti di una riduzione del consumo di carne quasi unicamente sullo studio del 2017, mentre generalmente in ambito scientifico si considerano tutti quelli a disposizione, ben fatti e pertinenti. Tra le altre possibili ricerche sul tema non ha preso in considerazione il grande rapporto realizzato nel 2019 dalla ong EAT assieme all’autorevole rivista scientifica Lancet per suggerire come migliorare la salute delle persone e aumentare la sostenibilità della produzione di cibo. Il rapporto EAT-Lancet dice che la versione ottimale della «dieta della salute planetaria» prevede di non consumare affatto carne rossa, a patto di ricavare la giusta quantità di proteine da altre fonti.

Un portavoce della FAO ha replicato alle contestazioni di Behrens e Hayek al Guardian:

Come organizzazione che basa il proprio lavoro sulla scienza la FAO si impegna pienamente ad assicurare l’accuratezza e l’integrità delle proprie pubblicazioni scientifiche, specialmente viste le loro significative implicazioni per la politica e per la comprensione del pubblico. Il rapporto in questione è stato sottoposto a un rigoroso processo di revisione, condotto sia internamente che esternamente seguendo il metodo della revisione tra pari (peer review) in doppio cieco per garantire che la ricerca soddisfacesse i più alti standard di qualità e accuratezza, e che i potenziali pregiudizi fossero ridotti al minimo. La FAO indagherà sui punti sollevati dagli studiosi e si confronterà con loro sul piano tecnico.