La serie tv su “Fallout” è riuscita bene

L'adattamento di un videogioco post-apocalittico di culto è piaciuto alla critica e sta ottenendo un gran successo di pubblico

Una scena della serie Fallout. (Amazon Prime Video)
Una scena della serie Fallout. (Amazon Prime Video)
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Mercoledì 10 aprile è stata pubblicata su Amazon Prime Video la prima stagione di Fallout, una serie televisiva prodotta dalla stessa Amazon e da Kilter Films, la casa di produzione di Lisa Joy e Jonathan Nolan, quelli di Westworld e Person of Interest. È basata sull’omonima serie di videogiochi, il cui primo capitolo fu sviluppato da Black Isle Studios e pubblicato da Interplay nel 1997, e che fin dall’inizio fu apprezzata come esempio di ottima scrittura e di design ispirato, e che nel corso degli anni ha avuto una grande influenza su diverse altre produzioni e studi di sviluppo.

La sua ambientazione post-apocalittica accompagnata da un immaginario retrofuturista – che cioè incorpora elementi del passato nel contesto del futuro – e da un tono umoristico sempre molto presente hanno reso Fallout un gioco di culto. E anche la serie è stata da subito un grande successo: a una settimana dalla sua pubblicazione è stata infatti confermata la seconda stagione, e Amazon ha scritto in un comunicato stampa che è la terza serie televisiva più vista tra quelle presenti nel suo catalogo, nonché quella con più visualizzazioni dall’uscita degli Anelli del Potere, una serie sempre di Amazon basata sul Signore degli Anelli. Secondo Variety, che utilizza un servizio esterno per misurare le visualizzazioni delle piattaforme chiamato Luminate, la scorsa settimana Fallout ha totalizzato 2 miliardi e mezzo di minuti visualizzati: per fare un paragone, la seconda serie più vista della settimana, Unlocked: A Jail Experiment (un documentario di Netflix), è stato visto per un totale di 793 milioni di minuti.

Il successo di Fallout non è però solo di pubblico, ma anche di critica. Dopo decenni in cui gli adattamenti cinematografici e televisivi sono stati di scarso successo e molto criticati, quest’ultima trasposizione da un videogioco è invece stata apprezzata da gran parte della critica (su Rotten Tomatoes, uno dei più importanti aggregatori di recensioni, ha il 93% di recensioni positive) e dal pubblico, indipendentemente dalla sua familiarità con la saga. Anche Tim Cain, il creatore dei primi due capitoli di Fallout, è rimasto estremamente colpito da come la serie TV sia riuscita a replicare lo spirito originale della sua opera.

Fallout è ambientato in una versione alternativa del futuro in cui gli Stati Uniti e la Cina si sfidano per la supremazia globale, contendendosi le ultime risorse naturali del pianeta. Nel 2077 lo scontro tra le due diverse sfere di influenza ha raggiunto il suo apice e portato al lancio delle testate nucleari da entrambe le parti, che hanno decimato la popolazione mondiale e costretto chi poteva a nascondersi in enormi bunker sotterranei chiamati “Vault”.

La storia raccontata nei videogiochi è estremamente complessa e stratificata e si basa su un mondo che è stato ampliato e arricchito molto nel corso degli ultimi 25 anni, attraverso 6 giochi principali e una serie di spin-off che coprono un arco temporale compreso tra il 2077, l’anno della guerra e del conseguente disastro (“fallout”) nucleare, e il 2287, anno in cui è ambientato il quarto capitolo.

Nonostante i protagonisti (e la collocazione temporale) siano sempre diversi, il gioco ha una complessa mitologia di tipo post-apocalittica, caratterizzata da sette paramilitari che venerano la tecnologia del passato (come in Mad Max), gruppi segreti di potere (l’Enclave) e uomini mutati geneticamente a causa delle radiazioni (i “ghoul”). Una delle caratteristiche maggiormente apprezzate dei videogiochi è l’attenzione con cui tutti questi elementi vengono mescolati in un racconto western e la conseguente libertà lasciata al giocatore di scegliere il proprio percorso tra le diverse fazioni, diventando più buoni o più cattivi a seconda delle scelte fatte.

