In Francia è iniziato il #MeToo dei maschi

Nell'ultimo mese centinaia di uomini hanno denunciato le violenze sessuali subite usando l'hashtag #MeTooGarçons, che è diventato un'occasione per mettere in discussione i miti sulla virilità

"Il sessismo è ovunque, anche in noi", collage dei movimenti femministi in una strada di Parigi, 6 ottobre 2020 (Kiran Ridley/Getty Images)
"Il sessismo è ovunque, anche in noi", collage dei movimenti femministi in una strada di Parigi, 6 ottobre 2020 (Kiran Ridley/Getty Images)

In Francia, da circa un mese, si è diffuso l’hashtag #MeTooGarçons con il quale alcuni uomini stanno raccontando le violenze e gli abusi sessuali subiti nel corso della loro vita, soprattutto durante l’infanzia e l’adolescenza, ma a volte anche da adulti. A lanciare l’hashtag è stato l’attore Aurélien Wiik generando, da lì in poi, un movimento simile a quello del #MeToo, nato nel 2017 dalle accuse rivolte al produttore cinematografico americano Harvey Weinstein. #MeTooGarçons (“garçons” vuol dire “ragazzi”) è stato sostenuto anche da alcuni movimenti femministi ed è diventato l’occasione per mettere in discussione diversi luoghi comuni sulla virilità e sulla sessualità maschile.

Tutto è iniziato il 22 febbraio, quando in una storia su Instagram l’attore Aurélien Wiik, 43 anni, ha raccontato di aver subito degli abusi da parte del suo agente e di altri membri del suo entourage quando aveva 11 anni e per i quattro anni successivi. Ha parlato di «aggressioni, molestie e tentati stupri» e anche di uno stupro subito da una donna che l’aveva drogato. Nelle sue storie l’attore ha invitato tutte le vittime di violenza, a prescindere dal genere, a sporgere denuncia come fece lui a 16 anni quando l’agente che lo aveva aggredito sessualmente alla fine venne condannato. «È possibile», conclude Wiik aggiungendo che «il dolore è più duro della vergogna» e che il processo che porta a riconoscersi come vittime è importante: «Ti aiuta a ricostruirti».

La testimonianza di Wiik ha fatto in modo che altri uomini, alcuni dei quali con dei ruoli istituzionali come il deputato Andy Kerbrat di La France Insoumise, cominciassero a raccontare online le loro esperienze di molestie, abusi e violenze usando l’hashtag #MeTooGarçons: «Quando avevo 11 anni mio fratello maggiore mi chiese di fargli del sesso orale»; «Sono stato vittima di molestie sessuali da parte di un cugino che vedevo ogni estate»; «Il medico di famiglia mi ha toccato quando avevo 16 anni»; «Dai 9 ai 15 anni ho subito abusi da parte del mio patrigno», sono alcuni dei racconti pubblicati sui social network.

L’hashtag #MeTooGarçons non ha avuto la diffusione e il successo del #MeToo e sembra per ora circoscritto al contesto francese. Ci sono delle ragioni.

Come ha raccontato al quotidiano Libération la sociologa Lucie Wicky, gli uomini sono molto meno esposti a questo tipo di violenza rispetto alle donne. L’indagine “VIRAGE” (“Violences et rapports de genre”) realizzata nel 2015 dall’Istituto nazionale francese di studi demografici (INED) aveva trovato un numero di uomini che avevano dichiarato di essere stati vittime di stupro pari a 2.700 e un numero di donne pari a 62.000. La ricerca specifica inoltre che mentre le donne sono vittime o potenziali vittime per tutta la loro vita, la maggior parte degli stupri e dei tentati stupri commessi contro gli uomini avviene durante l’infanzia e l’adolescenza: il 76 per cento dei casi si è verificato quando avevano meno di 18 anni e questo giustifica tra l’altro l’uso del termine “garçons” (che vuol dire ragazzi) anziché “hommes” (uomini) nell’hashtag.

Dai dati dell’INED, ma anche dalle analisi dei racconti degli uomini pubblicati in queste ultime settimane sui social network, risulta infine che la violenza contro gli uomini venga agita soprattutto da altri uomini (in oltre il 90 per cento dei casi) e che in età adulta colpisca soprattutto le persone omosessuali. Questo, ha spiegato tra l’altro Lucie Wicky, avvicina le esperienze di violenza subita dagli uomini gay a quella delle donne: «Sono vittime del dominio patriarcale, che è qualcosa di strutturale».

Nonostante in questa specie di MeToo maschile i racconti degli uomini siano centinaia, non si esclude che molti altri potrebbero essere inibiti a pubblicare i loro racconti, soprattutto dalle reazioni che si leggono sotto le testimonianze. Diverse persone hanno infatti commentato con messaggi offensivi, maschilisti e omofobi accusando gli uomini che hanno preso parola sulle violenze subite o di volersi mettere in mostra o di non essere stati sufficientemente maschi per difendersi.

«Questa stigmatizzazione è vissuta da tutte le vittime, indipendentemente dal loro sesso, anche se le argomentazioni avanzate a riguardo sono diverse», ha spiegato la sociologa Christelle Hamel, aggiungendo che «i processi che mirano a mettere a tacere le vittime sono estremamente forti, e non sorprende affatto che le vittime di sesso maschile che iniziano a testimoniare pubblicamente ricevano lo stesso trattamento delle donne che denunciano la violenza».

