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  • Sabato 6 aprile 2024

Che giornale è l’Osservatore Romano

Lo storico quotidiano del Vaticano è diverso e speciale in molti modi, ma sta anche diventando sempre più parte di un sistema di informazione e comunicazione

di Francesco Gaeta

Foto di una prima pagina dell'Osservatore San Pietro sullo sfondo
(Franco Origlia/Getty Images)
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Il 14 marzo scorso il Corriere della Sera ha pubblicato alcuni passaggi di Life, la nuova autobiografia di Papa Francesco scritta insieme al giornalista Fabio Marchese Ragona e uscita il 19 marzo per la casa editrice HarperCollins. Con l’orgoglio che si usa in questi casi, il Corriere annunciava di essere «il primo quotidiano» al mondo a dare queste anticipazioni. In realtà si trattava di un’affermazione non del tutto veritiera (a pari merito, almeno). Nello stesso giorno, infatti, alcuni passi dello stesso libro erano pubblicati a pagina 7 dell’Osservatore Romano, quotidiano fondato nel 1861 e di proprietà del Vaticano dal 1885. Il fatto che il Corriere della Sera non lo riconoscesse  come un concorrente di fronte a una notizia ritenuta di rilevanza mondiale dice qualcosa della particolarità dell’Osservatore Romano, giornale ufficioso della Santa Sede e la cui rilevanza è difficilmente misurabile secondo la prima e più tradizionale metrica con cui evidentemente nell’ambiente dei media si valuta una testata e la si giudica concorrente: le copie vendute, la quantità dei lettori che viene raggiunta.

Un piccolo giornale globale
La questione di un giornale globale che pesa più di quanto vende perché ha come editore un organo della Santa Sede (ci torniamo) è evidentemente presente allo stesso Papa Francesco. Tre anni fa, per i 160 anni del giornale, Bergoglio fece visita alla redazione e parlando da editore disse ai giornalisti: «Ci sono tanti motivi di preoccuparsi per l’Osservatore ma io ho soltanto una preoccupazione: quanti leggono l’Osservatore Romano? Tutti i giorni fatevi questa domanda: a quanta gente arriviamo? A quanti arriva il messaggio di Gesù tramite l’Osservatore Romano?».
Non è facile rispondere a questa domanda. Le copie dell’Osservatore non vengono certificate e monitorate da enti terzi, come avviene per la stampa italiana. Le cifre che filtrano dalla direzione del giornale sono di meno di 5mila copie cartacee vendute e di un numero di abbonamenti che non arriva a 10mila (per la versione cartacea il costo di un abbonamento è di 550 euro all’anno, per la versione digitale è di 40 euro). Complice una serie di motivi che in parte attengono alla crisi della stampa in generale e in parte hanno motivazioni specifiche e contingenti, sono probabilmente le cifre più basse della storia della testata: ben inferiori alle 60mila copie che venivano dichiarate per gli anni Trenta del secolo scorso, o alle cifre molto più recenti legate a una versione spagnola che nel 2009 venne venduta per qualche mese in abbinamento con il quotidiano di Madrid La Razón, che all’epoca dichiarava una tiratura di 200mila copie.

Tra Roma e il mondo
L’Osservatore Romano esce tutti i giorni tranne la domenica, e viene stampato a Nepi, in provincia di Viterbo, in una tipografia di proprietà del Vaticano, e anche in tipografie sparse in altri paesi. Durante la pandemia, proprio la ristrutturazione dei sistemi di stampa di Nepi e le cautele sanitarie connesse sono state all’origine di un fermo delle pubblicazioni durato da marzo a settembre del 2020, fatto mai accaduto che aveva indotto qualcuno a prevedere che non ci sarebbe più stata una versione cartacea. Ma l’Osservatore ha invece poi ripreso le pubblicazioni. Viene “chiuso” ogni giorno in redazione entro le 15 e arriva nelle edicole romane nel tardo pomeriggio, al costo di 2 euro. La principale ragione di questi tempi di lavorazione e pubblicazione è che l’attività ufficiale del Papa – udienze, visite e celebrazioni eucaristiche – si svolge in gran parte durante la mattinata. Fino a qualche anno fa, la data di pubblicazione era quella del giorno successivo, come avviene per i quotidiani che un tempo venivano definiti del pomeriggio. Oggi il giorno di pubblicazione dell’Osservatore coincide invece con quello di uscita.