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La serie televisiva, anziché riproporre quanto già visto in uno dei videogiochi (come nel caso di The Last of Us), racconta una storia originale ambientata nello stesso universo: nel 2296 il Vault nel quale vive Lucy (Ella Purnell, una delle protagoniste di Yellowjackets e Belgravia) viene attaccato da alcuni predoni provenienti dall’esterno che ne rapiscono il padre (Kyle MacLachlan). La protagonista decide di uscire dal rifugio per andare a cercarlo. La storia è ambientata nei dintorni di quello che rimane di Los Angeles (che è anche l’ambientazione del primo videogioco) e segue, oltre alla vicenda di Lucy, anche la storia di Maximus (Aaron Moten), un membro di un gruppo paramilitare che vuole recuperare e controllare la tecnologia bellica precedente alla guerra, e del “Ghoul” (Walton Goggins), uno dei sopravvissuti al bombardamento trasformato in un mutante dalle radiazioni.

Lo stile dei videogiochi e della serie tv è ispirato al retrofuturismo per cui, nonostante sia a tutti gli effetti una serie di fantascienza ambientata diverse centinaia di anni in avanti rispetto a noi, alcuni suoi aspetti sembrano appartenere invece al passato, e più precisamente agli anni Cinquanta.

La serie TV ispirata a Fallout è solo l’ultimo esempio di una tendenza ormai consolidata tra i grandi editori di videogiochi, che da diversi anni stanno provando ad allargare il loro pubblico attraverso il cinema e la televisione. Sony, per esempio, ha prodotto la serie The Last of Us (con HBO), i film dedicati a Uncharted e Gran Turismo e con la stessa Amazon sta lavorando all’adattamento di God of War. Microsoft, che aveva acquisito Bethesda nel 2020 per 7,5 miliardi di dollari, oltre a Fallout ha prodotto con Paramount la serie su Halo e ha in lavorazione diversi film, tra cui uno su Minecraft. Nintendo, invece, lo scorso anno ha raccolto al solo box office oltre 1,3 miliardi di dollari con il film Super Mario Bros. prodotto insieme a Illumination (Cattivissimo Me, Sing) e Universal Pictures.

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Se qualche anno fa gli adattamenti televisivi e cinematografici dei videogiochi servivano perlopiù a far conoscere questi ultimi al grande pubblico, ora non è più così: Sony, Microsoft e Nintendo (ma anche SEGA visto il grande successo dei film di Sonic) puntano a creare un catalogo di proprietà intellettuali in grado di sfruttare la popolarità che hanno nel mondo dei videogiochi, ma capaci di sostenersi da sole una volta al cinema o in televisione, creando così una nuova fonte di guadagno separata dallo sviluppo di videogiochi.

Il tentativo degli editori di sfruttare i loro marchi anche al di fuori del loro mercato di riferimento è inoltre venuto incontro alla ricerca di nuovi nomi e serie su cui puntare da parte dell’industria cinematografica. Lo sfruttamento delle proprietà intellettuali è, infatti, una delle risorse più redditizie del cinema hollywoodiano degli ultimi vent’anni, che ha capito quanto il fandom (il pubblico più appassionato di un certo universo narrativo) possa essere decisivo nel determinare o meno il successo di una produzione.

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Nonostante abbia sempre avuto un grande seguito (soprattutto dopo l’acquisizione da parte di Bethesda, che ha prodotto titoli comprati da decine di milioni di persone), Fallout non è mai stato particolarmente conosciuto al di fuori del mondo dei videogiochi. I primi due capitoli furono creati da Tim Cain e Black Isle Studios, che li pubblicarono insieme all’editore Interplay nel 1997 e 1998. Nel 2006 i diritti vennero acquisiti da Bethesda, che pubblicò Fallout 3 nel 2008, Fallout: New Vegas nel 2010 e Fallout 4 nel 2015. Oltre a questi, che sono i giochi principali della serie, ci sono diversi spin-off usciti per varie piattaforme tra il 2001 e il 2019, che pur in maniera limitata espandono l’immaginario e l’universo del gioco.

