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  • Sabato 20 aprile 2024

La strage di Columbine, 25 anni fa

Il 20 aprile del 1999 due ragazzi di 17 anni entrarono armati nella loro scuola e uccisero 13 persone: diventò il simbolo dei problemi degli Stati Uniti con le armi

Columbine High School, 2019 (AP Photo/David Zalubowski, File)
Columbine High School, 2019 (AP Photo/David Zalubowski, File)
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Il 20 aprile di 25 anni fa Eric Harris e Dylan Klebold entrarono nella scuola superiore Columbine di Littleton, una città nei sobborghi di Denver, in Colorado, negli Stati Uniti, e cominciarono a sparare contro i loro compagni e professori. Avevano 18 e 17 anni, uccisero 13 persone e ne ferirono 24. Poi si suicidarono.

Fu una delle più gravi stragi in una scuola nella storia degli Stati Uniti, superata da quella avvenuta nel 2012 alla scuola elementare Sandy Hook, dalla sparatoria nella scuola superiore Marjory Stoneman Douglas a Parkland, in Florida, del 2018, e dalla sparatoria nella scuola di Uvalde del maggio 2022. La strage di Columbine divenne da subito un simbolo nella discussione sull’uso e sul controllo delle armi negli Stati Uniti: nel 2002 il regista Michael Moore realizzò un documentario su questo argomento, intitolato Bowling for Columbine, che vinse l’Oscar.

La mattina del 20 aprile del 1999 Eric Harris e Dylan Klebold arrivarono a scuola dopo aver posizionato una piccola bomba in un campo vicino, con lo scopo di distrarre il personale addetto alla sicurezza. Prima che arrivassero gli altri studenti, Harris e Klebold piazzarono altre due bombe nella mensa della scuola, nascondendole in due borse e poi tornarono nel parcheggio delle auto. Il loro piano era attendere che tutti gli studenti uscissero dall’edificio e sparare contro di loro.

La bomba esterna alla scuola, che avrebbe dovuto distrarre il personale addetto alla sicurezza, esplose alle 11:14. Le altre due bombe sarebbero dovute esplodere tre minuti dopo, ma il timer non funzionò. Quando alle 11:17 Harris e Klebold capirono che l’innesco delle bombe si era inceppato decisero di prendere le altre armi che avevano nell’auto, tra cui un’ottantina di bombe costruite con tubi di metallo sigillati e riempiti di polvere da sparo ottenuta da vecchi fuochi d’artificio. L’innesco era costituito da un fiammifero. Raggiunta la sommità delle scale dell’entrata ovest della scuola, il punto più alto del campus, ne lanciarono una verso la caffetteria. Esplose, senza causare feriti.

Subito dopo, alle 11:19, Harris gridò: «Via! Via!». I due estrassero le armi da sotto i loro impermeabili di pelle e cominciarono a sparare. Non è chiaro chi dei due sparò per primo. La prima persona uccisa, colpita da entrambi, fu Rachel Scott, una ragazza di 17 anni seduta sull’erba poco lontano insieme a Richard Castaldo, 17 anni, che fu ferito. Dopo aver sparato, Harris si tolse l’impermeabile e cominciò a scendere una scala poco distante. Sparò a tre ragazzi che stavano salendo, ferendoli tutti e tre.

Klebold, intanto, si diresse verso la caffetteria, sparò ad altri due studenti, uno dei quali era appena stato ferito, uccidendoli subito prima di entrare. Dave Sanders, 47 anni, allenatore della squadra femminile di softball e basket, aveva fatto allontanare gli studenti quando aveva sentito il rumore dei primi spari. Klebold trovò dunque la caffetteria vuota e tornò sulle scale, raggiungendo Harris.

Intorno alle 11:21 Klebold e Harris cominciarono a sparare agli studenti vicini al campo di calcio, ma li mancarono. Pochi istanti dopo, Brian Anderson, un ragazzo di 16 anni, uscì da una porta verso i due. Voleva dire loro di smetterla. Klebold gli sparò, colpendo però i vetri della porta e ferendolo con le schegge. In quel momento arrivò un vice sceriffo della contea che cominciò a sparare verso i due, permettendo ad Anderson di rifugiarsi nella biblioteca. Harris sparò un totale di dieci colpi contro il vice sceriffo, che si riparò dietro la macchina chiedendo aiuto per radio. Quando Harris finì i colpi tornò dentro la scuola insieme a Klebold e quasi subito si trovarono davanti Sanders, l’allenatore che aveva evacuato la caffetteria e che ora stava cercando di fare lo stesso con la biblioteca. Lo colpirono alla schiena e al collo, uccidendolo.