L’edizione quotidiana italiana ha 12 pagine, non ospita pubblicità anche se sul giornale viene indicato un indirizzo e-mail a cui rivolgersi per questo, ed è divisa in quattro sezioni: notizie internazionali con una particolare attenzione alle aree di conflitto poco trattate sui media italiani; Chiesa, cioè le notizie relative alla chiesa cattolica nel mondo con molti articoli scritti sul campo; Vaticano, cronache e approfondimenti sulle udienze, i viaggi o le visite del pontefice; Cultura. Dopo il 2007, da questo “sfoglio”, come si usa definire in gergo giornalistico la successione dei temi e delle sezioni, sono scomparse le sezioni delle Cronache romane, un tempo molto lette negli ambienti della Curia Vaticana, e anche quella delle Cronache italiane, che in molti momenti della storia del giornale, e a seconda dei diversi direttori che si sono avvicendati, sono state funzionali a dialogare con un pezzo di mondo politico italiano più dichiaratamente affine alla cultura cattolica e al suo partito di riferimento, la Democrazia Cristiana. La scomparsa di un partito cattolico e la conseguente frammentazione del panorama politico ha portato alla cancellazione di queste pagine ma ha anche fatto venir meno una parte dei lettori e alcune consistenti ragioni di lettura dell’Osservatore.

Ci sono almeno due cose che si notano sfogliando il giornale. La prima è la vastità della copertura internazionale, a cui contribuisce il racconto di zone del mondo anche molto remote, fatto dai rappresentanti del clero cattolico locale che il giornale usa di fatto come corrispondenti. Nella settimana di Pasqua alcuni articoli raccontavano le celebrazioni della settimana santa: presso le tribù indigene Maya Q’eqchi’ del centro America (a firma di un religioso salesiano), in Mozambico (articolo di un frate minore cappuccino) o nel Sud Sudan (scritto dal vescovo di Rumbek). Sono articoli non solo di occasione, al contrario costruiti con molti dettagli storici, sociologici e politici, evidentemente frutto di una conoscenza accurata del territorio che solo chi vive da molti anni sul luogo può avere.

In generale, poi, nelle pagine di esteri hanno maggiore spazio le aree di guerra. Ma non solo quelle: giovedì 28 marzo, un articolo piuttosto lungo (e firmato) dava conto, con vari dettagli giuridici e storici, di una sentenza dell’alta Corte dell’India che – interpretando l’articolo 21 della Costituzione – stabiliva che i genitori adottivi non possono chiedere l’adozione di un bambino normodotato, «perché l’adozione opera per il benessere dei bambini e non delle coppie di adulti che desiderano adottare». Ci sono anche scelte particolari, come quella di raccontare (in breve) del licenziamento di 54 impiegati argentini del servizio nazionale di meteorologia come segnale della crisi economica del paese, o dell’aumento del 6,4% del salario minimo in Grecia, o ancora del varo di un piano di riforestazione in Rwanda.

La seconda cosa che colpisce leggendo l’Osservatore è appunto il criterio di scelta delle notizie della prima pagina. Martedì 26 marzo, come molti giornali del mondo, il giornale aveva in apertura una grande foto del Consiglio dell’ONU dedicata alla risoluzione per una tregua a Gaza (Titolo: «Primo segnale»). Sabato 30 marzo, vigilia di Pasqua, il giornale titolava a tutta pagina e su due righe con «Cristo risorto speranza della Chiesa e del mondo». Questa diversità di codici e di scelte deriva dall’identità stessa del giornale, che può riassumersi nella definizione che ne ha dato Papa Francesco: l’Osservatore Romano «non è soltanto uno strumento informativo ma formativo». Un po’ come avveniva per i quotidiani di partito, il giornale racconta la realtà ma soprattutto esprime un punto di vista sulla realtà e trasmette messaggi. Proprio come i quotidiani di partito, questo non solo determina esiti che possono apparire eccentrici rispetto all’agenda dell’informazione, ma seleziona all’origine i propri lettori: oggi l’Osservatore è letto dal corpo diplomatico che ha sede in Vaticano, da un pezzo di mondo politico italiano che ha ancora nella Santa Sede un punto di riferimento ideale o comunque significativo, e da un pezzo di intellighenzia cattolica interessata a comprendere il punto di vista delle gerarchie vaticane su alcuni temi religiosi, morali o anche di politica internazionale.

