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  • Giovedì 14 marzo 2024

Il leader della maggioranza al Senato statunitense ha chiesto le dimissioni di Benjamin Netanyahu

Il Democratico Chuck Schumer ha detto che il primo ministro israeliano è un «ostacolo» alla pace nella Striscia di Gaza: è la critica più pesante fatta finora da un politico di alto livello

Il Democratico Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato statunitense (AP Photo/J. Scott Applewhite)
Il Democratico Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato statunitense (AP Photo/J. Scott Applewhite)

Giovedì il leader della maggioranza al Senato statunitense, il Democratico Chuck Schumer, ha tenuto un discorso in Senato nel quale ha criticato apertamente il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che guida il governo più di destra della storia del paese, chiedendo che siano organizzate nuove elezioni. «Credo che una nuova elezione sia l’unico modo per consentire un processo decisionale sano e aperto sul futuro di Israele», ha detto, in quella che finora è stata la critica più aspra ed esplicita rivolta a Netanyahu da un funzionario statunitense di alto livello.

Schumer si è definito «sostenitore di Israele da sempre», ha ricordato di essere il primo leader della maggioranza del Senato di religione ebraica, ma ha detto che «la coalizione di Netanyahu non è più adatta alle esigenze di Israele dopo il 7 ottobre», il giorno in cui i miliziani di Hamas hanno ucciso centinaia di civili israeliani. Ha aggiunto che da allora «il mondo è cambiato radicalmente» e che Israele si trova in un momento critico in cui «tanti israeliani hanno perso la fiducia nella visione e nella direzione del loro governo».

Schumer ha criticato in modo molto esplicito le operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza e le loro devastanti conseguenze sui civili: «Sono angosciato dal fatto che la campagna di guerra israeliana abbia ucciso così tanti palestinesi innocenti», ha detto. Ha aggiunto che Netanyahu è un grosso ostacolo al raggiungimento della pace nella Striscia, insieme ai partiti di destra radicale nella politica israeliana, ad Hamas e a Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, l’entità parastatale che governa in maniera semiautonoma il territorio della Cisgiordania.

Negli ultimi mesi diversi esponenti del partito Democratico statunitense hanno criticato il governo di Netanyahu e il modo in cui il primo ministro sta gestendo la guerra nella Striscia di Gaza. Anche il presidente Joe Biden ha definito la risposta israeliana agli attacchi del 7 ottobre «eccessiva».

Gli Stati Uniti sono storicamente uno dei paesi più vicini a Israele. Finora nessuna di queste critiche ha avuto un qualche effetto su Netanyahu, anzi. Giorni fa Biden lo aveva invitato a desistere dall’intenzione di invadere Rafah, città della Striscia di Gaza vicino al confine con l’Egitto in cui al momento sono rifugiati moltissimi palestinesi. Biden aveva definito l’invasione di Rafah «il superamento di una linea rossa»: pochi giorni dopo Netanyahu gli aveva risposto in modo piuttosto diretto dicendo di essere intenzionato a procedere, e riprendendo le sue esatte parole aveva detto che la sua «linea rossa» è «che il 7 ottobre non si ripeta».

Le parole di Schumer hanno attirato critiche molto esplicite da parte dei Repubblicani, che su Netanyahu e il modo in cui sta gestendo la guerra contro Hamas hanno posizioni molto più morbide (con varie divisioni interne, comunque). Il leader del partito Repubblicano al Senato, Mitch McConnell, ha detto che «Israele non è una colonia dell’America» e che «solo i cittadini di Israele dovrebbero avere voce in capitolo su chi gestisce il loro governo». McConnell ha paragonato le parole di Schumer a un’«interferenza straniera». Il presidente della Camera statunitense, il Repubblicano Mike Johnson, ha definito le parole di Schumer «altamente inappropriate» e ha aggiunto che gli Stati Uniti «devono stare dalla parte di Israele».

Nel suo discorso, e indipendentemente dalle critiche rivolte a Netanyahu, Schumer ha anche detto di ritenere che ci sia una «percezione imprecisa» della guerra per cui si tende ad attribuirne la maggior parte delle conseguenze sui civili a Israele, senza concentrarsi altrettanto su come Hamas usi gli stessi civili come «scudi umani».

Al momento più di tre quarti della popolazione totale della Striscia di Gaza sono sfollati, e oltre un milione di persone si trova a Rafah, che è anche il principale punto d’ingresso per gli aiuti umanitari provenienti dall’Egitto. Nel frattempo la situazione umanitaria è ormai al collasso: nel nord della Striscia far arrivare aiuti è sempre più complicato e gran parte della popolazione, stimata in circa 300mila persone, ha esaurito le scorte di cibo. A breve dovrebbe arrivare nella Striscia di Gaza la prima nave carica di aiuti umanitari gestita dalla ong spagnola Open Arms. Al momento la nave si trova al largo delle coste israeliane, a poche ore di navigazione dalla Striscia, ma non è ancora chiaro quando arriverà.

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