Veneto e Piemonte si contendono una fabbrica di chip, di nuovo

La startup Silicon Box ha annunciato di voler investire 3,2 miliardi di euro per costruire una fabbrica nel nord Italia: un progetto simile a quello annunciato da Intel tempo fa, di cui poi non si è saputo più niente

(Annabelle Chih/Getty Images)
(Annabelle Chih/Getty Images)
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Lunedì 11 marzo la startup Silicon Box che ha sede a Singapore ha annunciato di voler investire 3,2 miliardi di euro per costruire un nuovo grande impianto di produzione di chip in Italia. Per ora si sa solo che nello stabilimento lavoreranno circa 1.600 persone e che sarà costruito in una regione del nord. Piemonte e Veneto sembrano essere i territori favoriti per via delle caratteristiche dei loro distretti industriali. Il confronto tra le due regioni non è nuovo: negli ultimi tre anni infatti si sono contese un’altra grande fabbrica di chip, cioè quella promessa da Intel, uno dei più importanti produttori di microprocessori al mondo.

Della fabbrica promessa da Silicon Box si sa ancora poco. Silicon Box è una startup con sede a Singapore ed è specializzata nella costruzione di chip, componenti fondamentali di moltissimi prodotti. Anche se spesso si pensa soprattutto a quelli presenti nei computer e negli smartphone, i chip sono ormai essenziali per qualsiasi apparecchio che abbia almeno una parte elettronica. Silicon Box è nota per un tipo particolarmente piccolo e all’avanguardia di circuiti integrati, detti “chiplet”, progettati per poter essere assemblati gli uni con gli altri per creare processori in grado di lavorare molto velocemente. Quello che vuole costruire nel nord Italia sarebbe il suo primo impianto all’estero, fuori da Singapore.

La decisione delle aziende su dove costruire una fabbrica di questo tipo dipende da molti aspetti: per esempio il contesto industriale, le infrastrutture, l’ambiente universitario e di ricerca. Ma anche dalla politica: investimenti del genere hanno un notevole impatto sull’economia del territorio e sulla popolarità delle amministrazioni locali, e creano dunque competizione tra le regioni coinvolte.

Una fabbrica in questo ambito è interessante non solo a livello locale e nazionale, ma anche europeo. E questo perché dalla pandemia in avanti l’Unione Europea ha capito che sarebbe stato opportuno rafforzare la filiera di produzione dei microchip per ridurre la dipendenza dalle importazioni.

Soprattutto nei mesi successivi all’emergenza coronavirus e alle relative restrizioni, infatti, in tutto il mondo c’è stata una grave carenza di chip, in parte proprio a causa degli effetti economici della pandemia e in parte a causa della crisi dei commerci globali. Per evitare situazioni simili in futuro, lo scorso aprile le istituzioni europee hanno trovato un accordo per investire 43 miliardi di euro nella produzione di microchip nell’Unione Europea.

La costruzione del nuovo impianto di Silicon Box in Italia rientra quindi in questa strategia più ampia, e richiederà l’approvazione della Commissione Europea per l’inizio dei lavori. La progettazione e la pianificazione dell’impianto sono invece già in corso, secondo quanto affermato dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, anche se Silicon Box non ha ancora deciso il luogo esatto dove costruirli.

I territori di cui si discute di più sono un’area industriale del comune di Vigasio, in provincia di Verona, in Veneto, e un’area simile in provincia di Novara, in Piemonte. Le due zone hanno vantaggi diversi.

Vigasio è in una posizione strategica, vicino all’autostrada del Brennero e ai collegamenti ferroviari con il nord Europa. Novara ha un distretto industriale già molto sviluppato, ed è piuttosto vicina a Milano e alla Lombardia, che a loro volta hanno già un tessuto produttivo avanzato, oltre che varie università e centri di ricerca.

Vigasio era stata considerata già per una possibile fabbrica di chip da parte di Intel, e proprio per la sua vicinanza alla ferrovia utilizzata per trasportare merci dall’Italia alla Germania e viceversa: avrebbe permesso collegamenti diretti con Magdeburgo, una città in cui l’azienda avrebbe stabilito un’altra fabbrica da cui sarebbero arrivati i chip pronti per la fase finale della produzione.

Intel aveva considerato anche il Piemonte: non Novara, ma un’area tra Volpiano e Settimo Torinese, dove in passato c’erano Eni e Pirelli, e che è vicina alla Spea, un’azienda che realizza macchinari automatici per il collaudo dei microchip per grandi gruppi come Apple, Bosch e Marelli.

Il progetto di Intel sarebbe rientrato nell’ambito di un grande piano di investimenti dell’azienda in Unione Europea, dal totale di 80 miliardi, che avrebbe creato una rete di fabbriche interconnesse tra loro per la produzione di chip. In Italia era prevista la costruzione di una fabbrica per gestire la fase chiamata di “backend”, una delle ultime prima della distribuzione: in sostanza, nella fabbrica italiana sarebbero stati testati i chip per controllare le caratteristiche richieste dai clienti. Secondo le previsioni, la fabbrica avrebbe assicurato 1.500 posti di lavoro a tempo indeterminato, con un indotto complessivo di circa 3.500 lavoratori.

Intel aveva previsto di spendere 4,5 miliardi di euro per costruire la nuova azienda con una parte dell’investimento sostenuta dallo Stato. I primi passaggi della trattativa che portarono all’annuncio dell’investimento furono seguiti da Vittorio Colao, ministro dell’Innovazione tecnologica del governo di Mario Draghi. Di quella trattativa non si è poi saputo più niente, e Intel nel frattempo ha concretizzato accordi in altri paesi, come in Germania e in Polonia.

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha detto giovedì, durante un punto stampa di un incontro a Verona con i ministri dei paesi del G7, che Intel «ha rivisto i suoi progetti rinunciando ad alcuni dei suoi progetti più avanzati, come in Francia e in Italia su nuove tecnologie. Le Regioni che si erano candidate hanno risposto ad ogni richiesta di Intel: non abbiamo niente da addebitare neanche al precedente governo né alle Regioni, se Intel dovesse ripensarci, noi ci siamo».