(Photo by Evans/Three Lions/Getty Images)

Oltre all’edizione italiana, a cui lavorano poco più di 20 giornalisti, il giornale ha edizioni cartacee settimanali in 6 lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghese, indiano malayalam) a cui si aggiunge un’edizione mensile in lingua polacca. I giornalisti che lavorano a queste edizioni straniere, selezionando e traducendo gli articoli della versione italiana o producendone di originali nelle varie lingue, sono altri 20. Nel processo produttivo questo determina di fatto una doppia velocità. La redazione in lingua italiana lavora su ritmi quotidiani. Quella delle edizioni straniere lavora su ritmi settimanali, e ancor più dei colleghi italiani interagisce in maniera strutturale con la redazione della Radio Vaticana e del sito Vatican News, frutto di una ristrutturazione dei media vaticani, descritta tra poco. Molti tra i giornalisti italiani dell’Osservatore sono iscritti all’ordine dei giornalisti italiano, ma a loro non viene applicato un contratto di lavoro giornalistico, che in Vaticano non esiste. L’inquadramento è quello di impiegati della Città del Vaticano: ogni giornalista è in uno dei 10 livelli previsti, con uno stipendio parametrato al livello e che in ogni caso beneficia di un regime fiscale più favorevole rispetto a quello italiano.

Gli altri Osservatori
Esistono poi altre estensioni del giornale. Quella storicamente più rilevante e significativa è stata avviata nel 2012, nella forma di un inserto mensile di quattro pagine poi diventato una rivista col nome di Donne Chiesa Mondo, che ha un versione web anche in inglese, francese, tedesco e spagnolo. La prima responsabile dell’inserto è stata la storica Lucetta Scaraffia, che lo ha diretto per sette anni. Il carattere innovativo dell’iniziativa in quel momento stava in una rivista costruita per favorire una riflessione sul ruolo delle donne nella Chiesa, in un momento in cui il Vaticano faceva i conti, per la prima volta anche pubblicamente, con il tema degli abusi sessuali. La direzione di Scaraffia si è conclusa nel 2019 con una lettera aperta a Papa Francesco in cui si annunciava la sospensione della collaborazione. Nella lettera, Scaraffia parlava di una esperienza in cui per la prima volta «un gruppo di donne si erano organizzate autonomamente votando al loro interno le cariche e l’ingresso di nuove redattrici». A dirigere il mensile è oggi Rita Pinci, che è stata vicedirettrice del Messaggero e del magazine Specchio della Stampa.

Singolarissimo giornale
In un articolo scritto nel 1961 in occasione del centenario della testata, l’allora cardinale Giovanni Battista Montini, che sarebbe poi diventato Papa Paolo VI, definiva l’Osservatore Romano un «singolarissimo giornale» per la sua natura di frontiera tra un organo ufficiale e uno ufficioso: «Si stampa in Vaticano e ciò gli vale prestigio e libertà. Si diffonde all’Italia e all’estero e ciò gli impone limiti e riguardi non pochi. Si stampa in Vaticano ed è perciò in parte ufficiale e in parte no […]. È questa incertezza che crea intorno all’Osservatore un alone di reverenza per alcuni, di diffidenza per altri, raccomanda il foglio agli esperti, ai politici e agli studiosi, ai diplomatici e ai devoti ma non alla folla dei lettori comuni».

Pur dipendendo da sempre dalle gerarchie vaticane, l’Osservatore può dunque essere considerato il giornale del Papa, ma non l’organo ufficiale del Vaticano. Tuttavia, il Papa può decidere di conferire carattere di ufficialità ad alcuni provvedimenti facendoli entrare in vigore a partire dalla pubblicazione sull’Osservatore Romano, che in quei casi funziona come una sorta di Gazzetta Ufficiale. Ha comunque carattere di ufficialità la rubrica intitolata “Nostre informazioni” per la parte relativa alle nomine pontificie: nei tempi precedenti al web, questa rubrica e le biografie dei nominati erano una rilevante motivazione all’acquisto del giornale presso il mondo politico e diplomatico internazionale.