Soltanto nella biblioteca, Klebold e Harris uccisero e ferirono 33 persone. Alle 11:25, 56 persone erano nascoste sotto i banchi e dietro le librerie della sala. Quando Klebold e Harris entrarono, quest’ultimo gridò «Tutti in piedi!», così forte che venne registrato nella chiamata al 911 che stava facendo uno degli studenti. Poi uno dei due gridò «Tutti quelli con i cappelli bianchi in piedi! Ve la faremo pagare per la merda che ci avete fatto subire per quattro anni!». Alla scuola di Columbine portare un cappello bianco era il segno di appartenenza a una delle squadre sportive scolastiche. Dato che nessuno rispondeva, Harris gridò: «Cominceremo a sparare comunque!».

Klebold e Harris uscirono dalla biblioteca alle 11:42. Alle 12:02, dopo aver girato per la scuola per circa venti minuti, senza sparare a nessuno, furono ripresi dalle telecamere di sorveglianza mentre ritornavano nella caffetteria. Una ragazza che si era chiusa in uno sgabuzzino li sentì gridare insieme: «Tre, due, uno!». Poi udì due spari: Klebold e Harris si erano suicidati. Klebold si sparò un colpo alla tempia sinistra, Harris si sparò in bocca con il suo fucile da caccia. Il massacro era durato 23 minuti, di cui 17 nella biblioteca.

Columbine High School il giorno dopo la sparatoria, 21 aprile 1999 (AP Photo/Ed Andrieski)

Il giorno dopo la sparatoria lo sceriffo di Littleton John Stone spiegò che altre persone avevano contribuito alla realizzazione della strage, perché i due ragazzi non potevano, da soli, posizionare tutta quella quantità di esplosivo. Chris Morris, amico di Harris e Klebold, venne arrestato con l’accusa di complicità, ma venne rilasciato poco dopo senza alcuna accusa.

Tra i motivi che spinsero Harris e Klebold al massacro fu individuato il bullismo che i due avevano subito da parte dei ragazzi delle squadre sportive. Nel quinto anniversario della strage, un gruppo di psichiatri pubblicò i risultati dell’analisi delle personalità di Harris e Klebold. Harris risultò avere una forma di psicopatia con un complesso di superiorità di tipo messianico che lo portava a credere di essere destinato a diventare un salvatore. Klebold risultò essere affetto da depressione.

Fu Harris, secondo gli psichiatri, a ideare il piano per più di un anno e a convincere Klebold a seguirlo. Altre motivazioni della strage furono prese in considerazione: si parlò della responsabilità dei videogiochi e dell’appartenenza di Harris e Klebold a un gruppo gotico della scuola di Columbine che si faceva chiamare Trenchcoat Mafia (“la mafia dell’impermeabile”). Ma alla fine entrambe le ipotesi furono accantonate.

Dopo la strage della Columbine si discusse molto del comportamento della polizia, accusata di aver atteso troppo tempo prima di intervenire. Gli agenti, infatti, entrarono nella scuola solo due ore dopo aver sentito gli ultimi spari con cui i due ragazzi si erano suicidati.

L’intervento delle squadre SWAT alla fine della sparatoria (AP Photo/David Zalubowski)

A partire dalla strage di Columbine si aprì un dibattito sui metodi della polizia, per riformare le procedure da seguire in casi simili: le nuove norme consentono ora alle squadre speciali d’intervento di fare irruzione negli edifici anche se ci sono degli ostaggi all’interno, e di sparare ai responsabili delle stragi in totale autonomia, invece di aspettare, limitarsi a delimitare la zona e cercare di aprire una trattativa come stabilivano le linee guida precedenti.

– Leggi anche: Cosa vuol dire essere la madre di uno degli assassini della strage di Columbine