I videogiochi di Fallout sono tutti dei giochi di ruolo nel quale il protagonista è quasi sempre un “vault dweller” (un abitante di uno dei tanti Vault sparsi per gli Stati Uniti) che per cause esterne deve uscire dal suo rifugio. Uno degli elementi che li hanno sempre resi molto amati, oltre alle meccaniche di gioco legate al combattimento e all’esplorazione del mondo, è l’umorismo nero che percorre quasi ogni dialogo della serie. Nonostante si parli di un mondo in rovina e della fatica che ogni giorno i pochi sopravvissuti devono fare per sopravvivere, infatti, c’è quasi in ogni scena o dialogo uno spostamento comico che alleggerisce la situazione, sottolineando spesso uno o più aspetti ridicoli e grotteschi.

Da questo punto di vista, il lavoro delle autrici Lisa Joy e Geneva Robertson-Dworet (che è anche insieme a Graham Wagner la showrunner, cioè la responsabile della serie) è stato, secondo gran parte della critica, eccellente. Sul sito The Verge Ash Parrish prende come esempio una scena in cui Maximus, dopo essere riuscito a impossessarsi di una enorme armatura meccanica, la usa per impedire che un uomo venga picchiato da un inseguitore: «Maximus è contento della sua azione valorosa», scrive Parrish, «peccato che questa felicità svanisca quando scopre che l’uomo che ha salvato è stato picchiato perché stava cercando di accoppiarsi con le galline del suo aggressore».

Su Variety Aramide Tinubu scrive che la prima parte della stagione, quella in cui la protagonista cerca di sopravvivere mentre scopre che molto di quello che le è stato detto all’interno del Vault è falso, è indubbiamente quella più solida, e nonostante alcune storie «indugino troppo su questioni non troppo interessanti, gli spettatori sono comunque ansiosi di vedere come si sveleranno i vari misteri e segreti del mondo in superficie».

Lucy Mangan sul Guardian ha invece molto apprezzato come gli autori della serie siano riusciti a combinare un’ambientazione post-apocalittica tradizionale con un punto di vista interessante sulla componente retrofuturista della serie e alcune convenzioni tipiche dei film di serie b, come la grande presenza di scene splatter. «Se vi dicessi che a un certo punto ci sono un robot raccoglitore di organi il cui doppiatore è Matt Berry [uno degli attori della serie inglese The IT Crowd], o un incontro del Ghoul con un collega in decomposizione scomparso da tempo che mi ha quasi commosso, e che nessuna di queste cose mi è mai sembrata fuori posto, forse riuscirei a farvi capire quanto questa serie sia così ben bilanciata».

Mangan nota anche come la serie sia riuscita a coinvolgerla nonostante non abbia mai giocato a nessun capitolo di Fallout, e quanto quindi il racconto sia appassionante in senso assoluto, non solo in relazione alla conoscenza pregressa del mondo in cui è ambientata. Anna Sidoti, collaboratrice di IGN Italia, ha espanso questo concetto all’interno della sua newsletter, scrivendo che le serie TV come Fallout e The Last of Us sono riuscite, ancor più che la stampa di settore – a cui secondo lei spetterebbe questo compito – a trasmettere come alcune storie raccontate dai videogiochi siano universali, e possono quindi essere apprezzate indipendentemente dalla propria familiarità con un controller. Per Sidoti questo modo di vivere le storie che provengono dal mondo dei videogiochi non è tanto diverso da chi guarda le persone giocare ai videogiochi su YouTube, persone che «non possono o vogliono videogiocare ma che, eliminando le barriere, si appassionerebbero alle storie».

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Il modo in cui Amazon, Kilter Films e Bethesda hanno realizzato la serie sta già avendo un effetto concreto sulle vendite del videogioco: da quando è stata pubblicata, infatti, Fallout 4 (uscito originariamente nel 2015 su PC, PlayStation 4 e Xbox One) è stato per diversi giorni il gioco più venduto sulla piattaforma online Steam, e la scorsa settimana è stato il gioco più venduto in Europa. In quella stessa settimana anche altri tre giochi della saga (Fallout 76, Fallout: New Vegas e Fallout 3) sono riusciti a posizionarsi nei primi 10 posti della classifica. Todd Howard, responsabile della serie e direttore dell’ultimo capitolo, ha detto in un’intervista al portale IGN che Fallout 5 certamente si farà, ma che è ancora troppo presto per avere anche solo una vaga idea di quando potrebbe uscire. Al momento, infatti, Bethesda Game Studios sta sviluppando The Elder Scrolls VI, che difficilmente uscirà prima della fine del 2026. La seconda stagione della serie invece è già stata confermata.