L’attuale peso dell’Osservatore Romano e il ridotto numero di copie cartacee vendute e di abbonamenti vanno anche inquadrati all’interno di una integrazione tra tutti i media vaticani, voluta e avviata direttamente da Papa Francesco nel 2015 e che negli ambienti vaticani si considera ancora in corso. Bergoglio ha creato un Dicastero della comunicazione vaticana, l’equivalente di ciò che in Italia chiameremmo ministero, e ha poi chiamato a dirigerlo un “prefetto” laico, fatto inedito per le gerarchie vaticane. È il giornalista Paolo Ruffini, che ha alle spalle una storia da notista politico al Mattino e al Messaggero, e poi di direzione in Rai, dove è stato responsabile del Giornale Radio e di Rai 3, poi a La7, e a TV2000 e Radio InBlu, che sono gli organi di informazione della Conferenza episcopale italiana (CEI).
Al Dicastero fanno oggi riferimento: la sala stampa della Santa Sede, la Radio Vaticana, il Centro Televisivo Vaticano, il servizio fotografico, il servizio Internet, la Libreria Editrice Vaticana, la Tipografia Vaticana e appunto l’Osservatore Romano. Dal prefetto Ruffini e dal direttore editoriale del Dicastero, il giornalista Andrea Tornielli, già vaticanista della Stampa, dipendono complessivamente 240 giornalisti, che lavorano in 51 lingue e curano 36 siti di informazione. Tra questi Vatican.va, sito ufficiale della Santa Sede che nel 2023 ha avuto 23 milioni di visitatori unici, e Vatican News, che in sinergia con Radio Vaticana fornisce un notiziario di ciò che avviene in Vaticano e nel mondo e nel 2023 ha avuto 90 milioni di visitatori unici.

Il senso di questa ristrutturazione è stato innanzitutto razionalizzare i costi, migliorando l’integrazione tra le diverse testate e, come si usa dire, facendo economia di scala: cioè facendo lavorare lo stesso giornalista su diverse piattaforme e canali, soprattutto su grandi eventi e temi. Al momento della riforma del 2015, le testate e gli enti accorpati nel Dicastero avevano un deficit complessivo accumulato di 35,6 milioni di euro: nel 2022 (l’anno degli ultimi dati disponibili) il deficit è sceso a 25,8 milioni. Nel 2022, le spese operative del Dicastero sono state di 40,6 milioni di euro, e il 70% dei costi è stato relativo al personale, tra i quali anche i tecnici e i giornalisti delle varie testate.

Da circa due anni e mezzo, la redazione dell’Osservatore Romano lavora dunque nello stesso palazzo in cui sono tutti i giornalisti degli altri media, in Piazza Pia, accanto a Castel Sant’Angelo. Non è solo un dettaglio logistico: da un punto di vista formale l’editore di riferimento non è più come in passato la Segreteria di Stato, cioè l’equivalente del ministero degli Esteri italiano, ma appunto il Dicastero per la comunicazione. Come si evince dall’organigramma riportato sul quotidiano, il direttore dell’Osservatore Romano Andrea Monda, in carica dal dicembre 2018, risponde al direttore editoriale del Dicastero della comunicazione Andrea Tornielli. Questo diverso inquadramento ha cambiato non soltanto alcuni pezzi del ciclo di lavorazione, per esempio istituendo una struttura di coordinamento informale tra tutti i media, ma anche la relazione con le stesse gerarchie vaticane, che un tempo erano più direttamente a contatto con la direzione del giornale. Nella spinta verso il digitale e per via della riorganizzazione voluta da Bergoglio nel 2015, l’Osservatore è oggi non più tanto il quotidiano ufficioso della Santa Sede ma l’elemento di un progetto più ampio, che fa leva su una presenza digitale in crescita e fa i conti con un Papa che a volte comunica senza molte cautele e mediazioni, come è avvenuto di nuovo di recente nel caso delle dichiarazioni alla tv svizzera relative al conflitto in Ucraina.