• Mondo
  • Mercoledì 17 aprile 2024

Aung San Suu Kyi è stata trasferita agli arresti domiciliari

L'ex leader politica birmana e attivista per la democrazia era in carcere dal colpo di stato militare del 2021

(AP Photo Heng Sinith)
(AP Photo Heng Sinith)
Caricamento player

Martedì sera un portavoce della giunta militare che governa il Myanmar dal febbraio del 2021 ha detto che l’ex leader del paese Aung San Suu Kyi, in carcere da allora, è stata trasferita agli arresti domiciliari. Il generale birmano Zaw Min Tun ha detto che il trasferimento è stato deciso per via delle temperature molto alte che si stanno registrando in questi giorni nel paese, e che la misura non vale solo per Aung San Suu Kyi ma «per tutti coloro che hanno bisogno di precauzioni particolari, in particolare i prigionieri anziani».

Nel febbraio del 2021, in seguito a un colpo di stato militare, Aung San Suu Kyi era stata arrestata insieme a molti altri politici a lei vicini, con accuse ritenute politicamente motivate. In questi anni in carcere ha accumulato condanne fino ad arrivare a una pena di 33 anni di carcere, da cui poi ne sono stati tolti 6 in seguito a una parziale grazia concessa dalla giunta militare. Su di lei e sulle sue condizioni in carcere in questi anni sono state diffuse pochissime informazioni: il suo trasferimento ai domiciliari è stato quindi accolto con favore dalle persone a lei vicine, che però continuano a chiederne la completa liberazione. Insieme a lei è stato trasferito agli arresti domiciliari anche Win Myint, presidente del Mynamar dal 2018 al 2021.

Suu Kyi ha 78 anni e al momento del colpo di stato era la leader di fatto del paese, essendo a capo del partito che aveva la maggioranza nel parlamento. È una figura politica complessa che è al centro della storia del suo paese da oltre 30 anni: dapprima come attivista per la democrazia durante la dittatura militare seguita al primo colpo di stato del 1963, leader nonviolenta e prigioniera politica vincitrice del premio Nobel per la Pace, poi come capo dell’opposizione, dopo la sua liberazione nel 2010; e infine come leader di fatto del Myanmar, dopo la vittoria alle elezioni del 2015, le prime davvero libere in 25 anni.

Dopo quella vittoria Suu Kyi aveva deluso gran parte delle aspettative che erano state riposte in lei. Sotto la sua guida, il processo di democratizzazione del Myanmar non era praticamente avanzato, anzi: in alcuni casi la situazione era peggiorata. Secondo gli esperti, per esempio, negli ultimi anni la stampa era diventata meno libera, anche a seguito di alcuni casi molto noti di giornalisti arrestati per aver criticato l’esercito o per aver raccontato cosa stava succedendo nelle aree di conflitti etnici.

Suu Kyi e il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (NLD), non avevano fatto praticamente niente per eliminare o modificare le leggi volute dal regime militare che minano la libertà d’espressione, e il numero dei prigionieri politici arrestati era tornato ad aumentare in maniera consistente. Soprattutto, Suu Kyi era stata accusata di aver prima ignorato e sminuito e poi difeso la persecuzione della minoranza dei rohingya da parte dell’esercito.

– Leggi anche: Chi è Aung San Suu Kyi