Nelle storie emerge molto spesso la difficoltà a farsi credere, sia da chi si ha intorno sia dalle istituzioni. «A 11 anni, quando ne ho parlato, la mia famiglia mi ha riso in faccia», ha raccontato un uomo. «Quando ho sporto denuncia a 14 anni, il poliziotto mi ha detto che per lui non era possibile che non mi fossi difeso», dice un’altra testimonianza pubblicata su Instagram. Un uomo che ha usato l’hashtag #MeTooGarçon per raccontare la violenza subita a sette anni ha detto che «mai una donna ha negato o minimizzato il dolore» che aveva espresso e che gli unici «ad averne riso erano uomini».

L’hashtag #MeTooGarçons è stato sostenuto da molte associazioni femminili, da movimenti femministi o da singole attiviste e giornaliste che si occupano di questioni di genere: hanno ribadito il fatto che il patriarcato (cioè un sistema culturale, economico e sociale fondato sull’oppressione, sia nello spazio privato che in quello pubblico, delle donne) colpisce anche gli uomini: hanno scritto che oltre a consentire alle vittime di essere ascoltate, il movimento nato dal #MeTooGarçons potrebbe incoraggiare gli uomini a riconoscere e a combattere la violenza a cui il loro genere partecipa e hanno detto che una presa di posizione maschile potrebbe essere preziosa per cambiare il sistema patriarcale dall’interno.

Il sociologo e attivista marsigliese Kevin Vacher ha scritto un post su Mediapart che è stato molto citato nelle ultime settimane. Vacher racconta di essere stato stuprato quando aveva 16 anni e dice anche di averlo potuto finalmente raccontare dopo la diffusione dell’hashtag. È arrivato il momento anche per gli uomini, aggiunge, di emanciparsi e di seguire la strada tracciata dal femminismo: «Si tratta di tradire il patriarcato, di minarne parte delle fondamenta – il silenzio e la lealtà tra uomini – per vederlo crollare davanti a noi».

L’hashtag è soprattutto diventato l’occasione per ragionare su diversi luoghi comuni sulla sessualità maschile, come ha spiegato ad esempio su Philosophie Magazine la filosofa Olivia Gazalé, autrice di un libro, tradotto anche in italiano, intitolato Il mito della virilità.

Il primo luogo comune saldamente ancorato nell’inconscio collettivo che questa nuova presa di parola maschile sta smentendo è che gli uomini siano sempre disponibili al sesso. «Se consideriamo che il corpo dell’uomo sia un pozzo senza fondo e alla continua ricerca di una forma di soddisfazione sessuale quasi animale, non possiamo concepire che possa esserci stata una violenza sessuale commessa su un uomo, che avrebbe dunque rifiutato di acconsentire a soddisfare il suo impulso». Contrariamente a questa concezione, le testimonianze maschili che parlano di rapporti sessuali non consensuali ci ricordano, dice Gazalé, che il desiderio maschile, come quello femminile, è una realtà complessa che non può essere ridotta alla semplice soddisfazione di un istinto.

Il modello di esaltazione della virilità impone l’adesione a una serie di obblighi e comportamenti che vanno di continuo confermati e dimostrati. La virilità e il vigore maschile, nel timore che possano essere messi in dubbio, devono cioè essere costantemente performati e nel suo libro Olivia Gazalé sottolinea come la parola “testicoli” rimarchi proprio questa necessità, derivando dalla voce latina che significa “testimone”. In questo sistema, anche l’erezione sarebbe un modo per testimoniare la propria potenza: sarebbe sia una prova che un dovere da compiere. «Per più di due millenni la virilità del maschio è dipesa dalla sua capacità di compiere questo dovere (…). L’erezione è il metro della sua virilità, e l’atto sessuale una prova di verità: “Ho un’erezione, dunque sono”», dice Gazalé. Tuttavia, come dimostrano gli uomini colpiti da stupri e aggressioni, l’erezione non dimostra in alcun modo la natura consensuale dell’atto sessuale. L’erezione può infatti derivare da un’eccitazione, ma può anche essere involontaria e inconscia: non è insomma sinonimo di consenso e, non può costituire una prova valida della dimensione consensuale di un rapporto.

L’idea egemonica di maschilità – basata su una presunta superiorità maschile, sull’idea di forza, di conquista, di istinto guerriero e di “non devo chiedere mai” – ha giustificato la subordinazione delle donne, ma ha anche represso gli uomini, li ha storicamente spinti a temere l’impotenza e la vulnerabilità contribuendo anche a non creare una consapevolezza sulle aggressioni subite. Tra coloro che hanno vissuto un’esperienza di violenza sessuale diversa dallo stupro, solo il 17 per cento ritiene che «questa aggressione sia grave», secondo l’indagine dell’INED. Lucie Wicky, dice che «se gli uomini eterosessuali hanno più difficoltà a identificare la violenza subita durante l’adolescenza, è perché testimoniarla è considerato un segno di debolezza». L’ideale della virilità priva di fatto l’uomo della possibilità di poter essere o di potersi mostrare fragile, della possibilità di presentarsi come vittima.

#MeTooGarçons si opporrebbe così a un’intera tradizione che Gazalé ha nominato come «fanfaronnades masculinistes» (fanfaronate machiste), facendo riferimento a una forma di boriosa spacconeria che consiste nel vantarsi di avere rapporti sessuali in grande quantità per affermare il proprio potere, il proprio successo come uomo.