Il secolo di Marlon Brando

Nacque cent'anni fa, fu il più grande divo degli anni Cinquanta e una delle più grandi icone del cinema del Novecento

Marlon Brando a Londra, 1964 (Express/Getty Images)
Marlon Brando a Londra, 1964 (Express/Getty Images)
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All’inizio degli anni Settanta si affermò in tutto il mondo un’immagine piuttosto nitida del tipico boss di una famiglia di mafiosi italoamericani: un uomo dal fare autorevole e vestito di tutto punto, con la voce roca, la mascella pronunciata, il papillon e i capelli pettinati all’indietro. L’immagine era quella di Don Vito Corleone, il protagonista di Il padrino di Francis Ford Coppola, uno dei gangster movie più belli e influenti di sempre.

Vito Corleone è diventato un personaggio così familiare nell’immaginario collettivo anche per il modo magistrale in cui fu interpretato da Marlon Brando, che nel 1972, quando il film uscì al cinema, fu incensato dalla critica per il metodo di immedesimazione estrema che adottò per rendere il più credibile possibile il personaggio, studiandone l’accento, il gergo, le movenze e per quanto possibile i pensieri.

L’anno dopo Brando era quasi certo di vincere l’Oscar, ma dopo alcuni anni di contrasti con le grandi aziende cinematografiche statunitensi decise di boicottare la premiazione: mandò quindi alla cerimonia l’allora 26enne Sacheen Littlefeather, una modella di discendenza apache che aveva cambiato il proprio nome dopo aver cominciato a dedicarsi all’attivismo (il suo nome alla nascita era Marie Louise Cruz).

In un breve discorso, Littlefeather spiegò che l’attore rifiutava il premio – che aveva effettivamente vinto, come migliore attore – per protesta contro il trattamento dei nativi americani nei film e in televisione e per quello che stava succedendo in quei giorni a Wounded Knee, South Dakota, dove era in corso un’occupazione pacifica di indiani Lakota.

Fu uno dei momenti più famosi della storia degli Oscar e uno degli esempi della personalità di Brando, che nel corso di più di cinquant’anni di carriera fece parlare di sé non soltanto per le sue formidabili doti di attore, ma anche per il suo impegno civile e per le sue critiche accese all’industria di Hollywood, che era spesso un suo bersaglio polemico.

Brando nacque cent’anni fa a Omaha, città dello stato americano del Nebraska, da Marlon Brando Sr., un produttore di fertilizzanti, e Dorothy Julia Pennebaker, una casalinga. Lasciò il Nebraska nel 1943 per raggiungere le sorelle a New York e studiare recitazione alla Dramatic Workshop, dove seguì le lezioni di Stella Adler, considerata una delle più importanti insegnanti di recitazione statunitensi dello scorso secolo. 

Nel 1944 debuttò in teatro con I Remember Mama, opera basata su un racconto della scrittrice statunitense Kathryn Forbes Mama’s Bank Account che racconta la vita di una famiglia di immigrati norvegesi a San Francisco, agli inizi del Ventesimo secolo. Tre anni dopo il drammaturgo Tennessee Williams e il regista teatrale Elia Kazan lo scelsero come protagonista del dramma Un Tram chiamato desiderio, una delle più fortunate opere teatrali dello scorso secolo.

Nel 1951, un anno dopo l’esordio al cinema in Il mio corpo ti appartiene di Fred Zinnemann, Brando recitò anche nella trasposizione cinematografica di Un Tram chiamato desiderio, che fu diretta sempre da Kazan. Dopo questo film, in cui interpretava il protagonista Stanley Kowalski, Brando divenne uno dei divi di Hollywood più famosi della sua generazione. La sua notorietà da sex symbol crebbe negli anni successivi, grazie a film come Giulio Cesare, Viva Zapata!, Bulli e pupe e Désirée, che lo consacrarono come una delle icone pop di quel decennio.

Le riviste di settore lo acclamavano per la qualità delle sue interpretazioni, quelle più attente al gossip sgomitavano per conoscere quanti più dettagli possibili sulla sua vita privata, dalla passione per le motociclette alle sue molte relazioni sentimentali, e tutti stravedevano per i suoi lineamenti e il fisico scolpito: nel 2004, dopo la morte di Brando, critico cinematografico del Guardian David Thompson scrisse che la sua bellezza fu tale da ridefinire l’idea di «mascolinità» di una generazione. 

In quegli anni ottenne anche il suo primo, importante riconoscimento per Fronte del porto (1954), film in cui interpretava il protagonista Terry Malloy e per cui fu premiato con l’Oscar come miglior attore protagonista.

Gli anni Sessanta furono invece un periodo di declino per Brando, anche per via della sua partecipazione a film accolti tiepidamente dalla critica, come Missione in Oriente, A sud-ovest di Sonora e La notte del giorno dopo. Uno dei fallimenti più clamorosi di quel decennio fu La contessa di Hong Kong, il primo e unico film a colori del regista britannico Charlie Chaplin, con protagonisti Brando e Sophia Loren. Nonostante la presenza di una coppia d’attori di così larga fama (entrambi avevano già vinto un Oscar) e la direzione di un regista di enorme culto come Chaplin (che, peraltro, non faceva un film da dieci anni), La contessa di Hong Kong non fu apprezzato dal pubblico e fu perlopiù massacrato dalla critica.

La sua carriera ebbe un riscatto a partire dal 1972, l’anno in cui, oltre a interpretare Vito Corleone in Il padrino, fu scelto come protagonista di Ultimo tango a Parigi, il sesto film del regista italiano Bernardo Bertolucci. Nel 1976 recitò assieme a Jack Nicholson nel film western di Arthur Penn Missouri, e nel 1978 fu Jor-El nel primo film di Superman.

L’anno dopo recitò in quello che, insieme a Il padrino, è il film più famoso e apprezzato di questa “terza fase” della carriera di Brando: Apocalypse Now, diretto sempre da Coppola e incentrato sulla guerra in Vietnam, in cui interpretava il colonnello dell’esercito statunitense Walter E. Kurtz. Oggi Apocalypse Now è considerato un capolavoro, e la prova di Brando è ricordata non soltanto per il famosissimo monologo finale, ma anche per come vi apparve in un modo totalmente nuovo, calvo e visibilmente ingrassato.

Quello in Apocalypse Now fu l’ultimo grande ruolo di Brando, che da quel momento in poi cominciò a recitare molto più saltuariamente, e quasi in tutti i casi senza ruoli importanti. Nel ventennio successivo, pur lavorando sempre meno come attore, continuò ad attirare l’attenzione per via di alcuni aspetti della sua vita privata, nonostante la proverbiale riservatezza, come i guai giudiziari dei figli e la forma fisica, assai diversa da quando era stato un sex symbol negli anni Cinquanta.

L’ultimo film a cui prese parte fu The Score di Frank Oz (2001) in cui, tra le altre cose, apparve per la prima volta in una scena con Robert De Niro, l’attore che aveva interpretato la versione giovanile di Vito Corleone in Il padrino – parte II (1974). Morì il 1° luglio del 2004 per via di un enfisema polmonare.